L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Massimo Calleri: Il comune senso del pudore

Da tempo non fa più parte del bagaglio morale di molti soggetti

Il comune senso del pudore da tempo non fa più parte del bagaglio morale di molti soggetti che ricoprono sia ruoli istituzionali, e quindi pubblici, sia pure dirigenziali nel senso lato della parola.

Una piaga sociale che da tempo ha sconvolto la vita di coloro i quali sono nati in una realtà in cui fanno fatica a riconoscersi, ma tuttavia sposano in virtù del proprio interesse privato, del proprio narcisismo pronto a calpestare i diritti altrui.

E pensare che esso dovrebbe rispecchiare la personale natura e cultura con cenni di “censura” alla relazione con gli altri con precisi riferimenti alla condotta ancor più che alla propria identità.

Quella stessa che modifica i codici di comportamento troppo spesso in maniera direttamente proporzionale alle ideologie politiche come pure religiose, caratteriali o derivanti dall’educazione “assorbita” e non sempre condivisa.

Il concetto di base rispecchia il voler tutelare e difendere dagli occhi della comunità le personali intimità fisiche e morali. Il processo sociale, se così si può dire, ha subito nel corso del tempo una evoluzione esponenziale che ha portato al voler ostentare le proprie qualità, anche le più “delicate”, conservando tuttavia una certa protezione per ciò che si decide di proteggere indipendentemente dalle ripercussioni nei rapporti interpersonali.

In ciò si rispecchia la caduta dei sentimenti sacrificati sull’altare del personalismo esasperato condiviso soltanto da chi può trarne un qualche beneficio. Ed allora parte della “classe eletta e benpensante” è indotta a giustificare con vergognoso buonismo di facciata anche le più grossolane espressioni di solidarietà e di fatuo nozionismo che nulla ha da spartire con la presunta cultura dei portatori sani del vero male del secolo: l’ignoranza.

Intesa, quest'ultima, nel significato più intenso che non vuole colpe bensì responsabilità, peraltro sempre da attribuirsi agli altri. Per cui stupirsi del mettere in discussione la presenza dei simboli sacri della nostra storia o coprire le nudità artistiche per non offendere la suscettibilità degli ospiti è ormai divenuto anacronistico.

Anzi, c’è ormai da stupirsi del contrario, di chi cioè insiste nel rispetto delle tradizioni mettendo in gioco se stesso. Sicuramente sono gli ultimi baluardi della resistenza inerme, destinata a soccombere allo strapotere delle nuove classi dirigenziali, quelle che dimostrano il proprio valore con una asservita ed opportunistica sottomissione.

Chi dovrebbe reagire, il popolo per intenderci, si rannicchia in se stesso o cercando di salire, come si suol dire, sul carro del vincitore di turno.

Per cui stupirsi di ciò che sta accadendo non è che l’ennesima finzione scenica, quella stessa, ma assai meno qualificata, che diede lustro al film diretto e intrepretato da Alberto Sordi che nei quattro episodi de “il comune senso del pudore” mise in risalto i relativi cambiamenti sia in campo comportamentale sia pure in quello che diede inizio alla diffusione dell’erotismo editoriale.

Oggi non è poi così difficile ritrovarsi a rivivere e subire le vicende che  l’Albertone nazionale seppe tratteggiare con somma arguzia ed immensa  ironia.

 

                                                                                        Massimo Calleri

 

 

 

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Articolo pubblicato il 31/01/2016