L’impotenza del Parlamento

Le elezioni per i giudici della Consulta

La Corte Costituzionale, detta anche la “Consulta” dal nome del palazzo che ne è la sede in Roma, è in questi giorni al centro dell’attenzione pubblica.

Infatti, sebbene l’attuale situazione politica internazionale abbia una visibilità maggiore su tutti gli altri temi, nondimeno si sta sviluppando in questi giorni un notevole interesse nei confronti di un evento di politica nazionale che, normalmente, sarebbe passato nell’indifferenza generale.

Mi riferisco alle votazioni delle Camere riunite in seduta comune per l’elezione dei tre giudici mancanti della Corte Costituzionale.

Queste votazioni, giunte ormai alla trentesima tornata compresa quella del 3 dicembre, non hanno incredibilmente portato ad alcun risultato.

Sui nomi dei candidati, proposti dai partiti, si è scatenata una contesa deplorevole fra i parlamentari, di cui i cittadini dovrebbero prendere atto per riflettere fin d’ora in vista delle prossime elezioni amministrative.

Ci sono eventi politici che colpiscono l’immaginazione dell’elettore con grande forza ma che o per il sopraggiungere di altri episodi ancora più gravi o per una comprensibile disaffezione verso la politica vengono poi dimenticati nel tempo.

Ma la rissa parlamentare in atto e la conseguente impotenza a decidere difficilmente verrà dimenticata dai cittadini.

E ciò per due motivi essenziali.

Il primo perché proporre il nome di un candidato alla carica di magistrato della Corte Costituzionale, una delle più alte istituzioni repubblicane, dovrebbe effettuarsi esclusivamente in base ad una valutazione sui meriti del pretendente, come titoli accademici, pubblicazioni, attività professionali, riconoscimenti nazionali o internazionali e così via.

Il chè, invece, riveste un’importanza del tutto secondaria per i nostri uomini politici in quanto, di fatto, l’unico merito che sembrano tenere in gran conto è l’appartenenza o meno, anche sottesa, ad una parte politica se non addirittura ad una fazione all’interno di uno stesso partito politico, dando così adito a pesanti dubbi sulla reale autenticità di una scelta che dovrebbe essere effettuata unicamente per la miglior attuazione di un compito istituzionale a cui, del resto, è finalizzata la votazione delle Camere !

Al cittadino non interessa o, meglio, non dovrebbe interessare se quel magistrato appartiene ad una o ad un’altra parte politica. Quello che interessa al cittadino comune è che quel magistrato, una volta eletto sappia compiere il suo mestiere in modo ineccepibile per capacità e correttezza.

Davanti all’elettorato tutti i partiti vantano come punto di merito la trasparenza e la concretezza del loro operato e dei loro programmi salvo poi a comportarsi, come in questo caso, in modo manifestamente deplorevole per inefficienza e per totale disinteresse quanto all’immagine che di sè stessi danno al Paese e al loro elettorato.

Né meno accettabile è il fatto che i Presidenti di Camera e Senato abbiano tollerato che si sia perso tanto tempo per una votazione protrattasi per mesi e che soltanto il 3 dicembre, dopo la trentesima votazione, abbiano fissato una nuova convocazione delle Camere annuciando finalmente una votazione “ad oltranza” !

Il secondo motivo è dettato da una considerazione inquietante.

Se è vero, come è vero, che la scelta dei giudici deputati ad una carica tanto prestigiosa quanto delicata come quella di giudice costituzionale è determinata da scelte generate da appartenenza ad una piuttosto che ad un’altra fazione politica, è ancora possibile sostenere che la magistratura è veramente libera, autonoma e indipendente ?

Il comportamento tenuto dai parlamentari in questi giorni non fornisce alcuna risposta rassicurante ed anzi assegna sicuramente a noi tutti materiale sufficiente per comprendere che la cialtroneria, nel senso di mancanza di serietà e di affidabilità, è l’unico giudizio certo che si può dare sui nostri rappresentanti, almeno per quanto riguarda l’argomento in oggetto.

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Articolo pubblicato il 05/12/2015