L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI “CIVICO20 NEWS”. Francesco Rossa: Salvataggi bancari, il tema del giorno

L’applicazione di una norma europea provoca il primo suicidio, mentre Maria Elena Boschi definisce suo padre “Una persona per bene”

Sta destando impressione, anche tra i non addetti ai lavori, la notizia del suicidio del sessantottenne Luigino D’angelo che ha perso tutti i pochi risparmi affidati ingenuamente alla Banca Etruria, ove muoveva i bottoni Pierluigi Boschi padre della ministra di Renzi.

La vicenda delle quattro banche (Banca Marche, Popolare Etruria, Cari-Ferrara e Cari-Chieti) salvate con il decreto del 22 novembre, che ha inflitto pesanti perdite ai risparmiatori, sta diventando grottesca, se non fosse per certi versi drammatica.

Nessuno (banche, Governo, Consob, Banca d’Italia) riconosce le sue responsabilità. Tutti sono concordi nell’incolpare l’Europa, in particolare la Commissione UE, con il bel risultato di rendere le istituzioni europee ancora più indigeste ai cittadini.

Ciò non toglie che molti istituti di credito in Italia siano retti da speculatori o pasticcioni che, carpendo la fiducia del risparmiatore mettono in essere azioni criminali connaturate da incapacità gestionali e da vere e proprie distrazioni di capitali a favore degli stessi  amministratori o dei padrini politici.

Il caso del Monte dei Paschi di Siena e stato emblematico. Anche in passato, per l’ingerenza della politica nelle scelte degli istituti di credito, le conseguenze nefaste si ripercuotevano su azionisti e risparmiatori.

Un ex presidente della repubblica, tanto per citare un esempio significativo, fece pressione su una prestigiosa banca piemontese, affinché assorbisse un istituto calabrese messo male. Per anni, gli azionisti della banca incorporante, subirono una consistente flessione del valore delle azioni, oltre al blocco dei dividendi.

Nell’assemblea degli azionisti, molti chiesero la testa del vetusto amministratore delegato, ma la protezione romana fu determinante.

E’ comunque bene esporre ed analizzare il perché si è giunti alle scelte operate da Renzi, con una visione preoccupata al 2016.

Da dove deriva il problema che è esploso in questi giorni? Viene dal fatto che le banche in questione, negli anni passati, hanno venduto ai risparmiatori titoli rischiosi: azioni e obbligazioni subordinate emesse dalle stesse banche.

Le azioni sono notoriamente “capitale di rischio”: non sono un debito della banca, ma una quota di proprietà nella banca stessa, e come tale soggette al rischio di perdere tutto il loro valore in caso di fallimento. Le obbligazioni subordinate sono una via di mezzo tra debito e azioni: sono un debito della banca, che tuttavia viene rimborsato per ultimo in caso di fallimento, cioè dopo avere ristorato tutti gli altri creditori (obbligazionisti ordinari, depositanti, fisco, ecc.). Sono meno rischiose delle azioni, ma più rischiose degli altri titoli emessi dalla banca.

Questi semplici concetti non sono sempre noti al piccolo risparmiatore. Sarebbe un dovere di chi vende quei prodotti finanziari alla clientela al dettaglio sottolinearne i rischi e sconsigliarne l’acquisto a chi non è attrezzato, finanziariamente e culturalmente, a sopportare tali rischi.

Si dovrebbe invece fare sempre osservare il principio di diversificazione. Questo dovere di informazione alla clientela è stato rispettato? Da quanto sta emergendo in questi giorni, sembra di no.

C’è una autorità che vigila sulla trasparenza e correttezza dei rapporti tra operatori finanziari e clienti: la Consob. Cosa ha fatto?

A quanto pare, si è accontentata degli aspetti formali. L’emissione di un titolo sul mercato deve essere accompagnata da un “prospetto informativo”: un documento che riporta una quantità tale di informazioni che nessuno osa leggerlo, e che ben pochi sono in grado di comprendere.

Sulla sostanza, cioè sul fatto che una banca non approfitti della fiducia accordatagli da un cliente per vendergli prodotti non adatti a lui/lei, nessuno controlla.

In passato le banche non potevano fallire. Dal 1 agosto 2013, invece, è in vigore una Comunicazione della Commissione UE dove si chiarisce che, prima che lo Stato possa venire in aiuto di una banca, i detentori di azioni e di obbligazioni subordinate devono subire le perdite necessarie e ridurre al minimo indispensabile l’aiuto dello Stato (questa regola è quella che i tecnici chiamano burden sharing).

Cosa hanno fatto banche e autorità per informare i risparmiatori di questa novità? A quanto pare, nulla.

Dal 1 gennaio 2016, la regola appena esposta diventerà ancora più severa. In base a una Direttiva europea (approvata anche con il voto degli Italiani presenti nel Parlamento europeo) lo Stato potrà venire in aiuto di una banca solo se prima una quota delle perdite sarà addossata agli azionisti e ai creditori della banca stessa, compresi i detentori di obbligazioni ordinarie e i depositanti (saranno esentati solo i depositi inferiori ai 100.000 euro, coperti dalla assicurazione). Questo è il cosiddetto bail-in.

Per evitare che si ripetano situazioni simili a quella emersa in questi giorni, e potenzialmente ben più gravi, bisogna che tutti (banche, autorità, organi di stampa) si impegnino in una informazione corretta e capillare ai risparmiatori.

D’altronde, i salvataggi bancari interamente a carico dello Stato o del Fondo interbancario (di assicurazione o di risoluzione ) non sono più possibili.

Questo vuol dire che come contribuenti siamo meno esposti al rischio-banca, ma come risparmiatori lo siamo di più. Nell’applicare le nuove regole, per coerenza, dovrebbe evitarsi che i tanti signori Boschi, mettessero mani nella gestione delle banche, e invece d’ingrassare sul business speculativo del credito, emettendo titoli spazzatura,  per avvalerci di una espressione toscana, andassero a”spigar l’arsella”.

Francesco Rossa
Vice Direttore
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 13/12/2015