Banca popolare di Vicenza, la Borsa dice no. Salvata dal fondo Atlante, ma le banche tremano.

Paracadute o veicolo di contagio?

Lo stop arrivato alla quotazione in Borsa della Banca di Vicenza chiama in causa il Fondo Atlante, la ciambella di salvataggio per le banche in difficoltà, tormentate da aumenti di capitale che vanno quasi a vuoto sul mercato e affossate dal peso dei crediti deteriorati. Se le cose si mettono male per queste banche, come sta succedendo proprio a Vicenza, il Fondo deve intervenire e assolvere a uno dei suoi compiti, cioè sostenere la ricapitalizzazione. Così per l’ex Bpvi, che da sola è andata incontro al flop della sottoscrizione del nuovo capitale, Atlante sarà la mano salvifica perché garantirà l’intera copertura, andando a sottoscrivere tutte le azioni per un esborso pari a 1,5 miliardi di euro.

Atlante salverà Vicenza, ma rischia di mettere in difficoltà due istituti solidi, UniCredit e Intesa Sanpaolo, che dovranno sostenere lo sforzo maggiore. Cosa succederà infatti se, come avverrà per la Banca di Vicenza dopo lo stop a piazza Affari, il Fondo dovrà tirare in ballo in modo consistente le banche che contribuiscono al suo funzionamento?

Secondo il professor Nicola Borri, economista all'Università Luiss Guido Carli ed esperto del sistema bancario italiano ed europeo, il rischio è che Atlante “infetti istituzioni relativamente sane”. “Unicredit e Intesa - spiega Borri all’Huffington Post - hanno i loro problemi, ma non sono infette: se devono mettere i soldi in situazioni molto complicate rischiano di infettarsi a loro vicenda. Il Fondo era stato costruito per ridurre il rischio sistemico, ma rischia di aumentarlo”. I mercati oggi hanno dato un assaggio: dopo lo stop a Vicenza i principali titoli del comparto, da UniCredit a Bpm, passando per Ubi, Mps e Banco Popolare, hanno registrato perdite pesantissime in Borsa.

Maggiore è il coinvolgimento degli istituti di credito più solidi nel sostenere l’impegno del Fondo Atlante, maggiori sono i rischi che i mercati percepiscono per l’intero sistema bancario italiano e soprattutto più consistente è la pressione su UniCredit e Intesa. Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy, collega il crollo dei titoli bancari a piazza Affari con questo ragionamento: “E’ insito nel meccanismo con cui funziona Atlante il fatto che gli intermediari finanziari più forti hanno una posizione di aiuto nei confronti dei più deboli per cercarli di rafforzarli: però tanto più questo coinvolgimento dovrà essere forte e profondo, tanto più si innalzeranno i costi dell’operazione”. Ecco perché, spiega, il “crollo dei titoli bancari oggi è il segnale che c’è questa preoccupazione, la preoccupazione cioè che ci dovrà essere un maggior coinvolgimento da parte del settore bancario italiano più forte e solido”.

Ora che il fondo Atlante è chiamato ad entrare in funzione a pieno regime iniziano ad emergere i problemi. Dopo Vicenza con ogni probabilità toccherà a Veneto Banca e anche in questo caso Atlante si troverà probabilmente costretto a fare tutto da solo, sopperendo all’incapacità delle banche fragili di raccogliere consensi e capitale sul mercato. Anche in questo caso UniCredit e Intesa sarebbero chiamate a schierarsi in prima fila. L’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, si è schierato su una posizione attendista, affermando che “si vedrà tra qualche giorno” se sarà necessario un intervento del Fondo e dichiarandosi “sempre fiducioso” sul buon esito dell’operazione di ricapitalizzazione della banca, ma in pochi scommettono in un successo.

A innescare questo meccanismo di tensione in Borsa è stata oggi la Banca di Vicenza. “Il tempo è brutto ma bisogna andare, io sono sicuro che sarà un successo”. Il 5 marzo l’amministratore delegato della banca, Francesco Iorio, pronunciava queste parole per convincere l’assemblea dei soci a dare il via libera alla quotazione. Quell’ottimismo, che si era scontrato con la rabbia degli azionisti nel corso di un’assemblea infuocata tra urla e proteste, oggi è stato stroncato da Borsa Italiana: per Vicenza non c’è posto a piazza Affari perché “non sussistono i presupposti per garantire il regolare funzionamento del mercato”. Un no che arriva a pochi giorni dal flop della sottoscrizione dell’aumento di capitale, che si è fermata a quota 7,66%, cioè circa 115 milioni di euro su un’operazione dal valore complessivo di 1,5 miliardi. Due insuccessi che rendono evidente come la banca, da sola, non ha convinto affatto i mercati sulle scelte compiute.

Meno di due mesi fa per la Banca di Vicenza erano giorni drammatici. L’assemblea dei soci aveva dato un via libera sofferto alla quotazione, insieme ai sì per la trasformazione in Spa e alla ricapitalizzazione, condizioni che la Bce aveva posto come imprescindibili e che gli stessi vertici della banca avevano presentato come inevitabili per non incappare nella liquidazione piuttosto che nel bail-in, cioè il salvataggio interno, o nell’ipotesi di uno spacchettamento. Allora del Fondo Atlante non c’era traccia: oggi senza questo veicolo la ricapitalizzazione sarebbe impossibile. Il Fondo, infatti, sottoscriverà l’intero aumento di capitale e in virtù di questa operazione entrerà in possesso del 99,33% delle azioni per “sostenere la ristrutturazione, il rilancio e la valorizzazione della banca, avendo come obiettivo prioritario l’interesse dei propri investitori”, spiega Qauestio Sgr, la società che gestisce il Fondo.

Quello che neppure il Fondo Atlante riuscirà per il momento a risollevare è l’avventura della Banca di Vicenza a piazza Affari. Addio sogni di gloria. Borsa Italiana ha spiegato il suo diniego, riassumibile in un concetto: lo scarso flottante che si è creato sul titolo. I numeri, più di ogni altro elemento, attestano lo scarso appeal che ha suscitato l’operazione: 4,97% della sottoscrizione è stata sostenuta da Mediobanca, 2,86% da azionisti preesistenti, 0,36% dal pubblico indistinto e 0,10% da nove investitori istituzionali. Sommati fanno 7,66% a fronte di un impegno del Fondo Atlante pari al 91,72% del capitale, che ora arriverà a detenere la quasi totalità delle azioni. Per sbarcare sul mercato serviva un flottante del 25%, una cifra molto lontana per una banca che ora dovrà fare i conti con un futuro ancora incerto.

Dove va ora la Banca di Vicenza? L’istituto vicentino fa trapelare tranquillità: alcune fonti spiegano all’Adnkronos che “l’importante era che la banca fosse messa in salvo ed ora è in salvo”. Concetto, quello della messa in sicurezza, condiviso anche da UniCredit, che attraverso l’a.d. Federico Ghizzoni ha sottolineato come “l’importante è che la banca abbia capitale a sufficienza per poter lavorare tranquillamente e questo obiettivo è stato raggiunto”. A delineare all’Huffington Post i possibili scenari che si aprono ora per la banca è Borri. “C’è la possibilità - spiega - che he il Fondo Atlante faccia da private equity, cioè da società che compra una banca, la ristruttura e la vende: il Fondo, d’altronde, ha un orizzonte abbastanza breve, e quindi può cercare di sistemarla un po’ e rimetterla sul mercato”.

Ci sono poi, secondo l’economista, altre due possibilità. Il Fondo Atlante potrebbe non fermarsi qui: potrebbe comprare anche Veneto Banca e “diventare una specie di holding bancaria, provando a fondere le due banche per creare una nuova realtà”. Il terzo scenario possibile prevede un coinvolgimento più impegnativo da parte dei soci di Atlante e in particolare di UniCredit e Intesa: secondo l’economista della Luiss potrebbero decidere di incorporare Vicenza e poi eventualmente anche Veneto Banca. La grande paura oggi si chiama contagio. I mercati hanno reagito in modo negativo, i titoli bancari sono crollati. L’ombrello di Atlante tiene, ma chi sta sotto ed è chiamato a reggerlo potrebbe fare molta fatica, andando incontro a rischi indesiderati che ora stanno venendo a galla.

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Articolo pubblicato il 03/05/2016