L’antichissima lingua Walser corre il rischio d’ estinzione

La denuncia-appello del presidente della Walsergemeinschaft Kampel, gruppo walser di Campello Monti, frazione del comune di Valstrona (VB)

L’ articolo comparso su Notizie -  Periodico d’ informazione della Regione Piemonte  di dicembre 2015 – Numero 4  - a pagina 20, documenta un evento singolare con un titolo ad effetto: “ A lezione di walser nella Baita di Alagna Sesia” , ma non deve sorprendere più di tanto, anche se il contenuto di questa notizia non può che amareggiare.

In fondo si tratta della conferma della difficoltà di contrastare il processo irreversibile d’ “estinzione” di una lingua antichissima, che in origine era diffusa su tutto l’arco alpino e che in seguito è diventata minoritaria.

Per facilitare l’ approccio a questa problematica si può affermare che l’ idioma Walser (il “titsch” o “titzschu”) è un tedesco arcaico (altissimo alemanno) con probabili contaminazioni delle antiche lingue locali (galloromanze, retiche?).

Inoltre la prima attestazione del termine  Walser (contrazione di Walliser “Vallesano”) risale al 1320, quando in un libro di rendite, il giudice della valle tirolese di Galtür registra le “novali” degli “homines dicti Walser in Cultaur advenientes”. 

L’ articolo si sofferma sui tentativi meritevoli (e quasi eroici) di diversi insegnanti che si prodigano con passione a tenere corsi di lingua walser in un contesto operativo molto difficile. Infatti devono fare la spola tra i paesi di questa antica tradizione  per tenere nelle scuole elementari lezioni, puntando sul gioco e sulla conoscenza del territorio. L’ imperativo che li guida si identifica nel motto “… imparare le lingue grandi che ci servono e quelle piccole, a cui noi possiamo servire…”.

In passato la Regione Piemonte aveva patrocinato la realizzazione di un Videofilm (Lébe z Remmalju – Vivere a Rimella - produzione Centro Studi Walser – Rimella – Sede di Borgosesia – 1997) che raccoglieva un “campionario” di vocaboli, frasi idiomatiche, ecc., tentando di salvare come una “reliquia” quello che restava della tradizione e patrimonio orale ancora parlato dalle persone più anziane del posto. 

Probabilmente la lingua walser corre maggiormente il rischio d’ estinzione rispetto ad altre più tutelate (francoprovenzale, occitana, ladina, ecc.) dalla presenza di  comunità più numerose, più omogenee e che rappresentano un maggior peso ed attenzione nei confronti del potere politico.

La prova di questa realtà è l’ accorato appello di Rolando Balestroni - Presidente della “Walser …Kampel” – gruppo Walser di Campello Monti (frazione del comune di Valstrona [VB]) al Governo nazionale “ … per avere più fondi per formare ed assumere insegnanti di lingue e cultura walser in tutti i Comuni dove è presente la  minoranza tedesca perché è importante salvare il passato per garantire il futuro …”.

Dubitiamo che questo appello, date le difficili circostanze attuali,  possa avere effetti concreti in tempi utili. Tuttavia non possiamo che associarci e sollecitare tutte le componenti politiche e culturali, sensibili a questa problematica, a dimostrare coerenza e comportamenti conseguenziali.

La storia e la cultura dei Walser merita di essere ricordata nei suoi punti salienti che hanno caratterizzato nei secoli il paesaggio a cavallo delle Alpi  e dove si fondarono,  alle sorgenti dei fiumi ed alle falde dei ghiacciai, i più elevati insediamenti umani del continente. 

I rari documenti disponibili ci informano che le popolazioni “Walser” migrarono dalle terre alemanne (Svevia) dall’ VIII al IX  secolo d. C. e che si insediarono su un arco alpino che andava dal Monte Rosa al Voralberg austriaco, in una fascia altimetrica che oscillava dagli 800 fino a 2200 metri sul livello del mare (con punte estrema ai 2500 metri), sviluppando una civiltà alpina “sui generis”, sia in campo economico-produttivo che sociale.

Documenti della metà del duecento, contratti tra le comunità Walser ed i Conti di Biandrate, provano che queste ebbero il riconoscimento di “uomini liberi”, cioè coloni che pagavano un “affitto  ereditario” per l’utilizzo perpetuo di un territorio praticamente mai colonizzato da alcuno e precisamente i fondovalle, i valichi alpini e le aree circostanti elevate.

Inoltre che questi nuclei Walser avrebbero goduto dell’ esenzione da corvè di tipo militare in milizie costituite all’ occorrenza da parte del Feudatario. Un evento unico in quel periodo storico.

Nasce in questo particolare contesto l’esperienza embrionale della socializzazione dei mezzi di produzione e dei terreni sottoposti a pascolo e coltura, in base alle esigenze della composizione del nucleo famigliare, la cooperazione solidaristica dei coloni nella programmazione dei lavori agricoli ed artigianali, nella istituzionalizzazione del “Comune”, inteso come luogo fisico in cui sono depositati gli strumenti di diritto e di decisione democratica per il governo della comunità stessa.

In sostanza si realizzava un laboratorio sperimentale socio-economico in una particolare comunità montana attraverso forme di autogoverno inedite.

Gli studiosi (almeno una parte maggioritaria di questi) sono dell’ opinione che è dall’ affermazione di queste forme primitive di autogoverno che si svilupperà in seguito la concezione federalista delle comunità dell’ area alpina e che questa troverà piena realizzazione nel 1291 nella costituzione della Confederazione Elvetica delle prime tre comunità di Uri, Svitto e Unterwaldo.

In sintesi le prime e varie comunità Walser dell’ arco alpino dimostravano, attraverso una economia di sopravvivenza, in un ambiente ostile e povero di risorse, di vincere la sfida della vita quotidiana e della colonizzazione delle terre “alte”, superando difficilissimi ostacoli.

Tutto sommato la realtà socio-culturale-economica di cui sopra si mantenne integra fino alla Riforma Protestante (data di inizio il 31 ottobre 1517), che divise in seguito traumaticamente in due tronconi il “popolo walser”, creando i presupposti per la sua successiva decadenza ed emarginazione nel contesto storico-politico dell’epoca.

L’ irrompere della “modernità”, con gli innegabili progressi portati nel campo culturale-tecnico-scientifico, con le ricadute di innovazioni e di benessere nella pratica quotidiana, ha soppiantato poco alla volta questa antica cultura ed un modo di vivere.

In fondo si deve prendere atto che la dinamica del contesto socio-culturale delle comunità umane fa parte dell’ irreversibile divenire della storia.

Inoltre esiste ancora un patrimonio culturale Walser importante, rappresentato dalla caratteristica architettura delle abitazioni coloniche, che riusciva a conciliare con razionalità essenziale la funzione indispensabile della stalla con il fienile, con le camere di abitazione e con i locali di magazzino. Una architettura integrata in un ambiente alpino, dove l’ antropizzazione equilibrata ne consentiva lo sfruttamento e nello stesso tempo la salvaguardia.

Pensare di cancellare una antica cultura, caratterizzata da questo “unicum” storico, perché formalmente mancano le risorse, magari subito trovate e stornate per altre culture d’ importazione a noi inconciliabili, sarebbe una scelta autolesiva ed intollerabile.

Purtroppo i danni di questa colpevole e cinica politica di disattenzione e di minimizzazione sono evidenti e non sono altro che il risultato di scelte (o di compromessi) di politica culturale sbagliate del passato.

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Articolo pubblicato il 15/01/2016