L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI “CIVICO20 NEWS”. Francesco Rossa: Brigate rosse e Camorra; quando lo Stato intrattenne rapporti opachi con l’anti Stato

Il ricordo del sequestro di Ciro Cirillo da parte delle Brigare Rosse, riapre scenari inquietanti

Nei giorni scorsi un servizio della TV Svizzera ci propone un caso lontano nel tempo e dimenticato dai più, il sequestro di Ciro Cirillo, potente esponente dello Scudo Crociato Napoletano ed assessore regionale all’Urbanistica, rapito dalla brigate Rosse. Ma entriamo  nella vicenda dai contorni torbidi ed ancor oggi in parte oscuri.

" Era il 27 aprile del 1981 quando alle 21.45, nel garage di via Cimaglia a Torre del Greco, le Brigate Rosse sequestrarono Ciro Cirillo, all'epoca assessore regionale all'Urbanistica. In cinque spararono sull'agente di scorta Luigi Carbone e sull'autista Mario Cancello, entrambi morti sul colpo. Rimase ferito solo Ciro Fiorillo, segretario dell'assessore”.

Cirillo rimase prigioniero dei terroristi per ottantanove giorni. La sua liberazione avvenne tramite intrecci mai del tutto chiariti, che videro probabilmente anche la mediazione di Francesco Pazienza, faccendiere legato ai servizi segreti e di Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata.

Per quella vicenda l'ordinanza del giudice istruttore di Napoli Carlo Alemi nel 1988 chiamò in causa anche Antonio Gava, altro potente democristiano napoletano, capo corrente e all’epoca Ministro degli Interni.

Ciro Cirillo, oggi novantacinquenne, rispondendo ad una domanda esplicita “esclude che ci siano state trattative per il suo rilascio” e così prosegue” Sono state scritte pagine e pagine di giornali, decine di libri e migliaia di atti giudiziari sulla mia vicenda. La verità è che a qualcuno giovò il mio sequestro".

Di parere totalmente opposto la dichiarazione di Immacolata Iacone, moglie di Raffaele Cutolo: "Fu il momento in cui lo Stato cercò l'intervento dell'anti-Stato, questo mi ha sempre detto mio marito". Ma, per ritornare alla cronaca della squallida vicenda, fu anche il momento della fine per Cutolo, trasferito da Ascoli Piceno al carcere di massima sicurezza dell'Asinara mentre Vincenzo Casillo, tra i fedelissimi del boss di Ottaviano, fu fatto fuori, così come morirono, stranamente, molti di quelli che avevano avuto a che fare col sequestro Cirillo, a partire dal capo della Mobile di Napoli Antonio Ammaturo fino all'avvocato Enrico Madonna, legale di Cutolo.

Ancor più sconcertante le vicende politichea di contorno, da leggere senza dimenticare il contesto degli anni di piombo.

La Democrazia Cristiana pretese da Ciro Cirillo le dimissioni dopo aver trattato per liberarlo. Solo tre anni prima lo stesso partito si era trincerato dietro la linea della fermezza per l'ex presidente Aldo Moro, decretandone, nei fatti, la morte.

Per la liberazione di Ciro Cirillo fu pagato un riscatto di un miliardo e 450 milioni di vecchie lire: "I miei figli fecero cambiali per 300 milioni", precisa Ciro Cirillo. Non è ancora chiaro, anche se evidentissimo, chi mise la restante parte del non trascurabile miliardo e centocinquanta milioni.

A ritirare la somma fu il brigatista Giovanni Senzani, uno dei capi più sanguinari delle Brigate Rosse. Fu lui, per la cronaca, a "giustiziare" Roberto Peci, fratello di Patrizio Peci, primo brigatista pentito. Dopo averlo personalmente interrogato, lo uccise con 11 proiettili filmando l'esecuzione. Un omicidio che potrebbe essere stato un messaggio per chi sapeva o indagava sui misteri legati al caso Moro.

All'alba del 24 luglio 1981 Cirillo fu rilasciato in un palazzo abbandonato in via Stadera a Poggioreale.

"So che fu lui a far liberare Ciro Cirillo e che avrebbe potuto far liberare anche Aldo Moro", conferma Immacolata Iacone , la moglie di Raffaele Cutolo, fondatore e capo della Nuova Camorra organizzata. “Mio marito, per dignità non si è mai venduto ai magistrati. Sconterà fino all'ultimo giorno la sua pena". Una condanna a tredici ergastoli che Raffaele Cutolo sta scontando nel carcere di Parma dove è detenuto in regime di 41 bis.

Incontra la moglie e la figlia Denise una volta al mese. Non vede e non parla con nessuno. Ma don Raffaè sa tante cose. Anche sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro: "Gli ordinarono di non intervenire, poi lo hanno sepolto vivo", conclude la moglie.

Dal suo curriculum criminale risulta che, dei suoi 74 anni, 51 li ha passati in cella a parte un anno di latitanza, tra il 1977 e il 1978, dopo la fuga dal manicomio giudiziario di Sant'Eframo, 36 anni in isolamento totale (dal 1982 e quindi dieci anni prima del 41 bis) per associazione a delinquere e per un numero imprecisato di omicidi commissionati. Anche quello di Marcello Torre, sindaco di Pagani: "Di quella morte Raffaele non ha colpa. Fu un omicidio politico...".

Nove le assoluzioni negli ultimi nove anni, eppure resta ancora in 41 bis.

Il super pentito Pasquale Galasso racconterà poi di essere stato contattato come intermediario per spronare l’intervento di Alfieri, altro capo mafia, nella risoluzione della trattativa. Ma il boss di Nola ringraziò e disse no.

Politica, servizi segreti, brigate rosse, camorra furono gli attori di questo intrigo, le cui dinamiche, ricostruite attraverso la voce dei pentiti, lasciano ancora molte ombre e interrogativi.


Fu il momento in cui lo Stato, cercando l’intervento di Cutolo, finì per legittimarlo. Ma fu anche l’inizio della fine per Cutolo che, nel linguaggio criminale, sembrò debole agli occhi della Nuova Famiglia. Cutolo era sceso a patti con la politica, Alfieri invece si era rifiutato. Nella trattativa il professore (Raffaele Cutolo) chiese quote di appalti per ditte amiche e lo spostamento di alcuni detenuti suoi affiliati in altre carceri. Per il riscatto dei brigatisi furono raccolti 2 miliardi di lire, ma la somma che arrivò loro fu di un miliardo e mezzo. Intanto iniziarono a trapelare notizie sulla trattativa. Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, chiese il trasferimento di Cutolo da Ascoli Piceno, dove era trattato come un re e poteva ricevere persone in carcere, all’Asinara.

L’anno 1983 si apre poi con l’uccisione di Vincenzo Casillo, tra i fedelissimi della prima ora di Cutolo, fatto fuori dalla Nuova Famiglia. Il maxi blitz dello stesso anno e lo spostamento del professore nel supercarcere dell’Asinara sancirono la fine di Cutolo. Il caso Cirillo rappresentò allo stesso tempo la sua legittimazione e la sua fine. Cutolo aveva gestito una pagina troppo importante, sapeva troppo, era troppo potente. Le coperture politiche di cui godeva, slittarono verso i vincenti della sanguinosa guerra sul campo; ovvero la Nuova Famiglia.

Il ricordo di eventi positivi o negativi, conserva sempre un indubbio valore per coloro che hanno dimenticato e non c’erano. Mettendo in risalto la vicenda di Ciro Cirillo, nel suo drammatico squallore, ci poniamo però una domanda.

I giovani che s’affacciano alla ribalta della partecipazione alla vita civile e forse politica di questo Stato, quali opinioni possono trarre?

Purtroppo negli anni, lo Stato si è reso protagonista di altre percorsi sconcertanti, tutt’ora coperti dal “Segreto di Stato”. In molti casi sono accaduti omicidi o morti accidentali. Quale esempio ne può trarre il giovane cittadino? Non intendiamo indulgere nella retorica e nel moralismo ed è per attenerci al principio abbiamo voluto solamente descrivere fatti e riportare cronache che si desumono da dichiarazioni, processi ed atti sino ad ora resi pubblici.

Il qualunquismo dilagante e la sfiducia nelle Istituzioni non rappresentano già di per sé una risposta?

 

Francesco Rossa
Vice Direttore
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 07/02/2016