"Mad Dogs & Englishmen": emotions of Joe Cocker

iTRIBUTE: Grande esordio della band del cantante torinese, con un nuovo line-up. Emozioni rock e non solo con le canzoni del grande cantante inglese.

“Dopo la prima versione del tributo a Joe Cocker, circa due anni fa, c’è stato un momento di riflessione, perché nella vecchia interpretazione, diciamo così, si cercava di fare una copia dei suoi pezzi, abbastanza scarna, molto “easy” se mi passi il termine. Invece adesso, con l’andar del tempo, e visto che in tanti me l’hanno chiesto, non solo tu (sorride, ndr), ho deciso di riproporlo, cercando di trasmettere quelle emozioni che lui ha dato a me negli ultimi dieci anni. Neanche tanto per il copiare la voce, perché lì più o meno ci siamo…(sorride, ndr), quanto per cercare di riproporre le atmosfere che ha creato negli ultimi anni della sua carriera. Per cui abbiamo preso i pezzi e li abbiamo riarrangiati in maniera molto più moderna e molto più vicina a quello che era lui nell’ultimo periodo”.

Missione compiuta!

Paolo Gianetta, e i suoi “Mad dogs & Englishmen”, ovvero, Denis Militello, drums, Vito aprile, bass, Ezio Mazzocco, guitar, Massimiliano Brizio, keyboards e Claudia Salvalaggio, Mariangela Olemanni e Umberto Bressan, backing vocals, centrano perfettamente il bersaglio e regalano al numeroso pubblico presente al “La Divina Commedia”, due ore di emozioni ad alta gradazione rock.

Protagonista assoluta la voce di “Soul of Paul”, davvero in grande spolvero, che fa rivivere e riscoprire il feeling unico di un cantante ormai entrato nella leggenda.

Una voce al vetriolo, che voglio descrivere utilizzando il titolo di un album del grande Joe, datato 1982: “Sheffield steel”.

Senza se e senza ma.

“Mad Dogs & Englishmen” presentano una scaletta che alterna sapientemente brani slow ad altri decisamente più rock, e che non lascia ai presenti spazio per distrarsi: da “Feelin’ alright” a “Shelter me” passando per “Up where we belong” e “You are so beautiful” (grande prova di Claudia, una delle coriste), senza tralasciare i grandi successi del singer inglese targati anni ’80, compresa naturalmente “You can leave your hat on”, con Paolo che coinvolge simpaticamente una “girl” presente fra il pubblico (vi lascio immaginare come, ndr).

Personalmente ho apprezzato tantissimo “Hitchcock railway” presentata come una cover di Zucchero “Sugar” Fornaciari (ogni riferimento è puramente casuale...), la mitica “With a little help from my friends” di woodstocchiana memoria e “I’ve been lovin’ you?” di cui ci parlerà lo stesso Paolo nell’intervista che potrete leggere fra poco.

Un concerto assolutamente imperdibile per gli amanti di “Big Joe”, ma non solo.

Un concerto che farà felici tutte quelle persone che amano la musica rock di classe, che amano le cover d’autore e che amano soprattutto chi interpreta i propri miti con il cuore: “Soul of Paul” non a caso.

Per tutti gli altri…non resta che leggere attentamente l’intervista…perché Paolo, personaggio poliedrico come pochi, ha in serbo altre sorprese.

Paolo, ti sei ispirato alle atmosfere di “Fire it up”, l’ultimo, bellissimo tra l’altro, album dal vivo di Joe Cocker, per preparare questo nuovo tributo?

Esatto! Abbiamo cercato di tenere fedelmente le atmosfere del disco, il sound in particolare. In questo sono stato aiutato dai musicisti che hanno capito lo spirito, per cui abbiamo lavorato insieme, molto bene devo dire, per costruire questo concerto. Speriamo che piaccia.

Presumo tu abbia cercato e trovato persone che suonano con il cuore, per accompagnare te, che canti con il cuore.

Si. E’ una cosa nella quale ho sempre creduto. Tutto quello che ho fatto, l’ho sempre considerata una sfida. Ma spero di trasmettere al pubblico, le stesse emozioni che provo io cantando. Se c’è questo, allora ha senso che io vada avanti, se questo non dovesse succedere, allora andrò a vedere altri artisti, magari più bravi di me.

Andrai avanti ancora per un bel pezzo…

Ti ringrazio.

Senti, il nome che avete scelto, “Mad dogs & Englishmen”, mi riporta al primo periodo del grande Joe. E’ una scelta voluta?

Certo! E’ voluta perché quello è stato un tour storico, irripetuto dallo stesso Joe. Infatti noi nella scaletta abbiamo messo un pezzo di Otis Redding “I’ve been loving You?”, che lui fa una volta sola durante quel tour. Noi lo abbiamo preso paro paro così com’era e lo riproponiamo, cercando di dare al pubblico la stessa emozione. Speriamo di riuscirci, naturalmente (sorrde, ndr).

Tra l’altro…tu riesci con non chalance a passare da Joe Cocker a Wilson Pickett, passando per Brian Johnson degli AC/DC…qual è il segreto delle tue corde vocali?

Guarda, segreto non c’è! Solo tanta passione per la musica e cinquant’anni di palco. Ho lavorato con un sacco di gente in sala di registrazione e non solo, cercando di far tesoro  di quello che vivevo attorno a me. Poi, chiaramente ho messo anche del mio, ma quello che viene fuori è passione per la musica e il canto.

Comunque, fra tutti questi cantanti che tu “tributi”, qual è quello che fai più di cuore?

A parte Joe Cocker, perché fa parte della mia cultura musicale, visto che ci sono nato, ero diciottenne o poco più all’epoca di Woodstock, diciamo Tina Turner e James Brown: due cose opposte ma che hanno creato un qualcosa di unico nell’espressione vocale. James Brown ha anche inventato il funky quindi…

A proposito di questo, tu tempo fa avevi creato i “Funk cool”, che non è una parolaccia (risatona, ndr)…quindi ti chiedo: a parte Joe cocker, cosa altro hai in cantiere?

Beh, continuo a portare in giro i “Tobacco road” dove attraverso delle cover facciamo in un certo senso la storia del rock, elaborata anche in maniera semi acustica. Abbiamo preso un sacco di pezzi storici e li abbiamo riarrangiati a modo nostro, tipo il bluegrass che usiamo per riproporre “Jump!” dei Van Halen.

Una cosa molto divertente e gratificante.

E James Brown…?...un “Funk cool” 2.0…?

Eh guarda, è una cosa che mi è rimasta nel cuore  (sorride, ndr), però ti dico la sincera verità, cioè il fatto di tirar su un gruppo numeroso, perché devono esserci anche i fiati, è difficile ed azzardato. Ma non è detto. se trovo dei musicisti che non han voglia di guadagnare nulla (ride, ndr), potrebbe essere una bella scommessa…

Una domanda che faccio a tutti i “tributisti”: da definizione “tribute band” è qualcuno che imita qualcun altro, quindi anche il pubblico fingerebbe di assistere all’originale. Tu che ne pensi?

Per quel che riguarda questo progetto, a parte il nome e il sound, come ti ho detto prima, ha la totale partecipazione da parte di tutti noi per far si che ci sia emozione. Non a caso il concerto si intitola: “The emotions of Joe Cocker” e non tributo. Proprio perché le emozioni che abbiamo provato noi nell’allestire lo spettacolo, vorremmo che le provasse il pubblico che ci ascolta. Come ti ho detto, se riusciamo a fare questo, allora andremo avanti con altri concerti, magari in qualche teatro, in qualche struttura , se mi passi il termine, più raffinata. Ma non per presunzione, credimi, ma per avere la giusta atmosfera per il pubblico.

Per chiudere, ho una richiesta…un pezzo del grande Joe che io adoro: “N’oubliez jamais”…

Ahhh…quella per adesso non la facciamo…prima o poi la metteremo in scaletta…se la faccio, la faccio solo per te…!!!

Ringrazio Tina Rossi Photographer per le bellissime foto.

Stay always tuned !!!

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Articolo pubblicato il 04/03/2016