Casa Rey, in via Massena angolo corso Stati Uniti, a Torino

Prosegue la nostra ricognizione fra le cariatidi torinesi: la “casa da pigione” realizzata nel 1884 su progetto dell’architetto Camillo Riccio

I vecchi torinesi raccontavano che una volta un paesano, quelli che loro definivano “baròt”, è venuto a Torino ed è andato a fare visita a un suo cugino che si era inurbato da alcuni anni. Il “baròt” è andato a casa del cugino che abitava alla Splùa, in una borgata molto periferica di Torino, e gli ha chiesto di fargli visitare il centro cittadino.

Il cugino inurbato, in centro non ci andava mai e quasi non lo conosceva.

Così quando il “baròt”, incantato da tutte le belle costruzioni che vedeva, gli chiedeva: “Ëd chi ch’a l’é cola ca lì?” lui rispondeva “Sai nen” oppure “Sai pa”.

Dopo un bel po’ di volte che il cugino gli ha risposto “Sai nen” e “Sai pa”, il “baròt” ha esclamato: “Ma alora sti monsù Sainen e Saipà a son ij padron ëd Turin!”.

La storiella viene alla mente quando si digita per ricerche in rete le parole “Casa Rey”.

Oltre alla Villa Rey di Strada Val San Martino Superiore 27, troviamo infatti due case Rey. La prima è più celebre, del 1904, progettata da Pietro Fenoglio (1865-1927) e situata in corso Galileo Ferraris 16-18.

La seconda casa Rey, oggetto del nostro interesse, si trova in via Massena 20, all’angolo con corso Stati Uniti: è un edificio di civile abitazione, una “casa da pigione”, costruita per il cavalier C. Rey, su progetto dell’architetto Camillo Riccio, nel 1884, quando corso Stati Uniti si chiamava ancora corso Duca di Genova.

Nelle vecchie cartoline questo palazzo appare sporgente rispetto agli isolati vicini, effetto oggi scomparso con la costruzione di nuovi edifici.

“Casa da pigione” significa che l’edificio è stato costruito per affittarne gli alloggi e rappresentava un investimento economico del cavalier C. Rey.

Questo non ha impedito all’architetto Riccio di inserirvi una decorazione perfino ridondante, in particolare alle finestre dei primo piano, dove compaiono le due cariatidi che “escono” da un piedestallo guarnito da una conchiglia di San Giacomo, e che sostengono un elaborato architrave con rosoni. Non manca un mascherone grottesco.

Elemento assai frequente in questa decorazione è la conchiglia di San Giacomo (capasanta o pettine) ma che in questo caso è più opportuno considerare come “conchiglia di Venere”.

Ne portone di ingresso, in via Massena 20, troviamo infatti oltre a elaborate composizioni floreali con volti grotteschi, l’architrave interamente formato da queste conchiglie.

Da notare che sulla parte delle facciate più lontane dall’angolo di unione, gli elementi decorativi sono concentrati nelle finestre, mentre i balconi appaiono non particolarmente elaborati.

Le finestre del piano terreno presentano rosoni, triglifi e metope floreali.

Le finestre del secondo piano, in parte coperte dall’architrave di quelle del primo piano con le cariatidi, hanno l’architrave con una foglia centrale di ippocastano e con frutti sparsi, sostenuto da colonne laterali con teste di leoni, rosoni, composizioni floreali e mascheroni grotteschi alla base.

Sotto il tetto corre una fascia con rosoni poi le mansarde sormontate da un arco che inalbera una “conchiglia di Venere”.

Nell’angolo dove si uniscono le due facciate, col balcone angolare al primo piano, la decorazione si fa ancora più fitta, le cariatidi sono sostituite dalle triplici finestre sormontate da archi al primo piano e rettangolari al secondo, separate da colonne, e con una ulteriore fascia di rosoni e ghirlande.

Torniamo alle cariatidi che sono l’elemento caratterizzante del decoro di questo edificio. Sono ben 26 ragazze poco vestite, 14 affacciate su corso Stati Uniti e 12 su via Massena, un numero significativo anche se va detto che sono passate inosservate e su di loro non sono sorte, almeno per quanto ne so, dicerie popolari e leggende metropolitane.

Per contro, undici teste di donna sono state sufficienti per dare la definizione di casa, o palazzo, delle prostitute, a un edificio del Borgo San Salvario, in via Principe Tommaso n. 8, all’angolo con via Bernardino Galliari.

Ma è difficile trovare la logica della nascita delle leggende metropolitane!

Le ultime elucubrazioni riguardano il committente del palazzo, cavalier Rey: cosa avrà detto quando l’architetto Riccio gli ha sottoposto il progetto con quel battaglione di ragazze discinte? E soprattutto quando le ha viste realizzate in litocemento e installate nella sua casa?

E cosa avrà detto la moglie del cavalier Rey, madama Rey, che possiamo facilmente immaginare come una austera e rigorosa signora, inflessibile su “certi” argomenti, mentre dice alle amiche: “Ma i lo seve cò a l’ha mai combinà col ingegné Riccio? A l’ha ‘mpinì ‘l front dla nòstra neuva ca an cors Duca ‘d Genova ‘d fomne mese patanùe ! Ròbe da nen chërde! E dì che mè òmo a lo ten così tant da cont… mi i capisso nen, i peus nen penseje! Cò a dirà mai la gent?” (Ma lo sapete cosa ha mai combinato quell’ingegner Riccio? Ha riempito le facciate della nostra nuova casa in corso Duca di Genova di donne mezze nude! Cose da non credere! E dire che mio marito lo considera così tanto … io non capisco, non ci posso pensare! Cosa dirà mai la gente?”).

E ancora, il “baròt” della storiella iniziale avrà visto anche casa Rey nella sua passeggiata torinese? E se l’ha vista, come l’avrà descritta ai suoi compaesani? 

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Articolo pubblicato il 11/06/2016