Francia: Nuova luce su Vichy

Aperto l’accesso agli archivi

Qualche giorno fa, il governo francese ha firmato un decreto che liberalizza totalmente l’accesso agli archivi del periodo di Vichy e del periodo del passaggio alla Repubblica. Il decreto riguarda circa duecentomila documenti, quelli degli archivi del tribunale speciale di Vichy, dei tribunali speciali della Liberazione, delle ricerche dei criminali di guerra, delle inchieste della polizia giudiziaria tra il 1939 e il 1945, delle condanne del dopoguerra per “indegnità nazionale”, che erano finora consultabili solo dagli studiosi e dietro richiesta motivata.

Ora tutti i cittadini — e non soltanto i ricercatori — potranno avervi libero accesso. Unica eccezione, i documenti secretati la cui richiesta di consultazione potrà essere rifiutata per ragioni di sicurezza nazionale.

È un gran passo avanti nella ricostruzione della storia e della memoria di un periodo assai nero della storia francese, quello tra il 1940 e il 1944, a lungo rimosso nella memoria collettiva del Paese come una parentesi, uno stato di necessità, qualcosa che poteva essere cancellato dalla gloria della Resistenza. Solo nel 1995 la rimozione fu infine denunciata dal presidente Chirac e il periodo di Vichy fu posto all’attenzione degli storici e a quella dell’opinione pubblica.

Com’è noto, dopo la caduta della Francia nel giugno 1940 la nazione fu divisa in tre zone: quella di diretta occupazione nazista, che comprendeva Parigi e tutto il Nord; quella meridionale dove si formò un governo collaborazionista di Vichy, diretto dal maresciallo Pétain, personaggio di grande prestigio politico e militare; e quella di occupazione italiana, nel sud del Paese, una sottile striscia poi estesa nel 1942.

Già il 18 giugno 1940 il generale De Gaulle aveva invitato il popolo francese alla Resistenza e creato a Londra il governo della Francia Libera. Dopo la Liberazione, Pétain fu incarcerato, processato e condannato a morte. La sua pena fu commutata da De Gaulle nel carcere, dove, ormai molto vecchio, morì nel 1951. Con lui furono condannati a morte Pierre Laval, primo ministro del governo dal 1942 al 1944, e molti altri responsabili della politica di Vichy.

Il governo di Vichy ha svolto una politica di intesa e collaborazione con i nazisti. Per quanto riguarda la questione ebraica, già nell’ottobre del 1940 varò delle leggi antiebraiche simili a quelle tedesche e italiane, perfezionate nel 1941 e seguite da provvedimenti per facilitare l’arresto e la deportazione degli ebrei. Deportazione iniziata nel 1942, e a cui il governo di Vichy concorse attivamente, che riguardò settantaseimila ebrei francesi.

Le milizie speciali create dal regime di Vichy, oltre ad arrestare gli ebrei, condussero una guerra diretta contro le forze partigiane. Per tutti questi motivi, l’accusa rivolta ai dirigenti fu quella di alto tradimento e di collaborazione con il nemico.

Come ha sottolineato una delle maggiori studiose della Shoah in Francia, Annette Wieviorka, questa documentazione consentirà anche una conoscenza più approfondita degli anni del dopoguerra, dell’epurazione e dell’attività giudiziaria, del passaggio insomma dalla Francia di Vichy alla Quarta Repubblica.

Sono gli anni in cui alla condanna dei collaborazionisti, molto più ampia che in Italia, si è sovrapposta la tendenza a mantenere la continuità dell’apparato statale, della burocrazia, della magistratura, e in cui è nata la grande rimozione degli anni di Vichy.

Molte questioni potranno essere messe in luce dalla consultazione di questa grande mole di documenti. Innanzitutto, il ruolo dei collaborazionisti. Lo stesso presidente Mitterrand fu in giovinezza, come è più volte emerso, vicino al governo di Pétain.

La continuità dell’apparato dello Stato francese con quello di Vichy, passata la breve era delle epurazioni, fu molto forte. Come non ricordare il caso di Maurice Papon, l’alto funzionario di Vichy che sfuggì all’epurazione, fece una brillante carriera fino a diventare nel 1958 prefetto di Parigi — periodo in cui ordinò di sparare su decine di giovani manifestanti algerini nella capitale francese —, fu poi processato nel 1998 e condannato a dieci anni per crimini contro l’umanità per aver organizzato il trasporto ad Auschwitz di milleseicento ebrei?

Molte ombre gravano anche sugli arresti dei membri della Resistenza, sui nomi dei delatori. Si spera che ora, con l’apertura generalizzata degli archivi, molti dubbi possano essere sciolti. Questo sul piano storico, perché dal punto di vista dell’immagine della Francia, della memoria di quegli anni oscuri, è indubbio che l’apertura degli archivi non potrà che aiutare a togliere di mezzo ambiguità e rimozioni, e a consolidare la dolorosa memoria di uno dei più torbidi periodi della storia della Francia.

Una memoria — vorrei aggiungere — necessaria per avere giustizia e guardare senza ombre al futuro.

Anna Foa

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Articolo pubblicato il 03/01/2016