Una ricerca originale sulla presenza di queste figure fantastiche nel territorio della provincia di Torino
L’ antropologia culturale studia anche l’ immaginario, che nella sua complessità prende anche in considerazione gli “Esseri della Paura”, tra i quali un posto preminente lo occupa la figura della “masca”.
L’ origine del termine “masca” è incerto e potrebbe essere di origine celtica.
Tuttavia nella tradizione orale piemontese il termine fa riferimento a spiriti notturni che prendono corpo in una specie di “strega” contadina.
Quasi sempre donna, anziana, di aspetto sgradevole, sola, vedova, emarginata, che vive in luoghi appartati, anche se a questo stereotipo esistono notevoli eccezioni (versione maschile, donne giovani, ecc.….)
La “masca” di regola compie malefici, esercita un influsso negativo sui bambini, provoca malattie al bestiame, ostacola il cammino ai viandanti, ai paesani, specialmente sull’ imbrunire o nella notte. Eccezionalmente può succedere che la “masca” si comporti da guaritrice, con finalità sempre oscure e sospette.
La tradizione riporta che la “masca” tendenzialmente opera in gruppo, ed allora si materializzano allegoricamente le “masche”.
Le “masche” possono assumere anche sembianze zoomorfe (di animali domestici come cani, gatti, vitelli, agnelli, spesso caratterizzati da manto bianco). In ogni caso esistono antidoti efficaci contro le “masche”: preghiere, rosari, l’ intervento taumaturgico del sacerdote attraverso un rituale para esorcistico.
L’ antica cultura contadina ha conservato ed assimilato elementi ancestrali pagani, contaminazioni magiche, occulte, di maleficio stregonesco, producendo fantasiose leggende che hanno da sempre condizionato generazioni e generazioni di popolani e contadini.
In fondo la figura della “masca” potrebbe rappresentare la proiezione fantastico-fiabesca di una entità para-normale che interpreta e rappresenta il malessere esistenziale della società contadina, profondamente impregnata di sospetti e paure, con scarsa alfabetizzazione, ancora condizionata dalle nebbie della superstizione e del pregiudizio.
Tutto sommato questa antica cultura popolare meriterebbe la dignità di un suo riconoscimento e valorizzazione attraverso studi e ricerche, al fine di garantirne almeno la sua conservazione nella memoria storico-antropologica.
In passato, tra l’ ottocento ed il primo novecento, la “saga leggendaria” delle “masche” era anche motivo di intrattenimento da parte di “cantastorie” paesani durante le veglie serali nelle stalle, specialmente nella lunga stagione invernale.
D’ altra parte questo era unico locale che permetteva momenti di aggregazione sociale tra i membri della comunità agricolo-produttiva (bambini, giovani maschi e femmine, uomini e donne mature, anziani), consentendo di partecipare alle emozioni fantastiche della narrazione, in un ambiente spartanamente confortevole e riscaldato praticamente dal calore degli animali ricoverati.
Immagine questa che fotografa uno spaccato di civiltà e cultura contadina peculiare, dai contorni semplici ed essenziali, ma nello stesso tempo caratterizzato da aspetti di delicatezza e di poesia, che l’ irrompere della “modernità” ha cancellato per sempre.
Giunge al riguardo una curiosa e approfondita ricerca dello studioso e storico locale dott. Gervasio Cambiano, che sottopongo con piacere all’ attenzione del lettori.
All’ Autore pertanto invio un particolare ringraziamento ed un invito a continuare a studiare e ad approfondire questi interessanti aspetti di cultura popolare e antropologica.
Buona lettura.
MASCHE DEI NOSTRI PAESI
Come un po’ tutti sanno, in Piemonte esiste la tradizione popolare delle “masche”, tramandata oralmente da una generazione all’altra e solo negli ultimi decenni oggetto di studi antropologici, sociali, anche storici. Con il termine “masca” al singolare si indica una figura femminile compatibile con la figura di una strega, ma con caratteristiche più che cattive, marcatamente dispettose, strane, dedita a sortilegi magici su animali e uomini.
Nel territorio pianeggiante del basso pinerolese fino al limite del torrente Chisola e quindi a sud di Torino in tutti i centri abitati, oggi medi Comuni postindustriali un tempo paesi di campagna, è sempre ricordata nella memoria collettiva degli anziani la presenza di masche.
Nel vecchio Castello di Candiolo abbattuto nel 1957 per ricavarne una piazza, la gente diceva che vi abitavano le masche e che una capra bianca nelle notti di nebbia, andava su e giù per lo scalone di pietra del settecentesco edificio che appartenne ai Cavalieri di Malta fino all’epoca napoleonica.
Nel vicino paese di None il luogo delle masche era individuato dove esiste tutt’ora il Pilone dell’Ebreo e la cascina Ollera (cassi-na Ulera) siti entrambi sulla vecchia strada medioevale per Airasca. Chi transitava davanti al Pilone in questione ( magari all’imbrunire) poteva anche essere disturbato da questa presenza misteriosa che metteva paura tanto da affrettare il passo.
Inoltrandosi nella fertile pianura dopo Castagnole sulla strada per Scalenghe, c’è il vecchissimo cascinale di Campolongo (“camp long”).
Il pomeriggio del giovedì grasso (carnevale) di tanti anni fa , il padrone di questa cascina a causa di una bestia ammalata si recò in paese a chiamare il veterinario per una visita. Si trattenne poi fino a sera in un’osteria.
Al ritorno giunto che fu davanti al cimitero (la vecchia strada transitava ancora da questo santo luogo), sentì alle spalle un galoppo. Già inquieto spronò il cavallo che tirava la doma. Ma non aveva ancora lasciato alle spalle il muretto di cinta del cimitero che si sentì tirare la giacca. Spronò ancora di più il cavallo in preda all’angoscia. Una volta giunto al Campolongo si accorse che la mantellina si era impigliata in una ruota della doma.
Sempre nei dintorni di questa cascina la gente diceva che “nel tempo dei grani” cioè quando si falciava il grano, si aggiravano delle caprette nei campi di grano appena tagliato. Queste nella notte afosa si trasformavano in giovani e graziose ragazze che si potevano vedere allo spuntar dell’alba.
Da Campolongo una strada sterrata, oggi usata più che altro dai mezzi agricoli, ma è l’antichissima via che collegava la medioevale Pieve di San Pietro di Castagnole con l’altra antica Pieve di San Firmino di Cercenasco, conduce appunto a Cercenasco e poi Vigone.
Dopo un paio di kilometri, ad una svolta della strada, appare improvvisamente il famoso Pilone Babano detto anche il “Pilon del Baban” straordinario sito magico e quasi esoterico, perso nel silenzio della campagna circostante.
Questo luogo è sempre stato indicato come ritrovo di masche e mascon, cioè la versione maschile. Vicino al Pilone Babano sul far della sera si aggiravano (forse si aggirano tutt’oggi) incerte ombre trasparenti delle anime del purgatorio e sovente con la calura estiva si accendevano fuochi fatui. I rari e coraggiosi passanti, sentivano improvvise folate di vento sulla testa che gli buttavano via il cappello.
Evidentemente questo luogo, come detto di antico insediamento medioevale, doveva essere un posto “magico” sede di “prodigi” che eccitava la fantasia degli abitanti dei dintorni. Questa peculiarità del Pilone Babano così ben assimilata nella cultura contadina, è rimasta nella tradizione orale per generazioni tanto da rimanere tutt’oggi ben impressa nell’immaginario collettivo (come si direbbe oggi).
Gervasio Cambiano
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Articolo pubblicato il 09/01/2016