“La tirannia della libertà. Il Piemonte dai Savoia a Napoleone”, a Palazzo Ceriana di Torino

Il saggio di Giorgio Enrico Cavallo pubblicato da Chiaramonte Editore (2016) è stato presentato presso la sede dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte

A Torino, presso Palazzo Ceriana, sede dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, il 12 febbraio, è stato presentato il saggio di Giorgio Enrico Cavallo intitolato “La tirannia della libertà. Il Piemonte dai Savoia a Napoleone”, pubblicato da Chiaramonte Editore (2016).

Nel corso dell’incontro, organizzato con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Giorgio Enrico Cavallo ha esposto nel dettaglio le linee guida del suo saggio che riguarda l’epoca rivoluzionaria in Piemonte, periodo storico poco noto al grande pubblico e spesso, a detta dell’autore, interpretato in maniera non obiettiva.

Poiché la Rivoluzione Francese rappresenta un momento centrale della storia moderna, l’interpretazione dominante, molto sovente, è stata quella della rivoluzione “romantica”, sorta contro gli abusi e i privilegi del mondo di Antico Regime, facendo passare in secondo piano le violenze, i saccheggi e i massacri che hanno accompagnato le armate rivoluzionarie.

In Piemonte, i francesi non furono quindi dei liberatori ma, al contrario, si comportarono molto peggio dei “tiranni” che si volevano cacciare. O, meglio, che la borghesia voleva cacciare, per diventare ceto dominante.

I poveri contadini delle campagne non ebbero alcun vantaggio dalla Rivoluzione Francese: le campagne vennero completamente depredate, intere comunità rimasero in ginocchio, molte persone morirono di stenti.

È facile capire perché i contadini si armarono contro i francesi: già durante la Guerra delle Alpi si ebbero i primi episodi di guerriglia partigiana, che poi ebbero la loro massima evidenza con le insorgenze del 1799, l’anno della Massa Cristiana e di Suvorov.

I francesi reagirono sterminando i contadini e le comunità insorte, dietro la retorica della libertà e dell’uguaglianza. L’eccidio di Asti, l’incendio di borgo Salsasio a Carmagnola, la strage di Mondovì, l’incendio di Piscina sono episodi tragici e rimossi dalla memoria degli stessi piemontesi, ma che devono essere conosciuti per comprendere cosa significò trovarsi di fronte alle armate rivoluzionarie, comandate da macellai talvolta reduci dai massacri vandeani.

In questa situazione, Suvorov venne accolto a braccia aperte in tutte le comunità piemontesi anche se i cosacchi non furono meno docili dei francesi!

Questi massacri sono stati dimenticati dalla storiografia, a giudizio di Giorgio Enrico Cavallo, per due motivi essenziali.

Il primo, è il provincialismo: il Piemonte, per motivi lunghi a spiegare, è stato per molto tempo ritenuto dagli storici italiani alla stregua di una provincia; relegato nell’angolo occidentale dell’Italia, secondo questa diffusa visione storica esso non contribuì alla storia patria se non nel Risorgimento.

Il secondo motivo, invece, è più politico: i miti della Rivoluzione Francese, infatti, vivono ancora oggi. Sono questi miti che fondano il nostro stesso modo di vedere la politica (i concetti di destra e di sinistra nacquero in quegli anni), e gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza dovrebbero essere ispirazione delle nostre democrazie.

Con le rivoluzioni ideologiche dell’Ottocento e del Novecento, l’89 è stato mitizzato e i protagonisti della Rivoluzione sono stati elevati ad eroi, con la rara eccezione di Robespierre, sul quale vige ancora una damnatio memoriae.

Se poi pensiamo al mito napoleonico, abbiamo tutti i presupposti per capire come la Rivoluzione si sia perpetrata più nell’ideologia che nella realtà.

Con il risultato che di essa si sono voluti evidenziare solo gli aspetti positivi, sorvolando sugli altri. L’esempio è la Vandea: è ancora adesso all’esame del governo francese una mozione per dare lo status di genocidio ai massacri compiuti dai rivoluzionari francesi nella Vandea Militare.

Per il Piemonte non si trattò di un genocidio, per fortuna dei nostri antenati, e non ci fu l’intento programmatico di sterminare un’intera popolazione.

Ma massacri vergognosi, quelli sì, furono perpetrati, in nome della libertà.

Come rileggere l’esperienza rivoluzionaria in Piemonte? Cavallo afferma che un modo sia quello di attingere in maniera disincantata dai documenti d’epoca: il suo lavoro di ricerca in archivio rivela proprio come si possa giungere a conclusioni scevre dai condizionamenti storiografici attingendo direttamente alle fonti.

Giorgio Enrico Cavallo ha concluso ricordando un detto che esprimeva tutta la delusione dei nostri antenati nei confronti dei francesi, “liberatori” soltanto a parole: Liberté, egalité, fraternité: ij fransèis an caròssa, e noi a pè...

 

Giorgio Enrico Cavallo

La tirannia della libertà. Il Piemonte dai Savoia a Napoleone

Chiaramonte Editore, 2016 (25 euro)

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Articolo pubblicato il 17/02/2016