L’espiazione della pena.

Perché tifo per Alex Schwazer.

Domenica prossima si svolgerà a Roma la Coppa del mondo di marcia alla quale parteciperà anche Alex Schwazer rientrato nel mondo dello sport dopo aver espiato 4 anni di squalifica per doping.

Lo scopo dell’atleta è quello di ottenere un tempo di gara che gli consenta di partecipare alle prossime Olimpiadi del Brasile che sono ormai alle porte.

Contro il rientro all’attività agonistica di Schwazer si sono espressi in molti, in particolare alcuni fra gli stessi atleti di altre discipline sportive che, salvo sorprese, parteciperanno alle Olimpiadi.

Fra costoro si è distinto Gianmarco Tamberi, nostra punta di diamante nel settore del salto in alto, che si è espresso in maniera molto critica nei confronti di Schwazer stigmatizzando il rientro dell’atleta con un’asprezza di linguaggio tanto discutibile quanto inopportuna: “Vergogna d’Italia, squalificatelo a vita, la nostra forza è essere puliti, noi non lo vogliamo in nazionale”.

A parte la dimostrazione di presunzione e di arroganza data da Tamberi che vorrebbe sostituirsi, anche se a posteriori, all’organo sportivo antidoping, si sono espressi in senso contrario altri rappresentanti dello sport, compresa la Fidal (Federazione Italiana Di Atletica leggera) e, più in generale, tutti coloro che, in conformità della legge penale e non soltanto sportiva, danno all’espiazione della pena un esplicito riconoscimento di riabilitazione del condannato al quale è così consentito di fare ammenda delle colpe che hanno causato la condanna.

Si tratta di un principio basilare del nostro diritto e prima ancora di un principio che è alla fonte di ogni civiltà giuridica.

Altrimenti non si spiegherebbe perché reati ben gravi e odiosi di quello posto in essere da Schwzer vengano sanzionati con una condanna a termine che, salvo casi espressamente previsti dalla legge o dal dispositivo della sentenza di condanna (peraltro emessa ovviamente in forza delle leggi vigenti), tutela il colpevole che ha trascorso anni di carcere o di squalifica sportiva nel periodo successivo alla pena.

Dunque nessuna differenza fra il diritto penale e il diritto che governa l’attività sportiva.

Anzi, proprio perché lo sport è universalmente riconosciuto da tempi immemorabili come un incentivo alla pace, alla fratellanza e all’unione fra gli uomini, la possibilità di riemergere costituisce un diritto che non può essere negato se non al prezzo di svilire l’istituto della condanna e l’espiazione della pena facendoli rientrare in quello di una ingiustificata persecuzione.

Del resto in quelle poche nazioni in cui il rientro nell’attività sportiva era stato vietato ( nonostante la sentenza di condanna non contenesse alcuna limitazione all’attività successiva all’espiazione della pena ) vi è stato un precipitoso ravvedimento.

La stessa Fidal, sia pure indirettamente, ha fatto presente che se l’atleta ha scontato la squalifica torna ad avere i diritti di tutti gli altri, compreso quello di riprendere la maglia azzurra.

Ma il rigore morale espresso in termini tanto aspri dagli altri atleti azzurri o, per quanto è dato di comprendere, da alcuni soltanto fra di loro, oltre a non essere giustificabile per le motivazioni dianzi espresse, finisce per non essere molto credibile.

Lo sarebbe soltanto se esso fosse portato paradossalmente alle estreme conseguenze e cioè soltanto se, nel caso in cui Schwazer ottenesse i tempi per essere ammesso all’Olimpiade, Tamberi e gli altri rinunciassero a parteciparvi  in forza di quella indignazione che tanto scompostamente hanno sbandierato.

Ecco perché farò il tifo per Schwazer, augurandogli di trovare il pass per le Olimpiadi in Brasile e, perchè no, di salire sul podio.

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Articolo pubblicato il 07/05/2016