L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI “CIVICO20NEWS”. Romana Allegra Monti: perché l’introduzione delle unioni gay in Grecia è illusorio sinonimo di progresso e modernità

“Messa la parola fine a un periodo di arretratezza”, ha commentato Tsipras, ma questa scelta non rende la Grecia un paese moderno e progredito e vi spieghiamo perché

Dicono che in Cina, se si odia qualcuno, si utilizza una sottile maledizione travestita da benedizione: "ti auguro di vivere in tempi interessanti" alludendo molto probabilmente, a momenti di irrequietezza, di paura e turbamenti.

Elementi che sembrano essere ben presenti e incastonati nel periodo storico che stiamo vivendo e che ormai fanno parte del quotidiano di molti cittadini per svariati motivi, quali la sfibrante crisi economica, la percezione dell'acuirsi di una crisi valoriale, la grande massa migratoria che si è riversata e che continua a riversarsi su di un’impreparata Europa, disorientata e in cerca di una nuova e più forte identità.

In tale contesto, la notizia che in un qualche paese occidentale, vicino o lontano che sia, vengano legalizzate e disciplinate le unioni civili per coppie dello stesso sesso fa sempre (e ormai banalmente) scalpore, anche quando non si tratta di un fatto nuovo:

Molto di recente in Grecia è stata approvata la legge che introduce i matrimoni gay, nulla di sconvolgente considerato che i primi a permettere queste unioni furono dapprima i Paesi Bassi nell’ormai lontano 2001, seguiti dal  Belgio nel 2003, dalla Spagna nel 2005 (dove però le coppie omossessuali possono anche adottare bambini) e lo scorso maggio e giugno anche da Portogallo e Islanda. Successivamente anche da Austria, Francia, Regno Unito, Danimarca, Germania, Svizzera, Colombia, Nuova Zelanda, Uruguay e Argentina e chi più ne ha più ne metta.

E’ bene ricordare che – e qui molti di voi, anche i più progressisti, storceranno il naso o rimarranno direttamente impietriti – persino il Sudafrica è giunto alla stessa conclusione dei paesi sopra citati. Aggiungo per chi non lo sapesse – e qui qualcuno si sentirà mancare – che in Svezia e in Norvegia le coppie gay (dal 2009) possono addirittura celebrare le loro unioni davanti all’altare in chiesa.

"Siamo, insieme alla Grecia, l'unica nazione a non riconoscere diritti alle coppie dello stesso sesso e rappresentiamo un'eccezione in Europa e tra i paesi avanzati", dichiarava il presidente di Arcigay, Paolo Patanè, a La Repubblica nel 2010.

Dopo questa recentissima scelta ellenica siamo quindi ufficialmente rimasti fuori da questo “circolo virtuoso”, solo noi e l’Arabia Saudita. Sarcasmo a parte, ciò pare turbare notevolmente i cosiddetti buonisti, che in queste ore si stanno esprimendo nei bar e sui social network con frasi del tipo: “l’Italia è sempre l’ultima”, “eh ma qui c’è il vaticano”, “è colpa dell’influenza cattolica se qui è pieno di bigotti” ecc.

Eppure anche in Grecia la Chiesa (ortodossa però), ha ancora molta influenza: nel 2008 annullò due matrimoni gay, celebrati dopo l’allineamento alle normative europee. Probabilmente dunque, l’ostruzionismo a queste unioni non arriva solo da parte della Chiesa cattolica.

In ogni caso, pare che il dibattito su questa notizia da noi si esaurisca con “quando si sveglierà anche l’Italia?”, un po’ come fosse inevitabile e, per la categoria “buonista”, di primaria importanza. In effetti qui da noi qualcuno potrebbe pensarla così perché apparentemente l’Italia (pur essendo stata colpita duramente dalla crisi) è in una situazione economicamente migliore e in una posizione internazionalmente più autorevole e quindi, le priorità accolte potrebbero essere leggermente diverse.

È bene specificare che chi scrive non è contrario all’unione civile di coppie dello stesso sesso, anzi considera la scelta greca un giusto e piccolo passo verso un’uguaglianza sostanziale, ma il vero vulnus della questione qui trattata non è l’essere contrario o meno all’introduzione di questo tipo di leggi e neppure se e quando l’Italia si allineerà alle scelte degli altri paesi; il vero vulnus sta nella domanda che pochi pare si stiano ponendo: questa era davvero, soprattutto in Grecia, un’urgenza da affrontare in questo momento?

Tuttavia Tsipras sceglie di portarla proprio su questo piano, quello dell’urgenza e di una risposta ad un “ritardo” imperdonabile: “messa la parola fine a un periodo di arretratezza”, ha commentato Tsipras.

L’arretratezza più urgente in Grecia, visti gli ultimi sviluppi, pare proprio non essere quella che riguarda i matrimoni omosessuali, ma semmai (oltre al marcio del collassato sistema economico), il clima ostile in cui la comunità LGBTI continua a vivere nel paese, come riporta e commenta Amnesty International su RaiNews.

Inoltre nelle dichiarazioni rilasciate da Tsipras, il concetto di “arretratezza” va indubbiamente a contrapporsi a quello di “modernità” che, inutile dirlo, è spesso percepito come sinonimo “progresso”.

Con queste parole il leader di Syriza voleva forse dare l’illusione o la parvenza di un paese nonostante tutto dinamico, che corre ad abbracciare i suoi vicini e le loro scelte, alla ricerca di un consenso di un’Europa che non voleva.

Quindi, cari lettori, se non siete attenti osservatori dei mutamenti sociopolitici o non lo avete già compreso, modernità e progresso (purtroppo per noi), non coincidono e non coincideranno affatto con risposte ai bisogni di una grande maggioranza di persone: un tetto sopra la testa, una sanità garantita, una previdenza sociale sufficiente, il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e un lavoro degnamente retribuito e sicuro, al contrario il modello verso il quale questa fantomatica “modernità” si dirige, si allontana sempre più da tutto questo dandoci tuttavia al contempo una illusione di emancipazione, progresso e modernità. Questo ovviamente non riguarda solo la Grecia.

Triste a dirsi, ma ancora più a farsi.

 

Allegra Romana Monti
Vice Direttore
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 27/12/2015