“Guaj a col ch’a s’ancaprissia / ëd volči giusta la giustissia!”

I versi della poesia di Angelo Brofferio – scritti il 17 aprile 1831 - ci ricordano che la Giustizia umana č sempre fallibile, ieri come oggi e come domani

Il 17 aprile 1831, Angelo Brofferio (Castelnuovo Calcea, Asti, 1802 – Minusio, Canton Ticino, 1866) è “ospite” delle Carceri Correzionali di Torino e scrive la poesia in piemontese intitolata “La pratica legal” (La pratica legale) che comparirà in seguito nelle varie raccolte delle sue “Canzoni Piemontesi”.

La riportiamo nella grafia originale delle “Canzoni Piemontesi” pubblicate a Torino nel 1886 dall’editore Casanova, con la traduzione in italiano.

 

Dal giorno in cui gli uomini hanno deciso

di vivere insieme da buoni amici,

che della terra un pezzo per volta

se ne sono presi tutti un poco,

da quel momento, da quel giorno

tutti assieme hanno capito

che per vivere in amicizia

bisognava fare giustizia.

 

E allora tutti insieme

Si sono stampati un presidente,

che, per iniziare subito

a fare onore al suo lavoro,

quello che c’era di buono e di bello

se lo è sgraffignato tutto per lui

senza neanche un filo di malizia,

soltanto per fare giustizia.

 

Gira di qui, aggiusta di là,

il latino non è mai cambiato;

sempre il furbo ha ragione

alle spalle del minchione;

sempre il debole ha torto

quando si scontra con il forte;

è insomma una delizia

la bilancia della giustizia.

 

Quel poveruomo con dieci figli,

che è stato per carità

scorticato vivo da un mascalzone

con due righe di transazione,

dopo che gli avvocati lo hanno

trascinato da Erode e da Pilato,

gli è venuta l’itterizia,

e la morte ha fatto giustizia.

 

Quel famoso bancarottiere

Che sembra figlio del re di denari,

che ne ha già fatte a Torino

più che Bertoldo e Bertoldino,

prosperoso, grasso e rotondo,

lui se ne impipa di tutto il mondo,

e con cassia e liquirizia

manda a spasso la giustizia.

 

Quel serissimo magistrato

Che si addormenta stando in Senato (Corte d’Appello),

che la sua parrucca e il suo cappello

conoscono il codice meglio di lui,

che secondo come ha dormito

dice di no oppure dice di sì,

quel vicario della pigrizia

è un oracolo della giustizia.

 

Quell’amabile senatore (giudice di Corte d’Appello),

cugino primo del becchino,

alleato di tutti quelli

che fanno la corda (boia) e controllano i catenacci (carcerieri),

lui, trattandosi con procedimento in breve

di allungare il collo e di tirare i piedi,

schiavo! crepa l’avarizia,

impiccherebbe persino la giustizia.

 

Se un parente vuole prendervi il letto,

dateglielo subito e state quieto;

se un amico vi rompe un braccio,

ringraziatelo, e andatevene a spasso;

guai a chi si fa mettere

in tasca dei documenti giudiziari!

Guai a chi si ostina

nel volere giusta la giustizia!

Nelle Carceri Correzionali, 17 aprile 1831.

 

Nella sua poesia “La pratica legal” Angelo Brofferio sintetizza i limiti della   Giustizia umana, sia civile che penale, fallibile ieri come oggi e come lo sarà domani, comunque ed ovunque, con i suoi versi immortali: Guaj a col ch’a s’ancaprissia / ëd volèi giusta la giustissia! (Guai a chi si ostina nel volere giusta la giustizia!).

Angelo Brofferio, oltre che un noto avvocato torinese, è anche giornalista, scrittore, poeta in lingua piemontese e commediografo. Ribelle e idealista, mentre studiava legge all’Università di Torino aveva partecipato, senza gravi conseguenze, ai moti del ’21.

Nel 1831, è coinvolto nella congiura dei Cavalieri della Libertà, organizzata da un gruppo di giovani ufficiali dell’Esercito per ottenere dal Re di Sardegna la concessione di una Costituzione. Arrestato il 2 aprile 1831, ha ottenuto la libertà grazie a rivelazioni sui congiurati. Gli viene perciò rivolta l’accusa di essere stato un delatore, in vita, dai suoi avversari politici, e, modernamente, da alcuni storici.

Dopo il 1848, Brofferio è Deputato, schierato alla Sinistra del Parlamento Subalpino e avversario politico di Camillo Cavour.

Brofferio è un personaggio complesso che presenta sia luci che ombre. Ha il merito di aver lasciato vari libri, brillanti e ironici, che ci forniscono una lettura non piattamente celebrativa del Risorgimento, anche se vi appare egocentrico ed esibizionista.

Brofferio è monarchico, ma non troppo, massone e acceso nemico del potere temporale della Chiesa. Con polemiche giornalistiche e con le sue canzoni in lingua piemontese mette in ridicolo i politici reazionari, gli ecclesiastici bacchettoni e i nobili conservatori.

Le sue poesie e canzoni in lingua piemontese, che ai suoi tempi hanno riscosso un buon successo popolare, hanno ottenuto, nel volgere dei tempi, il “consenso” dell’intellighenzia torinese di opposte tendenze politiche.

Brofferio è uno dei pochissimi protagonisti della vita politica risorgimentale che in Torino ed in Piemonte abbiano mantenuto una certa fama e qualche simpatia: nel Pantheon piemontese, ormai asfittico e imbalsamato, occupa una posizione di vitalità, forse unica, legata anche alle sue canzoni piemontesi, ma che oggi appare limitata a ristretti ambienti culturali e musicali impegnati, politicamente schierati.

 

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Articolo pubblicato il 17/04/2016