“Per non dimenticare. Mostra sui genocidi dell’età moderna”, a Torino

La mostra, inaugurata mercoledì 27 gennaio, resterà aperta fino al 19 febbraio, presso il centro polifunzionale di via Dego 6

A Torino, mercoledì 27 gennaio, alle ore 18:30 è stata inaugurata la mostra “Per non dimenticare. Mostra sui genocidi dell’età moderna” presso il Centro polifunzionale “Ci vediamo in via Dego”.

La mostra è stata organizzata dalla Associazione “Libertà in Azione” di Torino, da “L’Individualista Feroce”, circolo culturale liberal-conservatore giovanile di Torino, in collaborazione col Centro polifunzionale “Ci vediamo in via Dego”.

«Con questa mostra, abbiamo voluto ricordare i genocidi che hanno funestato l’età moderna. Alcuni di memoria comune, alcuni misconosciuti o dimenticati per oblio del tempo altri perché scomodi, ma tutti con pari dignità e con pari diritto alla memoria, - ha detto Claudio Volante presidente dell’Associazione “Libertà in Azione” - perché non esistono genocidi o massacri di serie A o di serie B ed è nostro dovere ricordarli tutti con coscienza e obiettività perché solo accettando la storia con criticità ed onestà intellettuale possiamo porre le basi per un futuro migliore».

«Il nostro intento è quello di dare un più ampio significato al Giorno della Memoria – hanno detto Alessio Cotroneo e Gian Marco Moschella, coordinatori del Circolo “L’Individualista Feroce” – ci proponiamo di portare alla conoscenza dell’opinione pubblica tutti i genocidi dell’età moderna, in modo che la memoria sia riferita a tutti coloro che sono stati eliminati per questioni di razza e di pulizia etnica, perché i morti sono tutti rispettabili».

Così la mostra espone foto, immagini esplicative e brevi testi che illustrano in modo sintetico ma esauriente, altri genocidi oltre alla Shoah.

Il genocidio dei nativi americani (detti anche indiani d’America, pellerossa o, nel centro-sud America, indios e amerindi) è avvenuto dall’arrivo dei bianchi alla fine del XIX secolo, periodo in cui si ritiene che un numero tra i 50 e i 100 milioni di nativi siano morti a causa dei colonizzatori, come conseguenza di guerre di conquista, perdita del loro ambiente, cambio dello stile di vita e soprattutto malattie contro cui i popoli nativi non avevano assolutamente difese, mentre molti furono oggetto di deliberato sterminio, poiché considerati barbari. Per altri la cifra supera i 100 milioni di morti in 500 anni, fino ad arrivare a 114 milioni.

Preceduto dalla persecuzione del sultano dell’impero ottomano Abdul Hamid II, iniziata 1894 che in due anni fa 50.000 vittime armene, il Genocidio Armeno avviene nel 1915, durante la prima guerra mondiale, sotto il governo nazionalista dei “Giovani Turchi”. A Costantinopoli, nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, vengono arrestati tutti gli intellettuali, poeti e studiosi armeni. A maggio, gli armeni di Anatolia e di Cilicia sono deportati verso i deserti della Mesopotamia: le “marce della morte”, tra stenti e violenze, culminano immancabilmente con la morte per sfinimento dei deportati.

Non c’è accordo sul bilancio del massacro. Gli armeni sostengono che le deportazioni, assieme alle altre repressioni, abbiano causato un numero di vittime compreso tra 1.200.000 e 1.500.000, quanto basta per parlare, appunto, di genocidio. I turchi, pur riconoscendo che sono stati compiuti dei massacri, ammettono “soltanto” 250.000-500.000 vittime.

Il governo turco ha sempre negato che si sia trattato di un genocidio e considera un reato parlare di “genocidio degli armeni”, punibile con una pena tra i 6 mesi e i 2 anni di carcere, per “vilipendio all’identità nazionale”.

Il termine gulag è formato dalle iniziali di parole russe che significano Direzione principale dei campi di lavoro correttivi. Erano stati immaginati infatti come campi dove coloro che avevano commesso dei reati avrebbero lavorato per espiare le loro colpe. In realtà furono invece dei veri e propri campi di concentramento dove i detenuti erano costretti a lavorare in condizioni così difficili che ne provocavano spesso la morte. Nei gulag furono rinchiusi non solo i colpevoli di reati comuni ma anche gli oppositori politici. Secondo lo storico Nicolas Werh nel 1930 lavoravano nei campi circa 140.000 detenuti. In seguito il loro numero aumentò progressivamente e nel 1941 era salito a 1.930.000. Oltre ai campi di concentramento i gulag comprendevano anche colonie dove i deportati erano costretti – come avveniva, del resto, anche nei campi - a compiere lavori forzati.

Nel 1948 le direzioni dei Gulag erano già una novantina, e la popolazione detenuta era tornata a toccare il record di 2.000.000 di persone. Nel maggio 1950 i “dannati”; erano arrivati, incredibilmente, al numero di 2.800.000 persone. Con la morte di Stalin il sistema del Gulag venne riformato, ma di certo non cancellato.

Dai dati recentemente usciti dall’archivio del KGB risulterebbe che i GULAG hanno avuto circa 29.000.000 di “ospiti” di cui 13.000.000 sono morti.

Il regime dei Khmer rossi in Cambogia è considerato come uno dei più sanguinari del XX secolo. Dal 1975 al 1979, in soli 3 anni e 8 mesi di governo, il Partito Comunista di Kampuchea provocò la morte di circa 2 mila e 400 milioni di persone. Se consideriamo che la popolazione cambogiana allora arrivava a 7 milioni di persone, è possibile affermare che il regime dei Khmer rossi è quello che ha causato più morti tra tutti quelli del XX secolo, non solo a causa delle esecuzioni politiche, ma anche a causa dei lavori forzati, dell’evacuazione delle città attraverso la giungla compiuta senza alcun mezzo di trasporto e delle pessime condizioni igieniche nelle quali i cambogiani erano costretti a sopravvivere.

Altri genocidi considerati dalla mostra sono quello avvenuto a Beirut, nel quartiere di Sabra e nel campo profughi di Shatila (16 -18 settembre 1982), quello del Ruanda (aprile-luglio 1994), di Srebrenica (11 luglio 1995), del popolo dei Curdi, che si protrae dalla metà degli anni ‘20 del secolo scorso.

La mostra si sofferma anche sulle Foibe, termine che indica gli eccidi ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra: nel Giorno della Memoria questo genocidio viene ad assumere un particolare significato per gli organizzatori della mostra.

Come spiega Claudio Volante, presidente della Associazione “Libertà in Azione”, «La mostra “Per non dimenticare. Mostra sui genocidi dell’età moderna” resterà aperta fino fino al 19 febbraio, con un collegamento ideale al Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata del 10 febbraio».

 

“Per non dimenticare. Mostra sui genocidi dell’età moderna”

La mostra resterà aperta fino al 19 febbraio, presso il centro polifunzionale di via Dego 6 a Torino

con questo orario di apertura:

dal lunedì al sabato 10:00/12:00 e 15:00/19:00

Domenica 15:00-19:00.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 02/02/2016