La pacchia del denaro a costo zero sta per finire.

Nulla di buono all'orizzonte per noi italiani.

Se il denaro non costa nulla perché non cresciamo più vigorosamente e il debito non si riduce? Alla domanda semplice fatica a rispondere persino un premio Nobel. Jeremy Rifkin é uno dei pochi che ha provato a spiegare come la produttività dipenda ormai solo per il 20% dal lavoro e dai macchinari e per il resto da componenti diverse, come il tasso innovativo, i beni intangibili, la produzione di energia condivisa, l'humus in cui si svolge l'attività. In una parola, l'internet delle cose.

Ma se la formula della crescita in un'economia così interconnessa come quella globale resta ancora da svelare in Europa, é più facile conoscere quella che porta alla riduzione dell'indebitamento. Anche un bambino infatti sa che le feste, in questo caso dei tassi zero, ineluttabilmente finiscono per tornare alla scuola dei mercati. La ricreazione sta quindi finendo e non c'è bisogno della sfera di cristallo per fare questa previsione.

Ormai quasi un titolo di stato su due in Europa, su un totale di 5.620 miliardi di euro, offre rendimenti negativi. Apparentemente è il miglior mondo possibile per i governi che si indebitano, ma diventa un problema per i risparmiatori e per le migliaia di Pmi italiane che non hanno goduto degli effetti del Quantitative Easing della Bce, immissione di denaro sulla carta destinato proprio a loro e che invece paradossalmente aiuterà le grandi aziende comprando i loro titoli obbligazionari.

Le piccole medie imprese dipendono infatti quasi del tutto dal sistema bancario, che invece è il primo a essere stato danneggiato dai tassi livello pavimento, perché non riesce a remunerare i suoi impieghi ne' ad offrire interessi decenti a chi gli presta denaro. Ricapitolando: la 'festa' del denaro facile è stata una manna per gli Stati e per le multinazionali, molto meno per il resto del mondo che l'economia fa girare.

La trappola della liquidità è questa: chi sta bene non ha bisogno di prestiti perché non crede che l'economia crescerà. Chi ha bisogno di credito non lo ottiene perché non è cresciuto abbastanza. Il risultato è deflazione e crescita fiacca. I 781 miliardi di euro di bund negativi spiegano perfettamente perché la Germania sta tentando di forzare la mano al presidente della Bce, Mario Draghi, affinché sospenda gli acquisti di bond governativi e aumenti i tassi.

Il conto alla rovescia è cominciato e dovrebbero esserne consapevoli sia il nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che l'esecutivo di Matteo Renzi. La Banca d'Italia, probabilmente, sta già da tempo monitorando la curva dei rendimenti. L'Italia è un paese che cresce poco e con un debito statale molto elevato, oltre 2.200 miliardi di euro; per fortuna ancora oggi il Tesoro riesce ancora a pagare un interesse quasi nell'80% dei casi, rendendo più appetibili Btp e Cct.

Il limbo però non può durare. Prima o poi Berlino la spunterà, soprattutto se la Federal Reserve americana aumenterà in estate il costo del denaro, inducendo gioco forza anche la consorella europea a fare altrettanto.

Occorre mettersi in sicurezza. Lo ha spiegato proprio la Bce in fondo al suo ultimo Bollettino. Ad invarianza di politiche economiche, senza quindi aumentare le entrate o ridurre le spese, Roma nel 2026 avrà ancora un debito pubblico pari al 110% del Pil, ben sopra quindi il livello del 60% fissato dal Trattato di Maastricht, mentre la Germania nello stesso anno sarà da tempo agevolmente sotto questo tetto.

A quel punto le ipotesi sono solo due: o tutto il sistema di controlli previsti da Bruxelles (rientro di un ventesimo all'anno dal debito, pareggio di bilancio, sanzioni con procedure d'infrazione per chi non vi riesce) si concluderà in una 'farsa' come ha già scritto minaccioso il Frankfurter Allgemeine, oppure Roma sarà costretta ad effettuare manovre correttive, con impatti depressivi se effettuate solo dal lato delle entrate, per rispondere ai criteri comunitari.

E quelle misure inevitabilmente ricadranno poi su famiglie e imprese, proprio quelle che non hanno goduto dei tassi bassi: le prime sono ancora operate da un peso eccessivo del fisco; le seconde, oltre la pressione tributaria, dal 2011 hanno visto ridursi di 112 miliardi il credito a loro concesso. Senza attrezzarsi per tempo e senza riuscire a coglierne gli effetti positivi, i rendimenti negativi e i prezzi bassi si trasformeranno quindi in un boomerang. E di ciò ne è ben consapevole proprio l'Eurotower, che scrive: ''le sorprese negative riguardanti i dati sull'inflazione tendono a rendere più difficile l'osservanza dei requisiti della regola del debito nel breve periodo''. Un calo inatteso dell'inflazione, combinata con una crescita debole ''accelera l'accumulo di debito pubblico''.

E' quello che gli economisti chiamano effetto "snowball", l'impatto ciclico negativo sul saldo primario. Senza tecnicismi: la deflazione e gli interessi congelati alla lunga possono trasformare una palla di neve in una ''valanga'' che a valle travolge l'economia.

E questo vale a maggior ragione per paesi, come l'Italia, ad alto debito e sempre con il fiato sul collo della Commissione Europea. La campanella dell'ultimo giro del laissez-faire dei tutori dei conti che hanno concesso a Roma un po' di flessibilità sta infatti per suonare. E lo ammette la Banca centrale europea, colei che deve farla tintinnare: ''la regola del Patto di stabilità e di crescita relativa al debito è stata introdotta come insegnamento importante della crisi del debito sovrano in Europa e dovrebbe essere applicata con rigore.

In prospettiva occorre assicurare che l'osservanza dei requisiti di riduzione del debito non sia indebitamente ritardata''. Sembra l'annuncio di un aumento dei tassi d'interesse o quanto meno una circolare del Preside che annuncia nuovi compiti in classe.

Huffpost.it

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 30/05/2016