L’immortalità concessa dagli Dei, o dal Divino, nei misteri antichi e contemporanei (prima parte). (Seconda parte: domenica 7 Febbraio ore 10.00)

Di Emanuele Maffia "membro del CSR - Centro Studi Rosacroce e della ESSWE - European Society for the Study of Western Esotericism".

Certi temi sembrano a volte molto distanti dai giorni nostri e tuttavia non lo sono affatto. L’uomo ha sempre cercato una via d’uscita all’ineluttabilità della morte, come del resto tutta la ricerca in campo medico dimostra.

La società attuale, ha posto il fulcro di tale ricerca nella sfera scientifica sia essa convenzionale, olistica o di altra natura, tuttavia sembra che una vera risposta sia difficilmente ottenibile in tale campo.

Di contro, vi sono tati periodi nei quali la religione ha preteso di dare una risposta agli interrogativi esistenziali dell’uomo, incentrando il tutto sulla devozione e sulla fede, intesa come fiducia in ciò che il clero insegnava.

Vi è un terzo filone che da sempre è stato presente ma poco conosciuto. Questo terzo filone non si fonda sulla cultura ma sulla conoscenza, non ricerca l’erudizione ma la saggezza, non pretende un cieco affidarsi a direttive provenienti da un qualsivoglia clero, ma la scoperta interiore della vera legge, alla quale la coscienza si sottomette perché ne sente l’esigenza. I sacerdoti di questa corrente non sono un élite di potere, una nobiltà ecclesiastica, ma solo dei servitori che hanno ricevuto una dote sacra affinché la moltiplichino per distribuirla a tutti coloro che ne hanno bisogno. Questo terzo filone ha preso nei tempi varie forme, presentato diversi metodi e tuttavia nell’essenza è sempre uguale a sé stesso.

L’insegnamento scaturito da questa corrente di saggezza ha sempre presentato all’umanità la possibilità di una vita eterna, offerta come dono che però dev’essere guadagnato con “il sudore”, ovvero con un duro lavoro, poiché nulla ci è dato gratuitamente come ci ricorda genesi 3,19 <>

Di quale lavoro si tratta?

Si tratta del lavoro iniziatico.

Al fine di approfondire quanto esposto come premessa, in questo esposto ci proponiamo di trattare il tema dell’Immortalità, come presentato in due miti greci, particolarmente densi di aspetti esoterici. Uno di questi proviene dal mondo dei Misteri Eleusini, l’altro da un’Epica che tuttavia presenta importanti tratti misterici. Vedremo anche come i tratti principali di questi insegnamenti, gli archetipi su cui le strutture dei due miti si sono formate, li si ritrovi anche nel Corpus Hermeticum e nella Bibbia cristiana, non priva di aspetti misterici sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Tutte le citazioni della Bibbia che si troveranno a seguire fanno riferimento all’edizione della C.E.I.

Nella mitologia greca è noto che gli Dei potessero concedere l’immortalità facendo gustare a un mortale la loro Ambrosia. Tuttavia vi sono due miti che per le loro caratteristiche sembrano voler essere meno vaghi sul tema. Il Primo è quello di Demetra, sulle cui vicende poggiano i Misteri Eleusini. Il mito narra delle cure di Demetra verso il piccolo Demofonte, figlio di Metanira.

Il Secondo quello di Teti, una delle nereidi[1], e dei suoi sette figli avuti con Peleo, di cui solo il settimo, Achille, sopravvisse.

 

Nell’Inno a Demetra leggiamo:

< Così disse, e strinse il fanciullo al seno odoroso d'incenso, tra le braccia immortali; si rallegrava nel cuore la madre.

Così ella lo splendido figlio del saggio Celeo, Demofonte, che Metanira dalla bella cintura aveva generato, allevava nel palazzo; ed egli cresceva simile ad un essere divino, senza prendere cibo, senza poppare.

Demetra lo ungeva d'ambrosia come il figlio di un dio, dolcemente soffiando su di lui e stringendolo al seno.

Di notte, lo celava nella vampa del fuoco, come un tizzone, nascondendosi ai genitori: per essi era grande meraviglia come egli cresceva precoce, e somigliava nell'aspetto agli dei.

E lo avrebbe reso immune da vecchiezza, e immortale, se nella sua stoltezza Metanira dalla bella cintura, spiando durante la notte dalla sua stanza odorosa, non li avesse scoperti.

Gettò un grido e si batté le cosce temendo per suo figlio, e si turbò profondamente nel cuore: e lamentandosi pronunciò queste parole alate:

"Figlio mio, Demofonte, la straniera in una grande fiamma ti fa scomparire e a me lascia pianto e affanno doloroso".

Così disse, in preda all'angoscia; e l'udì la divina fra le dee.

Adirata contro di lei, Demetra dalla bella corona, il figlio che Metanira, oltre ogni speranza, nella sua casa aveva generato, con le mani immortali trasse via dal fuoco, e lontano da sé lo depose a terra, piena di furore terribile nell'animo; e intanto diceva a Metanira dalla bella cintura:

"O stolti esseri umani, incapaci di prevedere il destino della gioia o del dolore che incombe! In verità, per la tua incoscienza anche tu hai gravemente errato. Infatti - e mi sia testimone l'inesorabile acqua dello Stige, su cui giurano gli dei - immortale, certo, e immune da vecchiezza per sempre io avrei reso tuo figlio, e gli avrei concesso un privilegio imperituro: ma ora non potrà più sfuggire al destino di morte.>> (Inno a Demetra 226-263, in “Alla scoperta dei misteri eleusini”, Robert Gordon Wasson, Albert Hofmann, Carl A. P. Ruck, ed. Apogeo Editore, 1996)

Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, nel libro IV 1337-1354 si legge:

<< A cagion del chiaro Achille, ancor bambino. Ella (n.d.r.: ovvero la nereide Teti) le sue mortali carni pel mezzo della notte al fuoco nella fiamma abbruciava; il giorno poi ne ungeva d'ambrosia il delicato corpo: onde farlo immortal, e delle sue membra la dura allontanar vecchiezza.

Ma di ciò ignaro un dì Peleo sbalzato dal letto vide a palpitar tra il fuoco il caro figlio, e nel vederlo orrendo mandò fuor grido (ah che in ciò fu ben stolto!) che Teti intese; e per lo qual strappato ella dal fuoco il pargoletto, al suolo tra i vagiti 'l gettò: poi di persona fatta al vento simil esce qual sogno velocemente dalle case fuori, e indispettita entro saltò nel mare, ne da allor poscia unqua tornò più dietro.>>  (L’Argonatutica di Apollonio Rodio, tradotta ed illustrata – Tomo Secondo – a spese di Venanzio Monaldini e Paolo Giunchi, Roma 1744)

Entrambi gli estratti narrano di un rito magico compiuto da una dea, che è anche madre. Certamente Demetra non è madre di Demofonte, ma essa è la Madre per antonomasia dei Misteri Eleusini, è la madre disperata che rivuole sua figlia Persefone. Questa sua natura di Madre non può venir meno difronte alle necessità di Demofonte, del quale si prende cura come se fosse il proprio figlio.

Nel caso di Teti, Achille è il suo settimo figlio, ed essa compie su lui il rito per renderlo immortale e immune a malattia e vecchiaia.

Dai due miti apprendiamo che tale rito può essere officiato da una Dea che sia anche Madre e solo su di un bambino neonato.

 

Il rito si compone di due aspetti:

  1. L’unzione del neonato con l’Ambrosia durante il giorno

  2. L’occultamento del suo corpo fra le fiamme del focolare durante la notte.

Tale rito non era officiato una sola volta ma ripetuto per un certo periodo.

l’Ambrosia gioca qui un ruolo fondamentale.

Qualsiasi mortale “nascosto” fra le fiamme o fra i tizzoni ardenti sarebbe inesorabilmente bruciato. Lo stesso inno a Demetra parla di bruciare le “carni mortali”, tuttavia i bambini crescevano forti sani e simili agli dei. Questo implica che possedessero un corpo materiale, una “carne”, e che tale carne non fosse mortale, altrimenti sarebbe stata consumata dal fuoco. La crescita di questa “carne” non mortale sembra trovare ragione solo nell’unzione con l’Ambrosia, che le due dee operavano durante il giorno.  

Per comprendere il significato alla base di questi racconti mitologici dobbiamo analizzarne i tratti principali, non dimenticando che molti miti avevano diversi livelli di lettura e, fra questi, vi erano quelli destinati all’iniziato ad una corrente misterica.

La prima considerazione da fare riguarda l’Ambrosia che è qui presentata come unguento ma altrove come nutrimento. Un unguento solitamente è fatto per penetrare e nutrire, proteggere o idratare la pelle e nel contempo profumarla.

L’Ambrosia sembra essere quindi sia un mezzo per purificare e proteggere il corpo, ma anche un nutrimento capace di far nascere una nuova “carne”, che il fuoco non possa consumare.

Il rito fu officiato su due neonati, forse per suggerire che l’iniziato deve ridivenire puro, innocente e plasmabile come un bambino per poter avvicinare al vero aspetto escatologico e catartico dei Misteri. Si tratta di uno stato di purezza elementare, necessario in tutte le tradizioni. Nella tradizione cristiana nel Vangelo di Matteo 18,2-4 leggiamo: << Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.>>. (Fine prima parte) ….

 

 



[1] Nereidi: sono le figlie di Nereo, antica divinità marina greca, e di Doride figlia del titano Oceano. Nereo aveva capacità di veggenza, che tuttavia non utilizzava con piacere e rispondeva solo se costretto come apprendiamo dal mito di Eracle che lo vede coinvolto e che riguarda i Pomi del Giardino delle Esperidi.

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Articolo pubblicato il 31/01/2016