Perché il Mondo non può sostituire i prodotti petroliferi con le energie alternative.

Un paradosso kafkiano

Siamo in presenza di un vero paradosso perché l’umanità è beneficiata dal fatto che le fonti rinnovabili non sono ancora all’altezza, per diversi motivi tecnici, di subentrare alle fonti petrolifere.

Ma anche se questa sostituzione fosse possibile sarebbe estremamente pericoloso attuarla.

Per capire bene di cosa stiamo parlando, è doveroso valutare i principali parametri correlati alla attuale fonte energetica primaria, avendo ben chiaro il fenomeno che è alla base di tutte le problematiche legate all’oro nero: la non omogeneità della distribuzione delle riserve petrolifere che presenta grandi disuguaglianze a livello mondiale. Ci sono Paesi totalmente privi di questa ricchezza, altri che hanno una misera quantità di petrolio che spesso non copre neppure il fabbisogno locale, altri ancora che sono ricchissimi di greggio e quindi grandi esportatori.

Già il fatto che il Medio Oriente disponga del 52% delle riserve mondiali è un dato altamente destabilizzante, visto che l’America Centrale e il Sud America hanno un modesto 16%, peraltro per il 90% in mano al Venezuela, la Russia e Asia Centrale insieme arrivano al 7,4%, l’Africa ha l’8%, l’Est Asia ha solo un 3% e l’ Europa è il fanalino di coda con un modestissimo 1,30%.

E’ noto che la produzione petrolifera presenta una caratteristica fortemente negativa, quella di essere influenzata da un grande numero di fattori, fisici, tecnici, politici e finanziari.

Anzitutto, estrarre petrolio costa sempre di più poiché i giacimenti facili e superficiali sono stati tutti sfruttati e quindi oggi si deve trivellare in aree disagiate, quali l’Artico e sempre più in profondità. Inoltre, dal punto di vista tecnico, il tempo che intercorre dal ritrovamento di un giacimento a quello della sua commercializzazione è di circa 10 anni, per cui se la forte domanda invita ad aumentare la produzione con nuove prospezioni, può facilmente avvenire che al momento dell’utilizzo si sia già giunti ad una fase di domanda decrescente con prezzi in calo.

Proprio quello che è avvenuto nel periodo 2005-2014 dove eravamo in domanda crescente con prezzi superiori ai 100 dollari al barile. Ma già nel 2012 la produzione ha iniziato a superare la richiesta, ma il prezzo non è crollato grazie all’accordo dei Paesi OPEC che si sono autolimitati nella produzione.

Ma nel 2014, per vari motivi geopolitici, l’accordo è saltato, I Paesi dell’area mediorientale sono tornati ai livelli di produzione precedenti; non solo, l’Arabia Saudita ha deciso di aumentare la produzione del 10% con un chiaro intento politico di danneggiare i Paesi concorrenti, in primis l’Iran con prezzi di vendita più favorevoli.

Quanto sopra, unitamente alla crisi finanziaria mondiale e al rischio terroristico ha portato al crollo del prezzo che oggi si aggira sui 28 dollari al barile. Questa situazione  raggiunge un altro obiettivo, sicuramente non sgradito all’Arabia Saudita, quello di danneggiare gli USA che tra l’altro si trovano in una situazione di forte indebitamento del settore per vari motivi, non ultima una deleteria contabilità a leva accettata dalla SEC (la nostra Consob).

Su questo quadro non manca la spada di Damocle della speculazione finanziaria: una montagna di futures sono a rischio nel mondo poiché il valore delle transazioni dei “barili di carta”, in mano quasi esclusivamente dei sistemi bancari, supera di 40 volte il numero di “barili reali”.

Ma il crollo del prezzo ha anche altre origini, tra queste il recente accordo tra USA e Russia per mettere in sicurezza l’arsenale chimico della Siria. Altra variabile da non sottovalutare e sulla quale ci sono illazioni sui termini quantitativi estremamente variabili quanto inaffidabili: le vendite sotto costo da parte dell’Isis che arrivano dallo sfruttamento dei pozzi dei territori occupati.

L’unica cosa certa è che la forte variabilità del prezzo di questa fonte energetica primaria è destinata a permanere con scenari da brivido per tutti gli attori. In conclusione, il solo pensiero di poter sostituire il petrolio con fonti energetiche rinnovabili, che porterebbero alla fame di una parte del mondo  che non avrebbe più introiti ma anche dell’altra parte che si troverebbe mercati dimezzati per le sue esportazioni è oggi e probabilmente per molto tempo ancora non proponibile.

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 19/01/2016