Cronache criminali del passato

Il caso della bimba decapitata dalla babysitter, avvenuto a Mosca il 29 febbraio di quest’anno, trova riscontro in un caso analogo accaduto a Parigi il 4 novembre 1825, ben noto alla pubblicistica scientifica e sensazionalistica francese

Attenzione: questo testo contiene descrizioni e immagini forti, che potrebbero urtare la sensibilità di qualche Lettore!

 

A Parigi, il 4 novembre 1825, poco dopo mezzogiorno,  una giovane donna di 27 anni, cameriera in un hotel-garni di rue de la Pépinière entra per comperare un pezzo di formaggio di Brie nel negozio di frutta dei coniugi Belon, posto nella casa contigua all’hotel.

La giovane donna, che si chiama Henriette Cornier, lavora soltanto da alcuni giorni presso l’hotel ma si è già recata più volte dai Belon per comperare da mangiare. Poco espansiva e piuttosto triste, Henriette è stata ben accolta dai Belon perché ad ogni sua visita ha accarezzato, quasi con passione, Fanny, la loro affascinante bambina bionda di 19 mesi, di cui sono orgogliosi. I fruttivendoli Belon, entrambi di 34 anni, oltre a Fanny, hanno anche un bambino ancora a balia.

Anche quel 4 novembre 1825, Henriette inizia ad accarezzare Fanny, dice che i suoi padroni sono usciti, che deve preparare il pranzo, che non è contenta del suo lavoro e che vorrebbe fare la bambinaia, perché ama molto i bambini.

La signora Belon, che tiene Fanny in braccio, la consegna a Henriette per poterla servire. Dice poi che, vista la bella giornata autunnale, vorrebbe portare a spasso la bimba.

Henriette le propone di prepararsi e di lasciarle Fanny in custodia per un attimo, lei è sola in casa e la farà divertire.

La signora Belon, sulle prime, rifiuta ma il marito, ridendo, mette Fanny fra le braccia di Henriette, con la raccomandazione di non tenerla a lungo.

Lei promette e se va, baciando e coccolando la bimba. Torna nell’hotel, entra in cucina al piano terreno, prende un coltello e, sempre con la bimba in braccio, sale nella sua camera al primo piano sopra l’ammezzato. Chiude la porta con cura, stende la piccolina sul suo letto, di traverso, l’abbraccia ancora una volta, la guarda fissamente, poi, le afferra la testa, le fa tendere il collo e lo taglia con tanta sicurezza e prontezza che la piccola vittima non ha nemmeno il tempo di lanciare un grido.

Il corpo sanguinante ricade sul letto, la testa rimane fra le mani di Henriette. Un rivolo di sangue, dopo aver zampillato sull’assassina, cola dal tronco decapitato in un vaso vicino al letto. Henriette ascolta per un istante il rumore scandito delle gocce e si guarda le mani arrossate. Allora soltanto prova un vago sentimento di disgusto e di paura, getta la testolina sul pavimento, apre macchinalmente la porta, guarda dall’alto delle scale, ascolta se arriva qualcuno e, come spaventata improvvisamente senza motivo, corre a chiudersi nella camera dei suoi padroni. Ma presto ne esce rassicurata, ritorna nella sua camera e pare riflettere. Prende il corpicino sul letto, lo deposita sul pavimento vicino alla testa: poi si asciuga le mani senza lavarle, si siede e resta immersa in una sorta di fantasticheria.

Di colpo Henriette trasale, quando sente la voce della signora Belon al fondo delle scale: «Signorina Henriette, portatemi giù Fanny, sono pronta!».

Henriette apre la porta, esce sul pianerottolo, vede la signora Belon che sta salendo le scale dicendo: «Vengo a prendere Fanny».

«La vostra bambina è morta» risponde tranquillamente Henriette. La signora Belon allunga il passo e avanza sorridendo, pensando ad uno scherzo. Quando arriva all’ultimo scalino, trova Henriette che le blocca il passaggio e che le ripete dolcemente: «Ma se vi dico che la vostra bambina è morta, andatevene dunque».

Allarmata la signora Belon respinge Henriette ed entra a forza nella stanza, dove scorge l’orribile spettacolo. Smarrita, lancia un urlo di terrore, non riesce a parlare, resta paralizzata con gli occhi fissi sui poveri resti mutilati.

Henriette, che ha conservato tutto il suo sangue freddo, le dice: «Andatevene, servirete come testimone».

La povera donna indietreggia istintivamente, raggiunge il pianerottolo e di là, ripresasi, scende di corsa gridando.

Intanto il fruttivendolo Belon, non vedendo ritornare la moglie e la bambina, è uscito dalla sua bottega. Di colpo, una finestra si apre sopra di lui, ne cade qualcosa, che rotola fin quasi sotto le ruote di una vettura di passaggio. Si lancia e raccoglie… orrore! Una testa bionda insanguinata… la testa della sua bambina!!!!

La madre si precipita fuori in quel momento, ansante, terrorizzata, cade fra le braccia del marito e il primo oggetto che scorge è ancora la testa!

Sviene gridando «È Henriette! Lassù!».

Questa è la descrizione dell’infanticidio commesso da Henriette Cornier nella prosa a forti tinte di Armand Fouquier, autore di “Causes célèbres de tous les peuples” (1° volume, Paris, 1858). Nella edizione spagnola, intitolata “Causas Celebres” e pubblicata a Madrid l’anno seguente, si trova anche il disegno del drammatico momento quando Henriette getta la testa della bimba dalla finestra.

Il caso di Henriette Cornier è ampiamente considerato non soltanto nelle pubblicazioni sensazionalistiche francese ma soprattutto nei trattati scientifici, a partire dal 1826 quando, per giudicare il suo stato mentale, il tribunale interpella un’èquipe di psichiatri, diretta dall’insigne Jean-Étienne-Dominique Esquirol (Tolosa, 1772 – Parigi, 1840), convinto che l’alienazione mentale sia una vera e propria malattia da affrontare con criteri scientifici e sempre con metodi umani. Esquirol parla di “monomania”, patologia ancora poco nota: una persona, che in apparenza possiede tutte le sue facoltà mentali, ma non ragiona su un unico argomento, attinente alla malattia da cui è colpito, e diventa così capace di violenze irresponsabili.

Henriette ammette l’infanticidio ma non sa giustificarlo. Nata da una rispettabile famiglia di Charité-sur-Loire, dopo una infanzia difficile, ha sposato un certo Berton, pelandrone dissipatore che ha presto abbandonato. A Parigi ha lavorato come domestica in diverse case, ha convissuto con diversi uomini, da uno ha avuto due figli poi abbandonati. Era di una allegria folle ma, nell’anno 1825 il suo carattere è cambiato di colpo, è diventata cupa, taciturna, dice di aver tentato il suicidio.

Il 24 giugno 1826 Henriette, è condannata ai lavori forzati a vita come colpevole di omicidio volontario senza premeditazione. Marcata a fuoco - come si procede al tempo per i forzati - il 17 settembre, è rinchiusa dapprima a Saint-Lazare poi a Clermont, dove lo scrittore Saint-Edme la visita nel 1829: è dolce, calma, triste come sempre, dice di pensare di rado a quello che commesso e di non provare rimorsi.

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Articolo pubblicato il 06/03/2016