La scuola italiana nei decenni di fine Ottocento

Uno spaccato interessante di una realtà socio-culturale poco nota

La ricerca d’ archivio, sintetica e nello stesso tempo molto documentata, del dr. A. Cravioglio – esperto di economia e di finanza pubblica – apre uno squarcio sulla realtà dell’ istruzione pubblica elementare (primaria) di fine ottocento-primo novecento che, con grande probabilità, potrebbe essere nota solamente agli studiosi specializzati in questa materia.

Di fatto questa realtà ci sorprende per la durezza delle condizioni di vita dei ceti popolari disagiati dell’ epoca, i cui figli erano obbligati a seguire un percorso scolastico elementare contrassegnato da difficoltà e da disagi ad oggi inimmaginabili.

Tuttavia la ricerca fotografa la realtà dell’ epoca per evidenziare la grave situazione di analfabetismo della popolazione, le leggi che dopo l’Unità d’ Italia hanno regolato il tentativo di creare un ordinamento dell’ istruzione obbligatoria, il rilevante fenomeno della dispersione scolastica, la difficoltà dei Comuni nel garantire almeno una parte della copertura finanziaria, la distribuzione sul territorio nazionale dell’ edilizia scolastica ed altre rilevanti e gravi problematiche.

Interessante la focalizzazione sulla gerarchia del personale insegnante, dove la figura della “maestra” era già retribuita molto meno rispetto ai colleghi “maestri” e dove i carichi di lavoro si presentavano pesanti se non sovente critici.

L’ aspetto importante ed immediato di questa ricerca sono sicuramente i punti sopra esposti, ma auspico che possa avere anche un’ altra finalità e precisamente quella di gettare un sasso nello stagno per stimolare la prosecuzione di ulteriori, approfondite e sistematiche ricerche in merito.

Pensare che la complessa storia della istruzione pubblica italiana (dall’Unità d’ Italia ad oggi) possa rinunciare ad arricchirsi di questi contributi complementari di “storia minore”, territoriale e particolare, sarebbe una grave mancanza per la conoscenza reale dell’ affermazione del difficile processo scolastico nazionale.

Di certo c’ è un enorme lavoro archivistico da svolgere, probabilmente anche con nuove figure professionali da creare per questo obiettivo, ma ne varrebbe la pena per l’ importante posta in gioco.

Come sempre un ringraziamento all’ Autore e buona lettura.

LA SCUOLA NEI DECENNI DI FINE OTTOCENTO

L'ordinatissimo Archivio storico di un Comune del torinese dal quale abbiamo attinto molte notizie sull'uso dei farmaci e sul funzionamento di un "armadio" farmaceutico sul finire del 1800, risulta prezioso anche per ripercorrere l'evoluzione dell'istruzione pubblica nei piccoli centri.

In Italia, dopo l'unificazione del 1861, la svolta rilevante nel sistema scolastico primario si ha con la legge del 1877 (legge Coppino) che stabilisce la durata quinquennale, su un triennio ed un biennio, con spese a carico dei Comuni, ma con un primo apporto finanziario (parziale) dello Stato.

Considerato che l'obbligatorietà della frequenza, già stabilita con la legge Casati nel 1859, non era di fatto osservata da molte famiglie che, per necessità e per consuetudine, destinavano la prole al lavoro dei campi, le disposizioni del 1877 vincolano maggiormente gli enti locali perché si provveda almeno per l'assolvimento dell'obbligo del primo triennio, sia per i maschi che per le femmine.

Va detto però che moltissimi Comuni, specie se rurali e montani con scarse risorse, non erano in grado di assumere dei maestri, oppure ne ingaggiavano per tempi limitati anziché per l'intero anno scolastico.

Nel Meridione poi, solo le città di una certa importanza avevano provveduto a dotarsi di alcune strutture scolastiche pubbliche, essendo l'istruzione monopolio quasi esclusivo del clero, ovviamente dietro congruo compenso.

Le conseguenze di tale scarso interesse sono sintetizzate dai dati del censimento del 1871, laddove in Piemonte gli analfabeti rappresentavano il 50% degli adulti (minimo nazionale, un risultato che, per i tempi e per il contesto italiano, va a merito dell'azione intrapresa dal re Carlo Alberto fin dal 1842), in Toscana il 72%, nelle Puglie oltre l' 86% e così via.

Nel Comune oggetto della nostra ricerca si registra un evento fondamentale, ovvero la costruzione di un edificio specifico che, iniziato nel 1875, verrà inaugurato nel 1879 strutturato su due sezioni separate, maschile e femminile, ed anche con una piccola abitazione per insegnanti.

Una grande innovazione, poiché fino a quel momento le aule, in molti casi una sola aula per tutte le classi, ma sempre con separazione tra maschi e femmine, erano in locali di ripiego, in genere riscaldati a cura degli scolari (nel senso che ognuno portava la legna per alimentare la stufa installata nel locale!), e con servizi igienici primitivi.

Con il nuovo edificio si varano anche le diverse sezioni, tutte per il primo triennio, vale a dire (riportiamo la denominazione dell'epoca): maschile unica rurale, femminile unica rurale, mista irregolare; quest'ultima funzionante solo per una parte dell'anno per gli scolari di una frazione più lontana dal concentrico, i quali sono dispensati nel periodo più rigido e nevoso, dovendo percorrere circa tre km, ovviamente a piedi (in un contesto collinare e pedemontano non certo agevole per gli spostamenti); negli stessi locali viene anche aperta una "scuola festiva" femminile destinata al recupero di quelle giovani di età tra 10 e 18 anni che non hanno potuto frequentare i corsi primari a tempo debito in quanto non ancora istituiti per le bambine.

Gli insegnanti sono tre: due maestri, uno patentato (che dispone anche di alloggio) ed uno tirocinante, ed una maestra, che prestano la loro opera anche nella scuola festiva; i loro compensi sono differenziati in funzione appunto dell'esperienza e pure del sesso.

In totale essi costano al Comune, sempre intorno al 1880 lire 1.345 annue, da cui si deduce come gli stipendi fossero modesti, considerato che negli stessi anni un cantoniere percepiva circa lire 400 annue, e non deve stupire che, all'epoca, la maestra percepisse un compenso di circa il trenta percento inferiore al maestro di pari grado.

Normale per i tempi, in tutta Europa, considerare l'insegnante della sezione femminile come persona di minore preparazione e con più lieve impegno.

Il carico di lavoro di questi maestri non è davvero lieve, in quanto i frequentanti da sei a nove anni iscritti risultano in numero di 178, maschi e femmine in eguale misura; tale entità si riduce però a circa la metà a fine anno, quando si tirano le somme del lavoro svolto, quindi con un'incidenza degli abbandoni da considerarsi elevata, ma non straordinaria per i comuni rurali.

Alla sezione festiva destinata al recupero, le iscritte sono inizialmente 81 ma alla fine del corso si riducono a sole 27, quindi con una dispersione di due terzi che dimostra come sia difficile impartire l'istruzione quando ormai le persone sono assorbite dalle loro occupazioni, in genere alquanto gravose come orario.

Consideriamo che l'anno scolastico inizia ad ottobre e termina verso il 10 luglio, dunque un impegno non indifferente per chi insegna e per chi vuole seguire con profitto.

Abbiamo accennato all'inizio che il ciclo primario consisteva in un triennio ed un biennio, ma in moltissimi Comuni, come quello qui esaminato, l'istituzione del biennio non era ancora prevista a causa della mancanza di risorse finanziarie comunali.

Al termine del triennio era previsto un esame "di proscioglimento" e chi non lo superava doveva ripetere la frequenza del terzo anno, al limite fino all'età di 12 anni.

Dall'esame dei registri, apprendiamo che questo esame ha tre prove scritte (un saggio di buona scrittura, un componimento italiano, un problema di aritmetica e sistema metrico), l'orale verte su tutte le materie (in sostanza, oltre alla lingua italiana ed all'aritmetica, anche nozioni varie di storia e geografia, scienze, disegno, diritti e doveri, ginnastica); si deve ottenere , nel complesso, la sufficienza media di sei decimi, ma comunque non meno di sei in lingua italiana e aritmetica.

Coloro che si iscrivevano al biennio (quarta e quinta classe) dovevano recarsi nelle scuole dei centri di maggiore importanza (distanti parecchi kilometri), oppure presso scuole gestite da enti religiosi.

Il biennio si concludeva con l'esame di "licenza elementare superiore", al termine del quale i giovani delle famiglie agiate venivano instradati verso il ginnasio (scuola media), mentre gli altri, se meritevoli, affluivano alle scuole serali o festive "di complemento" con durata annuale.

Sia i ginnasi che le scuole di complemento erano però istituiti solo nei capoluoghi di provincia o di mandamento, e pertanto comportavano, per i giovani delle zone decentrate o montane, la permanenza presso parenti, oppure in convitti religiosi, con oneri aggiuntivi che poche famiglie potevano affrontare.

Finalmente, nel 1884 cominciano ad apparire, qui e là, ma con molto ritardo rispetto agli altri maggiori Paesi europei, le scuole per l'istruzione industriale e commerciale e per l'insegnamento di arti e mestieri; lo apprendiamo dalla grande 'Esposizione Generale di Torino, dove in una sezione dedicata per la prima volta alla scuola interviene anche il Ministero con finalità promozionali proprio per i corsi diversi da quelli della tradizionale cultura umanistica.

Solo con le riforme introdotte dai vari governi Giolitti (1903-1914), in primo luogo con il coinvolgimento dello Stato negli oneri per l'istruzione primaria, si realizzerà un ulteriore, fondamentale passo avanti: infatti, si dispone che in ogni comune con almeno 40 ragazzi in età scolare sia aperta una scuola e poi (legge Credaro del 1911) si statuisce che gli stipendi degli insegnanti passino gradualmente a totale carico della spesa statale.

Antonio Cravioglio

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Articolo pubblicato il 18/04/2016