La GB bombarda la Siria e la Germania approva missione militare, ma fare a scazzottate è la giusta strategia?

La Francia ha prontamente risposto al fuoco. Anche la Russia. Adesso anche la Gran Bretagna e la Germania. Stiamo andando nella giusta direzione o ci sono altri modi di affrontare questo conflitto?

Nelle prime ore del venerdì appena scorso, si sono compiuti i primi attacchi (da parte degli inglesi) contro l'Isis in Siria.

Il bilancio per ora è di sei obiettivi colpiti nell'est siriano al confine con l'Iraq, dove si trova il campo petrolifero di Omar, il quale secondo le autorità inglesi fornisce il 10% dei profitti che l'Isis ricava dal petrolio.

Gli Stati Uniti intanto plaudono i raid inglesi: “L'Isis è una minaccia globale che deve essere sconfitta con una risposta globale'' afferma il presidente americano Barack Obama, mentre la Russia pur rinnovando l'invito a una “coalizione unica” contro il terrorismo in Siria, appoggerà “qualsiasi azione volta alla lotta contro il terrorismo, a combattere l'Isis”.

Dopo questi raid e tenendo ben presente le dichiarazioni dell’Isis secondo cui “Londra verrà dopo Parigi”, la Gran Bretagna è dunque ora in stato di allerta. Giusto e legittimo direte voi.

Occorre in ogni caso ricordare che il vero protagonista del conflitto in corso non è l’Occidente, bensì il mondo islamico. Di fronte ad attentati come quello compiuto a Parigi (città fulcro e simbolo dei valori europei), è normale per noi provare rabbia e dolore; subito dopo però è auspicabile e opportuno non solo condannare queste barbarie ovunque esse si siano verificate, ma soprattutto scegliere il raziocinio e far appello a tutta la nostra lucidità per comprendere un fenomeno tutt’altro da banalizzare.

Countries with most terrorist deaths, 2014

Number of people killed in terrorist-related incidents last year

Iraq                                                  9,929

Nigeria                                               7,512

Afghanistan                                           4,505

Pakistan                                              1,760

Syria                                                 1,698

Somalia                                                 801

Ukraine                                                 665

Yemen                                                   654

 

Central African Republic                                589

 

Libya                                                   429

India                                                   416

China                                                   291

Kenya                                                   240

 

Siamo in guerra? Sì, ma sostanzialmente non è una guerra nostra.                      

Il che non vuol dire che ce ne si debba lavare le mani. Qui si vuol solo ricordare che il narcisistico Occidente non è il reale protagonista di questa faida intra-islamica che risale agli anni ’80, di questa guerra tra concezioni opposte della stessa religione: noi europei dovremmo ben sapere (e ricordare) qualcosa sull’argomento.

Una sfida (che s’intreccia a interessi egemonici di varie potenze musulmane quali Egitto, Arabia Saudita, Iran) il cui obiettivo è riappropriarsi del Medio Oriente: “fuori gli stranieri dalle nostre terre”. Anche su questo argomento dovremmo provare uno strano senso di déjà-vu.

L’ideologia di Daesh su questo punto è da sempre molto chiara: creare uno Stato nuovo al posto degli Stati precedenti impuri, perché creati dagli stranieri e “infedeli”. Non a caso al-Qaida chiedeva la cacciata delle basi Usa dall’Arabia Saudita e cercò di prendere quello Stato o in alternativa il Sudan e poi l’Afghanistan con l’aiuto dei talebani.

Non è uno scontro tra civiltà, ma uno scontro dentro una civiltà molto differente dalla nostra che sta cercando di spaventarci e allo stesso tempo ci sta supplicando in ogni modo di uscire dalla loro e di lasciarla in pace.

Attacchi, raid, bombardamenti, a cosa porteranno? Al terrore di una probabile risposta della parte attaccata, ma a niente di concreto sul piano della risoluzione di questo ormai annoso problema.

Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna, non certo urlando e sbraitando alla salviniana maniera, invocando odio e divisioni o strumentalizzando  politicamente la situazione, ma proprio al suo contrario: conservando il nostro clima sociale il più sereno possibile: il rancore non produce mai nulla di buono e ciò non vale solo per i nostri rapporti interpersonali.

Non si tratta di spicciolo e dannoso buonismo, ma di mostrarci più forti del loro odio – come ben han saputo dimostrare i cittadini francesi nelle ore successive agli attentati – ed è una sfida che possiamo vincere.

Dal punto di vista politico occorre una strategia comune, come auspicato dalla Russia, contro il terrorismo: un’intelligence che sappia non cedere a banali e inutili fobie, un’azione che sia ben coordinata tra polizie, muovendosi soprattutto nell’ambito delle collettività di origine arabo-islamiche, ma non solo.

Serve anche una politica comune sulla guerra in Siria, importante nodo della questione: i conflitti devono volgere al termine. Infine, bisogna urgentemente occuparsi del resto del Mediterraneo: la prioritaria Libia, lo Yemen, l’instabile Iraq, i fragili Libano, Egitto e Tunisia. Crisi slegate le une dalle altre (anche se in parte legate) e che l’Isis vorrebbe saldare insieme… questo non deve succedere.  

Ci stiamo occupando di tutto questo?

Sì sì. La Francia ha da subito risposto al fuoco, così come la Russia. Pure la Gran Bretagna ci ha appena pensato e il Bundestag tedesco ha appena approvato ad ampia maggioranza l'intervento militare in Siria contro l'Isis: 1.200 militari tedeschi, sei tornado di ricognizione, satelliti, una nave da guerra e un aereo da rifornimento in volo.

Dormite sonni tranquilli amici, siamo a cavallo.

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Articolo pubblicato il 05/12/2015