L’iniquità della tassazione e l’oppressione fiscale, rappresentano autentici attentati alla libertà del cittadino

Civico20News ospita con piacere l’autorevole contributo del Professor Elio Ambrogio

Prosegue il confronto d’idee sulle tematiche fiscali, che mantengono un legame indiscusso con la democrazia, l’etica pubblica e quella Dottrina dello Stato ormai ignorata ed estranea alla pseudo cultura del nostro legislatore.   Ospitiamo l’autorevole, ampio e documentato contributo del professor Elio Ambrogio, docente di materie giuridiche ed economiche, che ringraziamo vivamente.

 

L’Oppressione fiscale

“Ho letto con molto interesse l'articolo del professor Massimo Introvigne sull'eccesso di pressione fiscale pubblicato dal vostro gradevole giornale, articolo i cui contenuti condivido pienamente. Vorrei però aggiungere qualche osservazione. Da laico.

Introvigne riporta una serie di dati che sfatano il mito degli italiani "grandi evasori", mito riproposto anche dal presidente della Repubblica nel suo discorso di capodanno e molto diffuso sopratutto in una sinistra che vive di nemici ideologici, accanto al pericolo mafioso, alla xenofobia, al populismo, all'inquinamento globale, allo sfruttamento del terzo mondo e così via.

Senza nemici, senza i fantocci polemici di einaudiana memoria, la sinistra deperisce e muore. Ben venga dunque il richiamo delle cifre con cui Introvigne ci riconduce alla realtà di una Italia in linea, anzi sotto la linea dell'evasione in area OCSE. Non avevamo dubbi, quanto meno istintivamente, sulla base dell'antipatia verso quel sentimento di anti-italianità tanto diffuso nella cultura progressista-chic, snobistica ed esterofila.

Massimo Introvigne è un autorevolissimo esponente di quella cultura cattolica che ha saputo tenersi a distanza dai tanti miti della modernità e della contemporaneità radicati anche in una certa Chiesa che rincorre il consenso più che le sue verità di sempre; e giustamente la richiama a quel suo magistero che giustifica la necessità del prelievo fiscale ma ne condanna l'eccesso in quanto lesivo della libertà e della dignità dell'uomo, anche e sopratutto nella sua dimensione famigliare.

Giustissimo quindi il riferimento al diritto per l'uomo di godere in giusta misura dei frutti del suo lavoro, senza che uno stato sfrenato nei suoi appetiti fiscali lo riduca al ruolo di suddito, o addirittura di schiavo.

Anche la cultura laica ha stigmatizzato questa moderna sudditanza o schiavitù, ponendo forse meno l'accento sull'aspetto etico e più su quello tecnico-scientifico-economico, ma anche qui sottolineando una importante dimensione morale rappresentata dal concetto di benessere.

Benessere inteso laicamente come progressiva acquisizione di libertà e come suo fondamento, secondo una visione che da Adam Smith arriva sino a Milton Friedman. Il benessere come dimensione non solo materiale e talvolta materialistica, ma anche come presupposto di crescita umana, come la terra su cui nasce la possibilità concreta di pensare, di creare, di evolvere anche spiritualmente.

Un concetto sicuramente vicino anche a molta sensibilità cristiana, almeno a quella che ha superato il disprezzo della materialità e del denaro inteso come deiezione del diavolo per muoversi in una dimensione più realistica e più completa dell'essere umano.

Il liberalismo più vicino alla gente -penso a un grande liberale della mia terra, Luigi Einaudi- ha sempre visto nella ricchezza ben guadagnata un dato etico di altissimo profilo, come ritenevano anche i grandi economisti classici di cultura anglosassone.

E da questo discende la profonda immoralità di un prelievo fiscale eccessivo, che poi diventa addirittura ripugnante nel momento in cui va a finanziare l'improduttività e il privilegio attraverso il potere coercitivo dello stato. "Lo stato è il grande inganno", scriveva Frédéric Bastiat, "attraverso il quale tutti vogliono vivere alle spalle di tutti gli altri".

Quando il prelievo fiscale persegue questo fine, diventa doppiamente immorale e diventa anche economicamente controproducente perché la produttività di molti va a finanziare l'improduttività di alcuni, con una distorsione profonda nell'allocazione delle risorse e una generale caduta della ricchezza collettiva.

Forse varrebbe la pena di riscoprire alcuni autori italiani dell'ottocento come Amilcare Puviani o Carlo Conigliani nella cui analisi è evidente questo elemento di drenaggio pubblico di risorse verso gli interessi,  talvolta palesi ma più spesso mascherati, delle classi dominanti attraverso lo spregiudicato utilizzo dell' "illusione finanziaria", cioè del sistematico mascheramento del reale carico tributario e della reale entità della spesa pubblica.

A quell'analisi si può aggiungere quella di Marx, di Pareto, di Weber, quella più recente della Public choice americana, tutte percorse dalla comune percezione che l'attività finanziaria pubblica sia in realtà determinata da privatissimi interessi delle classi dominanti e ad essi finalizzata.

E allora? Quale moralità c'è in un prelievo fiscale che molte volte non ha una reale giustificazione pubblica? Sono tutte cose conosciute, analizzate, divulgate da tempo dalla pubblicistica economica, che però non sembrano note alla Massima Carica dello Stato e a molti altri governanti.

Ma al di là dell'entità del prelievo tributario e della reale consistenza della pressione fiscale, che nel nostro paese è comunque sconsiderata, c'è un altro aspetto che vale la pena di sottolineare: le modalità irrazionali, autoritarie e liberticide del prelievo.

Qui chiunque può portare una enorme quantità di esempi, esperienze personali e non personali, fatti e situazioni che sconfinano nel paranormale, piccole, grandi, grandissime prevaricazioni fiscali che talvolta si avvicinano a una vera e propria forma di malavitosità pubblica.

Pensiamo agli acconti d'imposta su redditi non ancora conseguiti e magari neppure conseguibili, pensiamo agli studi di settore che configurano quasi una "catastizzazione" dei redditi senza però la semplificazione che può derivare dalla catastizzazione, pensiamo all'esoterismo della normativa tributaria che provoca un vero e proprio delirio interpretativo in particolare quando i redditi sono conseguiti in tutto o in parte all'estero col conseguente infinito contenzioso, pensiamo all'esplosione burocratica degli adempimenti, spesso complicati e rallentati dall'utilizzo dell'informatica e della telematica che non semplifica per nulla e complica tutto, pensiamo alla perenne soggezione del contribuente -sopratutto quelli più pateticamente disarmati come le persone a bassa scolarità o gli anziani- al ricatto fiscale di funzionari robotizzati che non sanno vedere l'essere umano dietro al codice fiscale, pensiamo al calvario dei rimborsi, al tempo sottratto all'attività produttiva per i pellegrinaggi negli uffici fiscali, all'arroganza feudale dell'Agenzia delle entrate o di Equitalia.

Pensiamo a mille e mille altre cose di quotidiana e diffusa esperienza che hanno prima incrinato e poi abbattuto un concetto fondamentale della moderna civiltà occidentale: lo stato di diritto.

Che paragone si può fare tra l'imprenditore che non è più in grado di pagare un acconto d'imposta e uno stato che non paga i suoi miliardi di debiti costringendo decine, centinaia, forse migliaia di aziende piccole e medie al fallimento? Quale moralità -o semplicemente quale dignità- può vantare questo stato quando chiede al cittadino di adempiere ai suoi doveri civici, fiscali ma anche non fiscali.

Un ultimo punto, di stretta rilevanza giuridica. Il dibattito sul costituzionalismo fiscale, che in altri paesi ha comunque prodotto risultati, nel nostro è un oggetto sconosciuto. La recente riforma dell'articolo 81 della Costituzione che ha introdotto (o meglio, imposto con diktat europeo) il principio del pareggio di bilancio ha di fatto condannato  indirettamente il nostro paese, il cui disastro finanziario pubblico è noto a tutti, a una nuova pesante presente e futura oppressione tributaria: i vincoli imposti dall'Europa renderanno di fatto impossibile allentare il prelievo fiscale per decenni.

Forse, accanto a questa norma demenziale, che vincola sopratutto il lato della spesa, si poteva almeno tentare di introdurre qualche modesta norma costituzionale che riguardasse il lato del prelievo tributario a tutela di chi è chiamato a pagare le tasse, magari anche solo dando rilievo costituzionale a quello Statuto del contribuente  risalente al 2000, o quanto meno a qualche suo principio di garanzia per il cittadino alle prese con la macchina fiscale.

Oggi le previsioni costituzionali in materia di rapporto tributario si limitano alle lapidarie, e tendenzialmente illiberali, parole dell'art. 53: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".

Obbligo di "concorrere" qualunque siano le spese pubbliche, anche illimitate, inutili, demenziali. Una progressività su cui molti hanno sollevato e sollevano dubbi di carattere economico e applicativo.

Non una parola nella Costituzione "più bella del mondo" a garanzia del cittadino di fronte alla divinità fiscale, spesso feroce, ottusa e insaziabile come certi idoli dell'antichità.

Appare sorprendente come la nostra Costituzione, nella sua prima parte, abbia speso così tanta attenzione e così tante parole per tutelare i grandi diritti del cittadino, individuali, sociali, di libertà, economici, e non una parola sui diritti del cittadino di fronte al potere potenzialmente più invadente, pericoloso e distruttivo come quello impositivo.

Il totalitarismo fiscale forse non è così apparente come quello politico, ma è ugualmente pericoloso, forse più pericoloso, sopratutto oggi con l'ausilio della tecnologia che tutto può vedere, tutto può sapere, tutto può controllare della nostra vita economica e anche privatissima.

Un pericolo drammatico per la nostra libertà complessiva, che supera perfino quella economica; quest'ultima ogni giorno più compressa da chi ci preleva con la forza una quota maggioritaria e sempre crescente dei nostri redditi e dei nostri patrimoni.

Tant'è. Sembra però che il livello della nostra civiltà oggi si debba misurare sulla abolizione del Senato elettivo, sulla depenalizzazione dell'abuso della credulità popolare, e sulle nozze fra persone dello stesso sesso, temi che stanno notoriamente molto in alto nella scala delle preoccupazioni della gente, magari proprio nei giorni in cui deve compilare la dichiarazione dei redditi”

Professor Elio AMBROGIO

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Articolo pubblicato il 18/01/2016