IL PONTE DELLE SPIE (2015) Steven Spielberg

L’intreccio tra interesse e riflessione

Jim Donovan, stimato avvocato newyorkese riceve dai suoi stessi soci un incarico tanto delicato quanto difficile : siamo nel 1957, in piena Guerra Fredda, quando si compravano le pastiglie di cloro ed il cibo in scatola in grande quantità pensando a rifornire i rifugi anti-atomici in giardino, e l'isteria di massa portava le maestre a dare istruzioni a scolaresche più che spaventate sul come sopravvivere ad un attacco atomico sovietico.

Donovan dovrà difendere in aula, in un processo tanto clamoroso da smuovere l'intera nazione, una spia russa, un uomo calmo e mite, ma inamovibile nella decisione di non collaborare con gli Stati Uniti . Egli è fondamentalmente un pesce piccolo, ma la sua presenza in territorio americano accende la miccia della paura, facendo traboccare il proverbiale vaso dell'opinione pubblica.

Il difendere un nemico del proprio paese, una spia tout court, è fondamentale per ribadire al nemico stesso che non si è pari a lui, che i diritti civili in occidente esistono non soltanto sulla carta ma di fatto, e Donovan, pur rendendosi conto della delicata situazione in cui metterà non solo se stesso ma anche la sua famiglia, accetta il caso.

Spielberg trae da questa storia realmente accaduta, la figura di un uomo profondamente onesto, un “americano tranquillo” ma anche un cocciuto irlandese di cui vanta le origini, il quale non dovrà misurarsi con il suo cliente, un uomo che ha con lui alcune interessanti affinità, quanto con l'ottusa paura dei suoi stessi connazionali, con gli sguardi di chi lo disprezza sul metrò, e persino con coloro che passeranno alla violenza sparando contro le finestre di casa sua, naturalmente nascosti nella notte e tutto sommato mal celatamente apprezzati dagli agenti di polizia.

Eppure nulla gli farà cambiare idea : il suo modo di vedere le cose, basato su di una profonda obbiettività, gli fa apprezzare l'integrità del suo cliente, pur appartenente al fronte opposto molto più della poca lungimiranza di chi non sa far altro se non sbandierare del cieco patriottismo.

La vicenda lo porterà a mediare lo scambio fra la spia russa da lui stesso patrocinata ed un pilota americano, Francis Gary Powers, precipitato in Russia mentre ne fotografava il territorio a bordo di un aereo u2 : questo costituisce una svolta nel ritmo del film, poiché sino a qui il temuto e oscuro regime comunista era un qualcosa di intangibile, di distante, ed ogni dibattito era appunto teorico, mentre ora la realtà assurda vissuta dalla città di Berlino nei giorni in cui fu costruito il famigerato Muro si apre agli occhi di Jim Donovan. Ed anche qui l'ottusità, questa volta dei burocrati sovietici, sarà l'ostacolo più grande da superare, poiché la Germania dell'est non è riconosciuta dagli Stati Uniti, ma lo scambio da effettuare con agenti russi deve svolgersi proprio in questo territorio, in questa sorta di allucinante no man's land in cui la violenza e la tensione crescono ogni minuto che passa.

Ed è proprio qui che Donovan rivelerà la sua strategia : egli , da libero cittadino, poiché non rappresenta il suo paese, gioca una partita sul filo del rasoio per ottenere la scarcerazione di uno studente americano, finito per tragica fatalità nelle carceri tedesche per un presunto alto tradimento del tutto fittizio. In pratica Donovan vuole salvare un'altra vita , perché “ogni uomo è importante”, concetto decisamente non condiviso dagli agenti della Cia.

Spielberg ricrea con grande meticolosità sia gli Stati Uniti sia la Berlino di quegli anni ( aveva già dato prova di questa sua accuratezza con il suo Munich del 2005), dirige con mano sicura sia la prima parte, diciamo più teorica, che la seconda, quella in cui fa scendere il suo uomo in campo, e possiamo dire che da lui nulla di meno ci aspettavamo, ma ciò che colpisce in questo film, è la sottile capacità del regista statunitense di avvicinarsi a temi più che mai attuali attraverso una parte di storia avvenuta più di mezzo secolo fa : abbiamo forse fatto progressi, ad oggi, oltre alle mezze parole, all'incertezza dello scoprirsi un millimetro in più del nemico, chiunque esso sia?

Tutta la nostra tecnologia ci ha forse fatti progredire in questo senso, o semmai, non verrebbe da chiedersi se non sia stato il contrario?

Attraverso l'analisi profonda eppure,se così si può dire, lieve, dei personaggi Spielberg ci porta in questo parallelismo fra due tempi lontani si ma soltanto sul calendario : la spia russa, Rudolf Abel (interpretato alla perfezione dal britannico Mark Rylance), inganna inizialmente con i suoi meticolosi, quasi tediosi gesti quotidiani, ma ad una più attenta osservazione, notiamo come quest'uomo non sia un piccolo uomo grigio ma come abbia al contrario un gran senso dell'osservazione, dei sentimenti riservati e profondi ed una sua filosofia, che esprime raramente e con poche persone, forse soltanto con Jim Donovan, uomo che rispetta e che proprio per questo definisce, in quella fredda alba sul cosiddetto Ponte delle spie, uno “stoic mugik”, collegandolo ad un suo ricordo d'infanzia, non propriamente felice.

Jim Donovan, un Tom Hanks perfettamente calato nella sua parte, è l'uomo con cappello e cappotto, quasi magrittiano, un uomo fra tanti che svolge un lavoro fatto di cavilli e spesso di spietatezza, ma come detto qui sopra, conoscendolo un passo alla volta, si rivela quello che potremmo definire un degno collega dell'Atticus Finch di Harper Lee, un uomo che vive la propria esistenza facendo in modo di non aver nulla di cui vergognarsi nel guardarsi allo specchio, una mente libera e che tale intende restare, nonostante tutto, poiché i giochi di potere non lo interessano . Ciò che l'interessa èmantenere uno sguardo imparziale ed il non dimenticare mai che ogni vita va salvata.

Persino gli agenti, russi o americani che siano, potrebbero appartenere ai nostri tempi : scarsa lungimiranza, modi scortesi, e la visione del loro delicato lavoro che non va al di là del proprio naso.

Non spaventino lo spettatore attento gli oltre 140 minuti de Il ponte delle spie, poiché nessuno di questi è superfluo, ma piuttosto è teso a far riflettere , e ciò non è poca cosa.

Elisabetta Gallo

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Articolo pubblicato il 09/01/2016