Farmaci e cure di ieri, sfatiamo il mito del “buon tempo antico”

Uno spaccato di storia economica del farmaco tra l’ ottocento e il novecento italiano

Un aspetto ancora da esplorare e che riserva interessanti sorprese, è il periodo storico di fine ottocento in Italia, relativo alla produzione e distribuzione dei farmaci dell’ epoca nelle vaste aree periferiche rurali  e alpine a bassa densità demografica.

Conoscere, nella sua articolata ed originale struttura organizzativa-distributiva,  questa realtà non è solo un evento che si esaurisce nel soddisfare una curiosità, ma permette di studiare ed approfondire le scelte politiche governative del tempo che tentavano di dare una risposta assistenziale alle esigenze essenziali sanitario-terapeutiche dei ceti subalterni che, faticosamente, ma con determinazione, si affacciavano a rivendicare un ruolo sullo scenario politico.

In fondo l’attuale sistema assistenziale sanitario-terapeutico e farmaceutico si innesta sulle primitive radici di questa singolare esperienza di fine ottocento, che per tanti motivi è poco conosciuta, se non volutamente ignorata.

D’ altra parte il notevole progresso scientifico sanitario del primo novecento, che è stato il risultato della sintesi dei successi scientifici chimico-farmaceutici e medici, doveva inevitabilmente anche conciliarsi con una logica economica che giustificasse (anche con il concorso dello Stato) l’ esistenza stessa di questo processo produttivo-distributivo “particolare” sul territorio nazionale.

Pertanto da questo sintetico accenno storico si può intuire la complessità di questa realtà istituzionale farmaceutica embrionale, già fin dall’ origine in continua evoluzione.

L’articolo che segue del dr. Antonio Cravioglio – esperto di economia e finanza pubblica – ci introduce in questo spaccato di primitiva organizzazione distributiva del farmaco, attraverso una  “introduzione” che ha anche la finalità di stimolare la prosecuzione di ulteriori ricerche in questo contesto molto particolare, caratterizzato dall’ indilazionabile esigenza di garantire la tutela sanitaria e sociale.

Come sempre un apprezzamento ed un ringraziamento all’ Autore.


FARMACI E CURE DI IERI, SFATIAMO IL MITO DEL "BUON TEMPO ANTICO"

Negli ultimi decenni del XX secolo sono stati messi a punto molti farmaci, grazie ai progressi della chimica, da un lato, e delle scienze mediche dall'altro, per curare le diverse patologie umane.  

Ma è forse  poco noto che gli esercizi commerciali di "farmacia" non fossero molto diffusi al di fuori dei grandi centri, tanto che nel 1892 una Circolare ministeriale prevedeva l'istituzione di "Armadi farmaceutici" in tutti i Comuni sprovvisti di farmacia, in genere quelli con meno di cinquemila abitanti.

Grazie ad una ricerca nell'archivio storico di un comune della provincia di Torino, si é in grado di conoscere nei dettagli funzionamento, dotazioni e  prezzi  correnti di questi modesti centri di servizio.

Cominciamo dai locali: si trattava di  una camera messa a disposizione dal  Comune o da privati (nel caso specifico, da una fabbrica metallurgica che  impiegava  molta manodopera) dove era ubicato l'armadio vero e proprio con un minimo di arredi per servire, all'occorrenza, a piccoli interventi sanitari di soccorso; apertura di 4 ore giornaliere, solo feriali.

Per la gestione dei farmaci, era abilitato esclusivamente il medico condotto, tanto più che nella dotazione erano esistenti sostanze definite "velenose", per l'esattezza in numero di 18, conservate in uno scaffale munito di lucchetto aggiuntivo ed etichettate in modo che risulti la loro pericolosità (il segno della testa di morto).

Tanto  per  citarne alcune, si  va  dall'atropina (dalla  pianta  Atropa  belladonna), all' eserina (o fava del Calabar), alla digitalina (dalla digitale purpurea), di cui sono conservate quantità minime, non più di due grammi ognuna.

I farmaci e gli altri materiali di medicazione, in numero di 54, sono ovviamente più abbondanti, con i massimi per la farina di semi di lino e l'alcool di cui sono disponibili fino a 5 kg e poi magnesia, chinina, arnica, antipirina, tintura di iodio, spirito di menta, e via elencando.

Va ancora ricordato che all'epoca i  preparati  citati  non  erano ottenuti per sintesi, ma prodotti con modalità  che  noi oggi definiamo "artigianale", ad esempio, l'acido acetico era ottenuto per distillazione dell'acido pirolegnoso, a sua volta distillato dal legno, oppure per fermentazione del vino.

Veniamo ora ad un aspetto molto importante, ovvero i prezzi in rapporto al potere d'acquisto della maggioranza della popolazione.

All'epoca, lo stipendio annuo di un maestro  di  scuola elementare, patentato e insegnante in classi maschili è sulle lire 800; una guardia campestre ne percepisce circa la metà, mentre un segretario comunale di centri rurali non piccoli può arrivare alle mille lire.

Nelle industrie, rileviamo che in cartiere e fabbriche tessili solo gli operai molto specializzati sono retribuiti con paghe giornaliere (orari di 11 ore, sei giorni) sulle 4 lire; i generici scendono a 2,5 ma le maestranze femminili ed i ragazzi scendono a poco più di una lira a giornata; inutile dire che non si prevedono retribuzioni per assenze o  mancanza di lavoro.

Quindi mille lire annue per i più qualificati, ma sovente non si arriva a 300 per donne e giovanissimi.

Ovviamente, l' erogazione dei  medicamenti era soprattutto concentrato su preparati di costo contenuto: cataplasmi di farina di lino calda per risolvere infiammazioni bronchiali e simili costavano 10 centesimi per cento grammi; magnesia e bicarbonato di soda andavano forte per ogni disturbo gastrico, con prezzi intorno ai 10-20 centesimi per dieci grammi.

Per disporre di  chinino  o  di  antipirina si richiedevano, per ogni grammo di sostanza,15-20 centesimi, che per le donne significava l'equivalente di due ore di lavoro; d' altra parte il chinino, a prezzi controllati, era largamente impiegato come febbrifugo ed antimalarico fin dal XVII secolo, ma ne emersero poi i seri effetti collaterali.

Valori ben diversi si riscontrano per le "specialità", tutte tra le "velenose": l' eserina, quotata circa 6,50 lire per grammo, che trovava impiego nella cura della debolezza muscolare; l'atropina, quotata 1,20 lire per grammo, era un antispasmodico e di contrasto alle disritmie cardiache, poi digitalina, morfina, acetato di piombo, ecc.

Da sottolineare l'impiego già affermato dell'acido fenico, noto dal 1865 per merito del chirurgo Lister, potente antisettico indispensabile per la prima assistenza nei casi di infortuni con ferite ed abrasioni.

I rimedi qui brevemente citati, all'epoca i più diffusi, avevano un campo di azione limitato di fronte a molteplici morbi. Leggiamo  su  un testo del 1890, redatto dal primario dell'ospedale San  Giovanni di Torino, che erano assai numerosi i casi di gangrena delle estremità causati dall'ingestione di segale cornuta.

Infatti,  presso i montanari la raccolta del frumento contenente la subdola, velenosissima segale cattiva, difficilmente distinguibile dal cereale buono, produceva farine che poi inquinavano il pane quotidiano.  Immaginiamo  gli  stenti  di chi coltivava  piccoli appezzamenti a quote montane, di chi mieteva con fatica e poi si poteva ritrovare con un morbo gravissimo per il quale non si conoscevano cure risolutive.

Oggi i progressi  scientifici  hanno  compiuto  passi  giganteschi, anche in termini economici, ma troppo spesso si fa della retorica intorno ai "bei" tempi passati che erano invece caratterizzati da pesanti fatiche e malattie croniche, con la vita media che agli albori del '900 non arrivava a 55 anni.

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Articolo pubblicato il 03/02/2016