Gioacchino Valerio, medico filantropo torinese

«Chi fosse, che cosa abbia fatto, come l’abbia fatto, chiedetene alle madri» (“Gazzetta Piemontese”, martedì 10 gennaio 1882) – seconda parte

Nei due giornali, Gioacchino, convinto divulgatore di nozioni scientifiche, ottiene la collaborazione di insigni studiosi: lo zoologo dell’Università Giuseppe Genè (Turbigo, 1800 - Torino, 1847) pubblica una serie di articoli che sfatano i pregiudizi al tempo molto diffusi tra il popolo al riguardo degli animali.

Ancor più rilevanti sono gli articoli divulgativi di medicina: quelli di “igiene popolare”, del dottor Bernardino Bertini, e quelli sulle malattie dei bambini, numerosi e pregevoli, del dottor Angelo Camillo Maffoni, uno dei primi studiosi di pediatria.

Gioacchino si impegna anche in campo pratico: nel 1838 collabora col professor Casimiro Sperino e col dottor Maffoni, medici benemeriti, per l’apertura di un Dispensario oftalmico gratuito che, nel 1844, è inserito nell’Ospedaletto per i bambini poveri di via dei Pescatori (oggi via Matteo Pescatore), embrione dell’ Ospedale Oftalmico, di cui Gioacchino è quindi un fondatore.

In stretta collaborazione col fratello Lorenzo, nel rigidissimo inverno 1844-1845, Gioacchino si impegna per soccorrere i poveri, in particolare con l’apertura in vari quartieri di Torino di pubblici “scaldatoi”, locali riscaldati dove accogliere durante il giorno i poveri, con distribuzione di cibo e vestiti ed impiego in eventuali attività. La cittadinanza torinese collabora con entusiasmo, fornisce considerevoli aiuti economici e materiali ma l’iniziativa, malvista dai permalosi governanti del tempo, viene vietata.

Gioacchino pubblica una elaborata relazione della attività dello scaldatoio di Borgo Dora, vissuto spaccato della difficile esistenza delle classi povere torinesi.

Nel 1848, Lorenzo e Gioacchino sono eletti al Parlamento Subalpino ma, dopo qualche anno, Gioacchino preferisce ritornare alla sua attività di medico igienista, alle opere di beneficenza e all’educazione popolare. Nel 1859, cura i feriti dell’esercito francese ricoverati a Torino poi raccoglie le sue osservazioni in un rendiconto corredato da tavole statistiche. È insignito della Legion d’onore.

In Torino non più capitale del Regno d’Italia, Gioacchino opera soprattutto come medico molto attento alle malattie dei bambini. È solito ripetere che da piccolo ha sofferto per la mancanza di adeguate cure mediche e di prodigarsi perché i nuovi bimbi abbiano tutte le cure possibili. Riesce a superare i suoi problemi fisici e svolge la professione con grande impegno: si reca ovunque e da chiunque lo chiami, condivide le ansie e i dolori di chi confida nella sua opera di pediatra. È medico gratuito di molti asili infantili.

Pare strano che l’impegno in campo pediatrico di Gioacchino Valerio non venga associato a quello del dottor Secondo Laura (1833-1902), fondatore dell’Ospedale Infantile “Regina Margherita” di Torino, grazie al determinante aiuto della massoneria torinese.

Gioacchino appare al di fuori di queste iniziative, conduce la sua attività di medico in modo individuale, anche con un rilevante impegno in campo divulgativo. È autore di scritti, soprattutto di educazione sanitaria, dove espone le sue esperienze personali. Come lo descrive il suo biografo dottor Berti, Gioacchino è « … attento e curvo sulla culla del bimbo, [ne studia] i primi vagiti, gli istinti e le cause delle prime espressioni del dolore».

Nasce così il libro “La vita nei fanciulli. Norme e consigli alle novelle madri di famiglia” che Gioacchino definisce «il mio testamento». La prima edizione è del 1865, seguita da una seconda, ampliata, del 1871 e da una terza del 1879, con l’aggiunta di nuovi capitoli.

Accolto con entusiasmo dalle madri, “La vita nei fanciulli” è assai diffuso tra la popolazione e apprezzato dai medici. Scritto in forma discorsiva, di facile comprensione e ricco di consigli pratici, combatte i pregiudizi popolari delle comari ma critica anche le mode, come veglioni e balli, nocive per le future mamme, e osteggia l’allattamento con balie. “La vita nei fanciulli” viene premiato a Roma nel 1880 con medaglia d’argento al Congresso dell’istruzione pubblica.

L’anno precedente, il re Umberto I ha nominato Gioacchino Commendatore della Corona d’Italia.

Per quanto concerne la vita privata, Gioacchino sposa Adele Galletti, di famiglia torinese, da cui ha due figlie, Maria e Lorenza. Va in vacanza a Settimo Vittone oppure a San Secondo di Pinerolo, dove più che riposare, cura i malati locali.

Gioacchino, colpito da un improvviso malore, muore a Torino, il 9 gennaio 1882, mentre esercita ancora la professione medica e si sta avviando al suo giro di visite. Nell’annunciarne la morte, la “Gazzetta Piemontese” del 10 gennaio 1882, ne sottolinea la dedizione ai pazienti: ha mormorato “Malati” come ultime parole.

Nell’imminenza della scomparsa, Gioacchino è onorato. Il presidente del consiglio Agostino Depretis, anche lui nativo del regno sardo, invia alla vedova le sue condoglianze dove lo definisce «antico e caro amico» con cui ha condiviso i primi momenti del movimento risorgimentale.

Il dottor G. Berti lo commemora all’Accademia di Medicina di Torino, il 22 dicembre 1882 e questa sua commemorazione, pubblicata l’anno successivo nel “Giornale” dell’Accademia, rimarrà la sua più ampia biografia.

Anche se la “Gazzetta Piemontese” nell’annunciarne la morte ha scritto «Quanti oggi lo piangono, e per quanto tempo lo piangeranno ancora!», Gioacchino ben presto è dimenticato: si trova qualche accenno nelle biografie del fratello Lorenzo, che non sono certo numerose, e sono pochissime le notizie oggi reperibili in rete.

Fine della seconda e ultima parte

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Articolo pubblicato il 04/05/2016