La Banca Centrale Europea ed il timore deflazione. E' un allarme fondato?

Enti economici internazionali come World Economic Forum argomentano che l' allarme deflazione è eccessivo

Le banche centrali di tutto il mondo, come ci viene continuamente ripetuto dalle autorità monetarie e riportato quotidianamento nelle pagine economico- finanziarie dei giornali, sono state le prime ad entrare in fibrillazione per la paura della deflazione, BCE in testa. Ma ad un' analisi più attenta la paura è in gran parte infondata, provocando un clima dannoso per l' economia.


L' analisi che ha fatto il World Economic Forum ( ente internazionale noto per la convocazione dell' annuale conferenza internazionale di Davos sull' economia), attraverso esponenti di primo piano come economisti di ottimo livello, porta a diverse e più rassicuranti conclusioni rispetto alla deflazione ed ai danni sui Paesi che ne subiscono gli effetti.

 

Ad esempio, nel 2013 la caduta dei prezzi in Giappone ha indotto la Banca Centrale del Giappone a intraprendere un'offensiva monetaria senza precedenti per quel Paese. In passato l'inflazione era aumentata nel corso di qualche anno, ma i fattori che determinarono tale aumento - una svalutazione competitiva dello yen e un aumento delle tasse -  non durarono a lungo. Ora il Giappone sta scivolando di nuovo in deflazione, fatto che ha prodotto il panico in borsa.

 

Ma, contrariamente all'impressione creata dalle notizie di stampa, l'economia giapponese è tutt'altro che moribonda. La disoccupazione è praticamente scomparsa; il tasso di occupazione continua a raggiungere nuovi massimi, e il reddito disponibile pro capite è in costante aumento. Infatti, anche durante i cosiddetti "decenni perduti" ( così definiti nel Paese del sol levante), il reddito pro capite è cresciuto ben oltre di come avvenuto negli Stati Uniti e in Europa, e il tasso di occupazione è aumentato, suggerendo che la deflazione potrebbe non essere così nefasta come molti banchieri centrali sembrano credere.

 

Negli Stati Uniti e in Europa vi è però qualche piccolo segno di ripresa, che evita il pericolo derivante dal mancato raggiungimento da parte delle banche centrali di centrare i loro obiettivi rispetto all' inflazione. La crescita in queste aree rimane solida, anche se non spettacolare, e l'occupazione è in aumento.

 

Ci sono due problemi chiave con l'attuale approccio delle banche centrali rispetto alla deflazione. In primo luogo, esse sono focalizzate sui prezzi al consumo, che è il bersaglio sbagliato. I prezzi al consumo sono in calo per un semplice motivo: l'energia e altri prezzi delle materie prime sono diminuiti di oltre la metà del loro valore negli ultimi due anni. Il calo è quindi temporaneo, e le banche centrali dovrebbero osservare il passato, quando vi era l'aumento dei prezzi al consumo nel momento in cui i prezzi del petrolio erano in crescita.

 

Secondo WEF ( World Economic Forum) invece, le banche centrali dovrebbero concentrarsi sul tasso di crescita dei ricavi dei suoi Paesi componenti, misurato in crescita del PIL nominale (*). Questo è, dopo tutto, ciò che conta per i governi fortemente indebitati e per le imprese. Con questa misurazione più oggettiva non c'è deflazione: l'indicatore dei prezzi rispetto al PIL (chiamato deflattore del PIL) nei Paesi sviluppati è in crescita del 1-1,5%, in media. Nella zona euro, è in aumento al 1,2%. Questo dato potrebbe rientrare nel target della Banca centrale europea "inferiore ma prossimo al 2%", tale da non giustificare l'uso sempre più aggressivo della BCE di strumenti monetari per stimolare l'economia.

 

Inoltre, la crescita nominale del PIL è superiore al tasso di interesse a lungo termine. Quando, come avviene di solito, il tasso di interesse a lungo termine è superiore al tasso di crescita del PIL, i Paesi ricchi possono accumulare ricchezza più velocemente rispetto al resto dell'economia, come rilevato dall'economista Thomas Piketty.

 

Ma, oggi, la crescita nominale del PIL supera di gran lunga i tassi di interesse a lungo termine medi anche nella zona euro, dove si prevede che la crescita del PIL nominale raggiunga circa il 3% quest'anno . Questo significa che le condizioni di finanziamento sono favorevoli come lo erano al culmine del boom del credito nel 2007, e molto meglio di quanto lo siano state in qualsiasi altro punto nel corso degli ultimi 20 anni.

 

Ci si potrebbe aspettare, in base a quanto fino a qui detto, che le banche centrali ripensino le loro attuali preoccupazioni per la deflazione. Invece restano impegnate a perseguire i propri obiettivi di favorire l'inflazione, convinte che anche un leggero tasso di deflazione potrebbe avviare una spirale verso il basso, con il calo della domanda e causando un ulteriore abbassamento dei prezzi. Questo è il loro secondo errore.

 

Naturalmente, una spirale deflazionistica è possibile, e le sue conseguenze potrebbero essere gravi. Se i tassi di interesse reali sono significativamente positivi la domanda potrebbe precipitare, spingendo verso il basso i prezzi, al punto che diventerebbe impossibile per i mutuatari onorare i loro debiti. Tale spirale ha contribuito alla Grande Depressione negli Stati Uniti nel 1930, con i prezzi in calo, in alcuni anni, di circa il 20-30%.

 

Ma non siamo affatto, in nessun Paese, vicini queste condizioni oggi. In effetti, i tassi di interesse nominali sono a zero, mentre gli indici di prezzo previsti sono in aumento, anche se di poco. Dato che le condizioni di finanziamento sono favorevoli, non è sorprendente che la domanda interna è rimasta robusta, permettendo alla disoccupazione di tornare ai minimi pre-crisi quasi ovunque.

 

Le valutazioni fin qui fatte, in massima parte dalla corrente neoliberista del WEF, sono però viziate dal fatto che il sistema economico dei Paesi considerati, o di alcuni grandi Paesi come gli Stati Uniti che sono comparabili con l' Europa e quindi compatibili economicamente, è retto da gestioni completamente differenti gli uni dagli altri.

Ad esempio il sistema pensionistico americano è a gestione privata, ed i fondi pensione là investono enormi quantità di denaro nei titoli di Stato,  fornendo liquidità al sistema, mentre la gestione delle pensioni in Italia è effettuata dall' INPS, ente pubblico che ha molto meno incidenza sui titoli di Stato. Perciò la liquidità immessa dalla BCE attraverso il QE ( Quantitative Easing) assume da noi una maggiore importanza per aumentare la quantità di denaro in circolazione, funzione questa parzialmente svolta dai grandi investitori istituzionali privati americani.

 

Anche per questi motivi la zona euro è l'unica grande economia sviluppata dove la disoccupazione resta notevole, e quindi l'unica economia in cui esiste un notevole rischio di aumento della deflazione. Ma anche nella zona euro la crescita del PIL è leggermente al di sopra del rischio deflazione progressiva e importante.

 

 

L'evidenza dei fatti è chiara ma diversa per ogni singolo Paese: le banche centrali delle economie sviluppate dovrebbero superare la loro paura irrazionale di una spirale deflazionistica, senza cercare di stimolare la domanda ad ogni costo nei vari Paesi. In caso contrario, essi si troveranno con bilanci sempre più gravosi, e molto poco giustificabili.


(*) PIL nominale: valore dei beni e servizi misurati a prezzi correnti (può aumentare sia perchè aumentano le quantità prodotte sia perché aumentano i prezzi)


PIL reale: valore dei beni e servizi calcolata a prezzi costanti; è una misura più efficace del benessere economico, perché non è influenzato dai cambiamenti di prezzi 

 

 

Dati derivanti dall' ente internazionale di economia World Economic Forum e dal Centro Studi Politico Europeo

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Articolo pubblicato il 08/05/2016