Ucraina – in Ospedale tra I feriti della Guerra invisibile

Un viaggio tra le corsie che ospitano i feriti della guerra invisibile che da due anni si combatte nell’est dell’Ucraina.

Kiev, 3 gennaio 2016

L’occasione era la consegna di alcuni doni preparati dalla Diaspora Ucraina in Italia in occasione del Natale ortodosso, doni che sono stati consegnati a degenti degli ospedali militari di Kiev.

La giornata è di quelle da bollino rosso, ci sono meno diciotto gradi, il freddo ti penetra nelle ossa e subito ti chiedi come fanno a resistere in Donbass nelle trincee i soldati che da due anni oramai si stanno confrontando in quella che viene definita una guerra asimmetrica. Noi che stiamo comodamente al caldo dietro il nostro computer siamo sempre prodighi nel coniare termini moderni, a filosofeggiare sulla natura delle cose, ma quando varchi l’ingresso delle stanze dove sono ricoverati i soldati feriti ti ricordi che nonostante si conino nuovi termini la guerra significa sempre e solamente sofferenza e distruzione.

Entro nella prima stanza insieme ad altri volontari che mi accompagnano, in punta di piedi con il rispetto che si deve a chi ha sacrificato la propria esistenza per difendere la sua Patria e il futuro delle nuove generazioni. Pasha è stato insignito della medaglia d’oro di “Difensore dell’Ucraina”, è sorpreso nel vedermi e per un attimo i suoi occhi tornano a brillare. E’ orfano ma non gli mancano le visite, i volontari passano giornalmente a trovarlo e c’è chi si è preso cura di lui e lo segue nel programma di riabilitazione. Pasha ha un grave problema alla spina dorsale ma sembra reagire al suo triste destino, sembra che la speranza non lo abbia abbandonato e chiede ad una amica di mostrarmi con orgoglio la sua medaglia. Pasha non ha risentimenti verso chi gli ha fatto questo e nemmeno verso le istituzioni Ucraine che non lo supportano adeguatamente per la sua riabilitazione, Pasha è arrabbiato con i Comandi Militari perché’ a suo giudizio non stanno facendo del loro meglio per proteggere i suoi commilitoni al fronte.

Esco dalla stanza con un groppo in gola e subito nel corridoi incontro un altro ragazzo su una sedia a rotelle, nella stanza c’è la sua mamma a cui consegno alcuni doni. La donna mi guarda, ha gli occhi lucidi dalla commozione, è sorpresa di vedere un Italiano in quel posto, mi ringrazia. Poco più avanti in un’altra stanza incontro tre ragazzi, tre ragazzi lungodegenti e quindi più loquaci. Hanno voglia di raccontare le loro storie, mi fanno vedere i filmini che hanno girato con i loro telefonini a Debaltseve durante la ritirata del febbraio scorso. Uno di loro è di Donetsk, la sua famiglia vive ancora là ma non può venirlo a trovare a Kiev perché’ essere madre di un soldato Ucraino a Donetsk può significare la tua condanna a morte. Mi dice che il suo desiderio più grande è di tornare a Donetsk dalla sua famiglia, tornare in una Donetsk Ucraina e non Russa.

Le storie tutte diverse tra loro hanno sempre un comun denominatore, un grande cameratismo abbinato ad una disaffezione verso il potere politico che non sa proteggere e comandare degnamente tutti questi ragazzi che sono passati da Maidan ad un fronte di guerra. Sembra quasi che la Russia di Putin non riuscendo sconfiggere l’esercito Ucraino sul campo con una guerra a bassa intensità, stia invece riuscendo sul piano politico a destabilizzare il potere centrale di Kiev. Tutti si chiedono come mai nel Parlamento Ucraino nessuno se ne renda conto di questa situazione di sofferenza tra le fila dei militari, ma nessuno riesce a darsi una risposta. Nella testa di tutti però il retro pensiero è che vi siano ancora nell’impianto burocratico Ucraino degli elementi legati a Mosca che in qualche modo stanno minando la costruzione della nuova Ucraina, un pensiero molto pericoloso perché’ se mai questo Parlamento dovesse tradire il suo mandato e creare i presupposti per un nuovo Maidan, questa volta non sarebbe una protesta a base di sassi e bottiglie Molotov ma vedrebbe i rivoltosi armati di RPG e AK47.

Cambio Ospedale, ci portiamo nella grande struttura nel centro di Kiev proprio alle spalle dell’Olimpiski Stadion che solo tre anni fa ospitava la finale degli Europei di calcio dove l’Italia era una delle due protagoniste. Anche qui tanti ragazzi, chi senza un arto, chi immobilizzato a letto. Nei corridoi l’andirivieni di familiari e volontari che quotidianamente portano il loro sostegno.

In una stanza c’è Viktor, figura magra, di mezza età, divide la stanza con altri due ragazzi. Quando entriamo è in piedi, ci guarda con lo sguardo perso nel vuoto. Uno dei due ragazzi a cui manca una gamba mi dice che Viktor è arrivato solo da pochi giorni ed è in uno stato catatonico, la realtà della guerra lo ha sconvolto. Natasha, una delle volontarie che mi accompagna, lo abbraccia e Viktor inizia a piangere, di colpo si sveglia dal suo incubo e il calore umano ha il potere di farlo tornare per un po’ tra di noi.

Tutti noi cerchiamo di non farci prendere troppo dalla commozione perché’ in fondo siamo lì per dare sollievo e non portare tristezza, ma è una impresa ardua.

La giornata passa velocemente e la sensazione di aver portato un minimo sollievo in quella oasi di sofferenza ci aiuta ad affrontare altre stanze con altre storie.

Le infermiere ci avvisano che è quasi ora di cena, così entro nell’ultima stanza, quattro ragazzi in una stanza di dodici metri quadrati tappezzata di disegni di ringraziamento fatti da bambini che stanno crescendo con il mito di eroi differenti dalle tartarughe ninja.

Al centro della stanza c’è un uomo di mezza età, con baffi alla cosacca. E’ immobilizzato al letto con diverse cannule che gli escono da ogni parte del corpo. L’infermiera gli ha appena misurato la temperatura e dice che è nella norma. Lui ascolta i discorsi che facciamo con gli altri feriti, sembra quasi in stato di semi incoscienza sino a quando con una flebile voce inizia a parlare. Mi guarda dritto negli occhi ed inizia a raccontare la sua storia.

E’ stato ferito una settima fa nei pressi di Stanista Luganska, con fierezza mi racconta le condizioni in cui combattono una guerra impari contro un nemico super attrezzato. Dice che il suo battaglione in quella zona deve controllare la linea del fronte solo con armi leggere perché’ per rispettare gli accordi di Minsk il Governo Ucraino si è impegnato a ritirare gli armamenti pesanti a 30 km di distanza.

La stessa cosa però non avviene nella parte avversa con gli spetsnats russi che di notte si infiltrano tra le linee e minano le zone controllate dagli Ucraini. Negli ultimi giorni i russi hanno occupato una collinetta dalla quale bersagliano gli Ucraini con armi di nuova generazione con questi ultimi che non hanno in dotazione armi per rispondere al fuoco. Racconta che non hanno visori notturni, mezzi blindati sui quali spostarsi o armamenti adeguati con i quali difendersi, l’arma migliore che hanno è il coraggio e la dedizione alla causa.

Lui è stato ferito durante un’imboscata, è riuscito a salvarsi nascondendosi tra le sterpaglie e a sfuggire così ai cetnici Serbi che vengono utilizzati in quella zona dai russi per operazioni di rastrellamento dopo gli attacchi, il loro compito è quello di dare il colpo di grazia ai feriti.

Ascolto impietrito la sua testimonianza, vorrei trovare qualche frase di circostanza per rassicurarlo ma mi accorgo invece che è lui che sta spronando me. Con un ultimo filo di voce mi chiede di far conoscere questa storia, di far conoscere al mondo che in un angolo di Europa ci sono dei patrioti che si battono per il futuro dei loro figli, che sono pronti all’estremo sacrificio nonostante la classe politica Ucraina non sembra ripagarli. Mi chiede questo non con spirito polemico come ci si potrebbe attendere, me lo chiede con la speranza che le cose possano migliorare e che i suoi commilitoni abbiano una sorte migliore della sua.

Fuori è buio, la temperatura è scesa ulteriormente, torno a casa con una strana sensazione, un mix di pensieri pervadono la mia mente, rifletto sulle dichiarazioni dei nostri politici che parlando di guerra in Ucraina fanno riferimento solo ai danni economici provocati dalle sanzioni contro la Russia, sui dibattiti televisivi dei talk show dove improbabili “esperti” ci raccontano di equilibri geopolitici e di guerre ibride e tutto mi sembra lontano e irreale.

 

Così si fa strada la convinzione che una giornata passata tra le corsie degli ospedali dove sono ricoverati i feriti della guerra invisibile vale più di cento libri o conferenze di improbabili esperti.

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Articolo pubblicato il 04/01/2016