L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI “CIVICO20NEWS”. Romana Allegra Monti: Tutta la superficialità del governo Renzi: la figuraccia della Madia e il caso Boschi

Il ministro Madia non conosce la sua riforma e il padre della Boschi è indagato per evasione fiscale: chi lo vuole un governo così? insomma “suma bin ciapà”!

Siamo ben conciati, diciamolo. Il governo a guida Renzi ci regala ogni giorno nuove perle e nuovi spunti di conversazione (e d’imprecazione!): da una parte il padre della Boschi coinvolto nello scandalo della banca Etruria e, molto più recentemente, indagato per evasione fiscale (pagò una maxi-muta da 250mila euro in nero, ma ne diremo in seguito); dall’altra il ministro – o preferite che mi adegui alla moda con un “la ministra”? – Madia che la sera del 21 gennaio a Piazza Pulita è inciampata in una figuraccia clamorosa, dimostrando di non conoscere la riforma che porta il suo nome.

Di cosa stiamo parlando? Se non avete sentito o approfondito queste belle notizie, vi spieghiamo in breve a cosa ci stiamo riferendo.  

Iniziamo dal caso che riguarda Pierluigi Boschi: una villa padronale con 150 ettari di terreni, di proprietà dell’Università di Firenze, è messa all’asta per un valore che supera i 9 milioni di euro; essa verrà in seguito ceduta a trattativa privata. Indovinate chi se la aggiudica? La società cooperativa chiamata Valdarno Superiore, a presidenza Boschi, che detiene il 90% delle quote, il restante 10% è di Francesco Saporito, titolare di un oleificio e pentito di ‘ndrangheta. Appena “acchiappata”, questa tenuta viene ceduta ad un’altra società chiamata “Fattoria Dorna”.

Progressivamente Saporito diviene unico proprietario della tenuta. Nel 2007 giungerà poi un esposto alla procura di Arezzo, nel quale si pone in essere l’accusa di acquisto sotto costo della villa e il suo successivo frazionamento, sottolineando delle irregolarità nella vendita dei lotti. Nel 2010 la Guardia di Finanza perquisisce sia casa Boschi sia quelle degli acquirenti dei lotti: nella residenza romana di uno dei proprietari, si scoprono le fotocopie di banconote da 500 euro per un totale di 250mila euro. Eh, “so’ soldi”.

Vi chiederete a questo punto, cosa c’entri Boschi padre in tutto questo. Ve lo diciamo subito: uno dei proprietari racconta che il signor Boschi pretese da lui 250mila euro al nero per acquistare la proprietà – pagata in tutto 460mila euro – e lo stesso proprietario è stato interrogato tre volte dalle forze dell’ordine. Se questa testimonianza fosse verificata, si tratterebbe dunque di estorsione, anche se non si andrebbe sul penale, non essendo il proprietario in questione stato minacciato di ritorsioni o violenze.

In tutto questo subentra l’Agenzia delle Entrate a calcolare la sanzione nei confronti dei due soci: cade così definitivamente l’accusa penale e quindi si tratta solo di pagare questa esosa multa alla suddetta Agenzia e a Bankitalia: peccato che il versamento avvenga in nero e questo viola la normativa antiriciclaggio sul massimo di contante utilizzabile. Saporito intanto non si sa bene come viene escluso (dal pm della dda di Firenze) dall’indagine.

Capite dunque che in tutto questo giro losco, ciò che si imputa a papà Boschi e che si può giuridicamente provare è “soltanto” un maxi pagamento in nero. Un po’ come quando, per beccare Al Capone, si ricorse all’arresto per frode fiscale e infine alla sua condanna a undici anni di carcere, più una serie di multe e a sei mesi per oltraggio alla corte. Purtroppo però non siamo in America e in Italia undici anni di carcere non li si vedono per questo genere di reati  - come purtroppo manco per altri – soprattutto quando si portano sulle spalle cognomi importanti e si ha, attorno alle braccia e sulla testa, i “giusti” fili, la “giusta” rete di legami. Certo, magari il padre della Boschi non è proprio Al Capone (mah!): in ogni caso il tempo e le indagini, si spera, saranno rivelatori.

Passiamo ora al caso Madia. Come dicevamo sopra, il ministro Madia è incappata in uno scivolone durante la trasmissione di “Piazza Pulita”: alla domanda di Formigli, che le chiede che fine facciano i dirigenti che in quarantotto ore – che è poi lo slogan di cui si è servita – non procedono al licenziamento di chi non timbra il cartellino, lei risponde: “se non allontana quel lavoratore, allora è il dirigente stesso a essere licenziato. Può inoltre essere perseguibile penalmente”. Allora Formigli furbescamente le chiede se dunque questo dirigente potrebbe essere arrestato e la Madia, che intanto si crogiola nella sua presunta saccenza – cosa di cui si ebbe prova anche nel suo intervento torinese, lo trovate nell'articolo "La ministra Madia a Torino parla della riforma della PA: Civico20news vi racconta l’incontro",  risponde “eh… è reato penale… quindi sì”, come a dire “ma suvvia! che domande mi fai?”

La Madia dovrebbe sapere che molti reati, sono inseriti sì nel codice penale, ma non prevedono l’arresto: forse avrebbe potuto consultarsi con la sua amica e collega Maria Elena Boschi che di sicuro sa più di lei di questioni legate al penale, - non è che per caso pensavate facessi dell’ironia? guardate che è anche avvocato eh! (fiù! l’ho scampata) – prima di andare in onda a sputare questi chicchi d’ignoranza sui telespettatori. O forse meglio di no.

Certo è anche vero che alcuni reati sono stati da pochissimo penalizzati dal Consiglio dei ministri, ma come poteva saperlo la poveretta? Mica ci lavora, la “ministra”. Anche se quello approvato è in tutto e per tutto un “testo fantasma”, esiste un testo del Consiglio dei ministri, divulgato dall’organo stesso, che non fa riferimento ad arresti riguardo questo genere di casi, ma solo alla “responsabilità disciplinare del dirigente che non proceda alla sospensione e all’avvio del procedimento” – in  effetti il carcere per questo, a mio avviso sarebbe una decisione pericolosa, soprattutto nel nostro paese.

Capirete da voi la gravità di questa situazione: una riforma che porta il suo nome e la signora Madia, mostra con malcelata supponenza di non conoscerne neppure il contenuto. Il padre del ministro per le riforme costituzionali indagato per evasione fiscale, coinvolto in uno scandalo bancario nel quale per ora a pagarne le conseguenze sono stati solo i cittadini: insomma un divertente pot-pourri in rosa, ma tutt’altro che profumato.

In conclusione, oltre a rilevare lo “stato di emergenza” in cui riversiamo – per il quale non occorre possedere chissà quale acume politico – ciò che spaventa credo qualsiasi cittadino, è la superficialità di questi attori politici e governativi, sia nel presentare il loro lavoro (leggi, provvedimenti), sia nel rispondere a delle accuse a loro rivolte (o rivolte ai loro stretti familiari), come nel caso di Maria Elena Boschi, che si avvalse di uno stile comunicativo tutto impregnato di banalità e degno di una ospitata a “Pomeriggio5” dalla d’Urso: "lasciatemelo dire con il cuore. Io amo mio padre e non mi vergogno a dirlo. Mio padre è una persona perbene e sono fiera di lui. E sono fiera di essere la prima della famiglia ad essersi laureata" – e proseguiva – faceva 5 chilometri a piedi per andare a scuola. Questa è la storia semplice e umile della mia famiglia, non le maldicenze uscite in questi giorni".

Mancavano solo le lacrime. Forse però non si è sentita di usarle perché sulle ciglia non aveva un rimmel waterproof.

Siamo ben conciati, va’! O come direbbe la mia cara nonna che non c’è più – uso anch’io il metodo Boschi, lo ammetto – “povri nui suma bin ciapà”.

 

Allegra Romana Monti
Vice Direttore
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 24/01/2016