Khadiga Shabbi

Disputa fra i giudici del Tribunale di Palermo

La libanese Khadiga Shabbi, ricercatrice presso la Facoltà di Economia dell’Università di Palermo è stata accusata dalla Digos di istigazione  e apologia di reato con finalità di terrorismo.

Arrestata e portata dinanzi al Gip del Tribunale di Palermo sulla base degli accertamenti effettuati dagli inquirenti è stata rilasciata dal magistrato Fernando Sestito che, non riscontrando un immediato pericolo di fuga né pericolo di inquinamento delle prove, ha disposto il pronto rilascio  della libanese.

Il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e il Procuratore nazionale Franco Roberti hanno stigmatizzato senza mezzi termini il provvedimento del Gip sostenendo che le prove addotte a sostegno dell’accusa erano più che sufficienti per il mantenimento del fermo.

Così, sommariamente, la vicenda.

L’ordinanza di scarcerazione ha generato in molti operatori del diritto e ovviamente negli organi d’informazione una serie di commenti sfavorevoli che vanno da una forte perplessità fino al convincimento che il magistrato in questione non si sia reso conto della portata del suo provvedimento e delle conseguenze che potrebbero derivare dall’esercizio di una facoltà troppo permissiva.

Esistono elementi concreti per aderire senza dubbio a quest’ultima tesi.

Sotto il profilo strettamente giuridico occorre anzitutto osservare che la valutazione circa la sussistenza o meno dei presupposti per autorizzare la misura cautelare del fermo, in attesa di ulteriori indagini, rientra fra le facoltà del magistrato.

In effetti il Gip del Tribunale di Palermo non si è pronunciato sul merito della vicenda tanto che lo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando non ha potuto fare altro che prenderne atto: “Rispettiamo la decisione. In ogni caso non è una pronuncia sul merito delle contestazioni”.

Spetta alla Procura di Palermo proporre reclamo alla Corte di Cassazione e tale iniziativa sembra già essere stata attuata dai magistrati competenti, imbufaliti dall’aver visto vanificare le loro imputazioni argomentate sulla base dei riscontri oggettivi effettuati dalla Digos.

Fatta questa doverosa premessa, sembra altrettanto doveroso sottolineare che la facoltà di cui si avvale il giudice che applica e mantiene la misura cautelare non può prescindere dalla necessità di tenere conto (tanto più doverosamente trattandosi di ipotesi che riguarda reato con finalità terroristiche) non solo del dettato normativo ma anche, nella sua aplicazione, delle circostanze di tempo e di luogo dove si svolgono i fatti costituenti ipotesi di reato anticipando ciò che il materiale già acquisito induce con molta probabilità a ritenere quanto avverrà in sede di giudizio.

Gli accertamenti in rete effettuati dalla Digos hanno inequivocabilmente dimostrato che da almeno un paio d’anni la studentessa (di ormai 45 anni !) teneva una intensa rete di rapporti con il mondo islamico ed attuava, diffondendolo su Facebook, materiale in favore della jihad.

Sembra inoltre che mantenesse stretti rapporti con alcuni gruppi estremisti ben inquadrati nella lotta armata agli infedeli con inequivocabili appelli alla guerra santa e allo Stato islamico: “Non c’è Dio all’infuori di Dio e Mohammed è il suo profeta” ed ancora “Presto la maledizione del sangue dei giovani libici giungerà fino a voi”.

Di fronte alle accuse rivoltele, Khadiga Shabbi ha tentato di difendersi negando contro l’evidenza l’attività di fiancheggiatrice sulla base di asserzioni che possono riassumersi in un unico concetto: “Non sono una terrorista, documentavo soltanto quanto accade in Libia”.

 Risposta evasiva alla quale, per quanto risulta, non è stato dato alcun credito né dagli inquirenti e neppure dallo stesso Gip che pur avendo riconosciuto la gravità dei fatti ha imposto il solo obbligo di dimora dalle 8 di sera  fino alle 7 del mattino, libera dunque la libanese di attivarsi durante tutto il resto del giorno.

 In conclusione l’ordinanza emessa dal Gip rientra fra quei provvedimenti, per fortuna limitati, che nell’anno 2015 hanno caratterizzato taluni indirizzi della magistratura, anche in settori diversi, apparsi intempestivi o inadeguati al periodo storico che stiamo vivendo e alle richieste di tutela che tutti i cittadini giustamente attendono di vedere soddisfatte.

E’ ormai opinione comune che la minaccia del terrorismo si combatte in tutti i campi, dall’informazione alle attività di prevenzione e di tutela rispetto a circostanze e a fatti che vanno interpretati nella loro giusta dimensione.


In particolare quando questi fatti dimostrano la imprescindibile necessità di agire con cautela e prudenza che, peraltro, non escludono determinazione e  coraggio anche nell’applicazione delle leggi, soprattutto quando queste leggi sembrano consentire al magistrato di esercitare al meglio le sue facoltà.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 30/12/2015