RENZO ARBORE & L'ORCHESTRA ITALIANA: trionfo. Punto e a capo.

Toni CAMPA e Luciana DE BIASE riportano a Torino l'artista foggiano e realizzano un clamoroso, doppio sold out.

Raccontare un concerto di Renzo Arbore & l’Orchestra Italiana, vuol dire raccontare un mito.

Un mito italiano nel mondo da un quarto di secolo a questa parte.

Un mito che Toni Campa e Luciana De Biase regalano alla nostra città ormai da quindici anni dandoci la possibilità di assistere ad uno spettacolo incredibile, per quello che è diventato un appuntamento fisso, anzi: “l’Appuntamento”.
Come mi confida poco prima dell'inizio dello show, per Toni Campa Renzo Arbore è:"La Tv che cammina...intendo dire che la televisione è statica, mentre lui la porta in giro...insomma, la televisione, la radio e lo show che camminano insieme".

Quest’anno poi la prevendita bruciata in poche ore, ha praticamente obbligato gli organizzatori a raddoppiare lo spettacolo.

Risultato: due concerti al Teatro Alfieri, 7 e 8 Marzo, con la sala entusiasta e piena da scoppiare.

Competenza, professionalità e lungimiranza: la ricetta di Toni & Luciana, premiata anche dalla presenza del Sindaco Piero Fassino, quanto mai coinvolto nello spettacolo.

Spettacolo che comincia idealmente dov' era finito quello del 31 Dicembre 2012 in Piazza San Carlo, proprio qui a Torino: si apre il sipario e le note di “Reginella” invadono il teatro, con l’accompagnamento del Coro Cai Uget, per un commosso e sentito omaggio al compianto Maestro Roberto Murolo.

Coro che aveva accompagnato Arbore e i suoi orchestrali nell’ormai mitico Capodanno di quattro anni fa e che regala al pubblico un’altra chicca: “Piemontesina” cantata dal Maestro “in stile disco a 78 giri”, perché “le canzoni dell’infanzia sono le più importanti e non si dimenticano mai”.

Il resto dello show è un susseguirsi di emozioni in musica: quella sapiente miscela di classicismo e modernità, contaminazioni latino-arabeggianti che hanno fatto di Renzo Arbore & l’Orchestra Italiana, un brand unico ed inimitabile nel panorama musicale internazionale.

Testi immortali, come confermerà proprio il Maestro nell’intervista che potrete leggere fra poco, condita da musiche moderne ed attuali, e qui il plauso va speso, forte, anzi fortissimo all’ensamble di musicisti che accompagna lo showman foggiano sul palco: professionisti di assoluta bravura e dalla tecnica sopraffina, che riescono come pochi altri a trasmettere al pubblico il loro amore per la musica (”la musica è vita” come mi dirà Gianni Conte, il lead vocal, dopo lo spettacolo).

Arrangiamenti che esaltano strumenti a volte messi in secondo piano, come i mandolini, le chitarre classiche o la fisarmonica e che uniti ad un set di percussioni e ad un basso semplicemente esplosivi, fanno tremare i muri del teatro di Piazza Solferino: la “Italian country polka” ne è prova lampante.

Non mancano i tributi ai grandi artisti del passato: “Malafemmena” del Principe Antonio De Curtis, da brividi, “Piove” di Domenico Modugno, presentata in versione “nightclubbing” e "Mamma mi piace il ritmo" di Natalino Otto, in versione “swing-goliardica”.

Poi, naturalmente l’attesissima “Come facette mammeta”, esatto compéndio di quanto scritto poc’anzi, un divertente medley basato sulle canzoni del Renzo Arbore “televisivo” e “Luna rossa”, sulle cui note cala il sipario.

Uno show memorabile, condito dai frizzi e lazzi del Gran Cerimoniere che, da consumato “enterteiner”, diverte la platea con una serie di gags e di battute all’insegna della goliardia più schietta, anche parlando di sesso con il coinvolgimento degli orchestrali, ma senza mai cadere nel volgare.

Lascio ora la parola al Maestro.

Maestro, devo confessarle che grazie a lei, nel lontano 1977, avevo appena sedici anni, ho cominciato a fare radio. Ascoltavo le sue trasmissioni e mi è venuta l’ispirazione…

Eh, grazie (sorride, ndr)…davvero? Molto bene! Fai ancora radio?

No, non più. Adesso faccio il giornalista, mi piace molto, ma la radio…mi manca!

Ci credo! Anche a me!

Comunque, nostalgia a parte, benvenuto nuovamente a Torino, città in cui lei ormai è di casa!

Si, sono di casa! Sono venuto recentemente a presentare il mio ultimo libro, che si chiama “E se la vita fosse una jam session”, al circolo dei lettori, c’era tanta gente, abbiamo avuto un grande successo, poi torno sempre, ogni anno, a fare almeno due concerti qui al Teatro Alfieri. Poi Torino è una città che io amo moltissimo. Ieri e oggi mi sono fatto delle passeggiate meravigliose: sono andato alla chiesa della Consolata, ho passeggiato in via Garibaldi, ho attraversato piazza Vittorio Veneto…è una consolazione per me venire a Torino.

Grazie a nome di tutti i torinesi! Maestro, parafrasando il suo ultimo libro, le vorrei chiedere: e se la vita NON fosse una jam session…di Renzo Arbore che ne sarebbe stato?

Guarda…io ero molto timido, quindi per me il fatto della jam session è stata una scappatoia…l’improvvisare…perché se avessi dovuto ricordare le cose, prepararle, recitare, come fanno in tanti, anche per far ridere, non ci sarei riuscito. Infatti come attore cinematografico sono un po’ cane. Ho fatto dei film, è vero, ma sono abbastanza cane, ripeto. Mentre quando improvviso allora…però se non avessi fatto questo mestiere ne avevo altri che mi aspettavano, uno dei quali era il magistrato: avendo studiato giurisprudenza, mi sembrava un mestiere molto nobile. Giudicare gli altri uomini nel bene e nel male è importantissimo, come fare il medico…

L’improvvisare le ha dato grandi soddisfazioni: lei ha riscritto le regole del cinema, ha inventato il modo di fare radio e un modo alternativo di fare televisione.

Grazie! (sorride, ndr) Li per li non ci ho mai fatto caso. Ma rileggendo il mio libro e riguardando il materiale che sta uscendo nelle edicole con il Corriere della Sera, su dvd, pubblico le mie malefatte…usciranno i prototipi delle mie trasmissioni che non sono soltanto “Quelli della notte” e “Indietro tutta”, ma anche “Il processo a Sanremo”, “I sessant’anni della radio”, “l’Altra Domenica”…devo dire che ho visto per la verità, un po' per fortuna un po' per la mia fissazione per il jazz, l’improvvisazione, a differenza di tutti quelli che fanno il varietà , per esempio, sia televisivo che radiofonico: scrivono, prendono appunti, tagliano. Io sono sempre andato a braccio. Anche perché tutte le sere, quando facevo i programmi tv non avevo neanche il tempo di pensare. Devi soltanto affidarti alla sorte.

Immagino…ma dopo tv, radio e cinema, e anche letteratura, c’è ancora un campo in cui lei può o vuole riscrivere le regole? Che so…internet, teatro…

Mah…dici bene…il teatro si potrebbe fare…per la verità Pietro Garinei mi diceva sempre di andare al Teatro Sistina con la mia banda e di improvvisare…effettivamente il teatro…ma non ci sono più gli improvvisatori e ti dirò che è il motivo per il quale non faccio più televisione. Quei talenti che io ho scoperto da Pazzaglia a Catalano, poi Ferrini, Benigni e Troisi, erano tutti improvvisatori. Adesso ci sono dei grandi confezionatori: si scrive, si fa. Recitano, anche benissimo, alcuni, però quella razza di cui ti parlavo è scomparsa.

Maestro, parliamo per un attimo di musica: “Napoli. Punto e a capo” è uscito nel 1991. E’ passato un quarto di secolo ormai. Dopo aver girato ogni angolo del pianeta, riscuotendo ovunque un successo clamoroso, può dirci quale è stato il segreto di quel progetto?

Guarda, il segreto è la bellezza delle canzoni. Persino gli artisti napoletani le sottovalutavano. Pensavano che fossero canzoni del passato. Io parlando proprio con i tenori, con dei soprano, anche non italiani che cantavano le canzoni napoletane, dicevo e pensavo che si trattava di canzoni eterne, come le aree del melodramma. Sono canzoni che non hanno tempo. E molte delle liriche sono assolutamente valide anche oggi, per bellezza e poesia. Quindi il segreto è aver tanta passione, musicisti bravi che amano la musica moderna ma anche la tradizione e quindi mescolare la tradizione, la melodia napoletana con i ritmi più attuali. Lezione che abbiamo imparato da Renato Carosone.

Per chiudere…confermiamo un pettegolezzo…è vero o no che lei è stato il primo ad indossare i blue jaens a Foggia?

(ride, ndr) Sicuramente Si! Li presi in un mercatino…”King” si chiamavano…poi sono andato a Napoli e lì eravamo tre o quattro a portarli…c’erano gli americani. Ma i jeans non si vendevano ancora nei negozi, si andava al mercatino americano e forse Carosone e Nisa, il paroliere, si sono ispirati a me o quegli altri due o tre con i quali facevo combutta…sai a Napoli all’epoca i giovani si vestivano in modo molto elegante, era la fine degli anni ’50…insomma così è andata…

Può dirmi, in confidenza, come reagì suo padre o sua madre, a vederla con i jeans…cosa le dissero… in dialetto foggiano…

Eh…mi dissero…che sono questi pantaloni da elettricista?...(risatona generale, ndr)…sai c’erano le tacche sui fianchi ed erano senza risvolto, senza piega. Pantaloni da operaio! dicevano…perché devi vestirti da operaio?...sai all’epoca ero studente…(sorride, ndr)…grande rimpianto!

Maestro, la ringrazio per la disponibilità e la simpatia. E’ stato un onore per me poter parlare con lei.

Per carità! Grazie tante e tanti auguri per il tuo lavoro!

Stay always tuned !!!

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Articolo pubblicato il 09/03/2016