Torino, 27 marzo 1961: “Bandiere per Torino”

La strampalata iniziativa di Giulio De Benedetti, mitico direttore de La Stampa dal 1948 al 1968, ebbe molto successo

Domenica 27 marzo 2016, sui social network è stato ricordato che il 27 marzo 1861 il Parlamento italiano aveva proclamato Roma come capitale del regno d’Italia.

Mi è venuto alla mente un passo del libro “Andavamo a scuola alla Boncompagni”, scritto da mia moglie Donatella Cane in collaborazione con Lina Pennisi, pubblicato dall’Istituto comprensivo “A. Pacinotti” di Torino nel 2008, dove era descritta l’iniziativa “Bandiere per Torino” attuata il 27 marzo 1961.

Ho ritenuto interessante rievocarla per i Lettori di “Civico20News”, riprendendo direttamente il testo del libro di mia moglie, con la precisazione che le citazioni di Vittorio Messori provengono da Messori V., Dodicimila giorni torinesi, in Messori V. e Cazzullo A., Il mistero di Torino, Milano, 2004 (m.j.).

 

[…] nel 1961, dal 6 maggio al 31 ottobre, si svolsero le celebrazioni torinesi del centenario dell’Unità d’Italia, note come Italia ’61.

L’apertura di Italia ‘61 fu preceduta da una strampalata iniziativa nota come “Bandiere per Torino”, che ebbe però molto successo […].

La campagna “Bandiere per Torino”, oggi dimenticata, è stata ricostruita da Vittorio Messori (2004). Per comprenderla appieno, bisogna rammentare Giulio De Benedetti (1890 - 1978) mitico direttore de La Stampa dal 1948 al 1968, personaggio dalla complessa personalità con aspetti anche non positivi.

Fu certamente un grande direttore che riuscì ad accentrare nella Stampa il monopolio dell’informazione giornalistica in Piemonte. Piccolo di statura, noto per il girocollo bianco sotto il doppiopetto bleu, con un ricciolo alla Macario, dominò grazie al giornale la vita torinese, senza mai apparire in pubblico.

Despota con i dipendenti, umorale e spesso fazioso (aggettivi usati da Messori) nei confronti delle realtà cittadine, Giulio De Benedetti creò “Specchio dei tempi”, la fortunata rubrica della Stampa.

Nel 1961, prendendo spunto da una lettera di questa rubrica, forse nemmeno autentica ma creata in redazione, La Stampa decise che, in un giorno simbolo di quell’anno, i torinesi avrebbero dovuto esporre una bandiera tricolore ad ogni finestra.

La logica avrebbe suggerito il 17 marzo 1961, data della proclamazione del Regno d’Italia, ma il giornale si era dato una curiosa regola: si elogiavano e si ricordavano con nostalgia le virtù civili e militari del vecchio Piemonte, ma senza mai fare alcun riferimento al fatto che il vecchio Piemonte era il regno dei Savoia. Anche le manifestazioni del 1961, del resto, si adeguavano a questa curiosa regola: si parlava di centenario dell’Unità d’Italia (in realtà realizzata nel 1918) e non di centenario del Regno d’Italia. Comunque sia, De Benedetti escluse la data della proclamazione del regno e per l’esposizione delle bandiere optò per il 27 di marzo.

Si trattava di una scelta quanto mai inopportuna e impopolare, in quanto il 27 marzo 1861 era il giorno in cui il neonato Parlamento italiano aveva proclamato che Roma, ancora fuori dal regno d’Italia, ne sarebbe di certo divenuta la capitale.

Era una scelta inopportuna e impopolare perché i torinesi già nel 1961 guardavano con sospetto a Roma, considerandola una avida predatrice di risorse torinesi (come la RAI), popolata da burocrati inaffidabili, fannulloni e maldisposti verso il Piemonte.

Scrive Messori: «Ho sempre sospettato che il dispettoso Giulio [De Benedetti], che pare godesse davvero nel mettere a disagio il prossimo, avesse scelto quella data per gustarsi una sua gioia maligna. Oppure che l’avesse fatto per rendere ancora più saporosa la sfida: indurre i lettori, anche se renitenti, a fare ciò che il giornale aveva deciso di far fare loro. La potenza del giornale sarebbe apparsa ancor più chiaramente».

La Stampa per oltre un mese martellò i lettori con lo slogan “Bandiere per Torino! Nessuna finestra senza un tricolore!”. Da notare che la bandiera bisognava comperarla oppure confezionarla in casa, il giornale lanciava l’appello ma non pensava certo a fornire la materia prima.

Messori ricorda: «Venne il fatidico 27 di marzo. Non era festa, quel giorno [era lunedì]: la data … era stata riesumata a freddo… [in ogni angolo di Torino] … non si vedevano quasi le mura degli edifici, tutto era coperto da una distesa verde, bianca, rossa. Spettacolo sconvolgente: più che un senso di festa, dava un brivido di inquietudine, quasi di paura. Tale, dunque, era la forza di persuasione di quel giornale? …». […]

Donatella Cane ricorda: «Allora abitavo nella palazzina Fenoglio La Fleur. La nostra vicina e padrona di casa, da un baule tenuto in soffitta, aveva tirato fuori delle grandi e pesanti bandiere tricolori in lana, ancora con lo stemma sabaudo.

Diceva di averle utilizzate per imbandierare la sua casa di Trieste quando questa era divenuta italiana nel 1918.

Con quelle bandiere avevamo addobbato tutto il secondo piano della casa, balconi e finestre, su via Principi d’Acaja e su corso Francia, con l’accortezza di disporre la parte bianca un po’ ripiegata in modo da mascherare lo stemma sabaudo.

Una delle bandiere era così grande che da sola, e per di più increspata al centro, riusciva a rivestire tutto il bovindo della casa. Nel pomeriggio, durante una passeggiata con mia mamma, mi ero divertita a contare quante erano le bandiere esposte che portavano lo stemma sabaudo. E non erano poi così poche».

Le foto dell’immagine di apertura si riferiscono ai festeggiamenti del 2011 per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia: le bandiere con lo stemma sabaudo erano sempre presenti! (m.j.)

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Articolo pubblicato il 28/03/2016