Decori architettonici torinesi: un telamone ed una cariatide che “lavorano” in coppia

Una curiosa “par condicio” architettonica uomo-donna che pare aver anticipato la “doppia preferenza di genere”

Lui è un signore barbuto e baffuto, con un volto severo e pacato che lo fa apparire attempato, in contrasto con il fisico asciutto e muscoloso. Pare uscire dalla doccia o dalla sauna, visto che è nudo e si copre il basso ventre con un lenzuolo di grandi dimensioni, contorto in artistici panneggi, che lui trattiene col braccio sinistro e che regge col braccio destro, come se fosse un lembo della toga, ma un po’ goffamente, senza l’eleganza dei senatori romani.

Ha capelli, baffi e barba molto ricciuti, in particolare i capelli appaiono come una sorta di corona sulla sua fronte spaziosa: possono quasi apparire come una bordatura al suo copricapo, formato da una sorta di diadema a forma di foglia di acanto e di un drappo che ricade sulle spalle, simile al copricapo dei faraoni egizi.

Lei è una bella donna, più giovane del suo compagno. Anche lei è vestita soltanto da un lenzuolo panneggiato che trattiene con le braccia sul ventre, un po’ impacciata. Esibisce un petto invidiabile e porta al collo una vistosa collana formata da grandi maglie elaborate con al centro un pendente trilobato che si colloca fra i seni.

La signora ha una capigliatura molto folta e voluminosa, pettinata con la scriminatura centrale e portata all’indietro, con lunghe trecce che scendono sulle spalle. Sul capo ha una corona, o un diadema, in forma di foglie di acanto, e un velo che le discende sulla schiena.

Lui e lei si possono vedere in via San Quintino, al n. 31, già n. 33, dove fanno bella mostra di sé e svolgono la loro attività reggendo il balcone sovrapposto al portone del palazzo, lui a destra e lei a sinistra.

Si tratta rispettivamente di un telamone e di una cariatide, così nel linguaggio architettonico si definiscono le sculture impiegate, oltre che come decorazione, come elemento portante di una trave o di un balcone: “telamone” (o “atlante”) se la figura è maschile, “cariatide” (o “canèfora”) se la scultura rappresenta una donna.

I due ci mettono un impegno particolare nel loro lavoro: anche se la posizione del loro corpo appare sciolta e rilassata, hanno la testa fortemente flessa in avanti nello sforzo di reggere le mensole del balcone. Così, per poter osservare bene i tratti dei loro volti, occorre avvicinarsi e guardarli da sotto. 

Tutto questo è documentato dalle fotografie dell’amico Aurelio Sartor.

Il telamone e la cariatide di via San Quintino non sono certo una mia scoperta. Si fanno notare e sono già comparsi più volte nei gruppi Facebook dedicati a Torino, in particolare in “Curiosità di Torino”, dove Umberto Ferreri‎ ha di recente sottolineato come si tratti di un curiosissimo e, forse, unico esempio di una “coppia mista”, formata da una cariatide e un telamone.

Sempre grazie a questo gruppo Facebook, ho anche scoperto che il telamone di via San Quintino ha dei “parenti” illustri: i telamoni che sostengono la balconata nella Sala 30 del Museo del Risorgimento, descritti e fotografati da Mariangela La Ciura‎, il 10 novembre 2014. Come si può vedere dal confronto, ci sono fortissime analogie.

Se immaginiamo di creare una sorta di mazzo di tarocchi con i decori architettonici torinesi, il telamone e la cariatide di via San Quintino possono essere inseriti fra gli arcani maggiori, lei come “L’imperatrice” (n. III) e lui come “L’imperatore” (n. IV).

Certo si scostano molto dalla classica iconografia dei tarocchi marsigliesi, ricordano di più la coppia imperiale di qualche lontano paese esotico e selvaggio, poco vestita ma adorna delle insegne del potere.

Del resto, se le Imperatrici degli antichi mazzi di tarocchi al massimo portavano un corsetto che enfatizzava il loro seno, ci sono interpretazioni moderne decisamente sexy, in linea con l’aspetto della nostra cariatide.

Si affaccia a questo punto un ricordo della mia gioventù, quando su “Linus” e altre riviste del genere comparivano dei fumetti che prevedevano due interlocutori fissi (talora disegnati in modo essenziale!) che si scambiavano battute taglienti: qualcosa del genere si può applicare anche alla nostra coppia, che naturalmente dialoga in piemontese…

Concludo queste mie speculazioni notando che la curiosa “par condicio” architettonica uomo-donna di via San Quintino pare aver anticipato la recentissima normativa elettorale che prevede la possibilità di esprimere due preferenze per i candidati a consigliere comunale: una per un uomo, una per una donna, quella che viene detta la “doppia preferenza di genere”.

Ringrazio il signor Aurelio Sartor per l’esecuzione delle fotografie.

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Articolo pubblicato il 28/05/2016