I pacifisti si ricredono: e guerra sia!

Quando trionfa l’ipocrisia

E guerra sia. Dopo gli attacchi terroristici a Parigi tutti ora invocano una risposta armata in Siria e in ogni luogo dove i terroristi combattono o si addestrano o vengono reclutati. Tutti chiedono che le vesti insanguinate delle vittime parigine vengano rese immacolate nel lavacro purificatore della guerra e tutti si sono messi a cantare la Marsigliese come se fosse una marcia militare.

Ecco che quando ci toccano nel vivo e vengono a casa nostra a compiere stragi diamo pure ragione al Catechismo, e non a quelle parti di esso che invitano a porgere belanti e mansueti l’altra guancia, ma al n. 2308 e seguenti in cui a certe condizioni si legittima la guerra giusta. E guerra sia, allora. Il pacifismo estremo andava bene per la guerra in Iraq e nei Balcani, ma contro l’Isis occorre il pugno di ferro, non certo la mano aperta e inguantata nel velluto. Come mai? Non si può dire, ma il motivo è semplice.

In Iraq e nei Balcani si ammazzavano tra loro, invece in questo caso gli schizzi di sangue ci sono finiti addosso. È sempre la solita storia: se una intera scolaresca finisce morta ammazzata a migliaia di chilometri di distanza da noi, la cosa ci indigna ma alla fin fine concludiamo che la guerra non si vince con la guerra. Ma se uno prova solo a spaccarti lo specchietto dell’auto gli metteresti volentieri le mani al collo. La pace, il perdono e il dialogo vanno bene per gli altri, non per noi.

Noi rappresentiamo sempre un caso diverso, particolare a cui è necessario applicare regole altrettanto speciali. Non entriamo in questioni di politica internazionale, ma ricordiamo il commento, infelice o felice lo decida il lettore, che ha fatto Bašš?r al-Asad, presidente della Sira, a poche ore dagli attentati, a cadaveri ancora caldi. Il presidente avrebbe detto che quello che era successo in Francia da loro è quotidianità. Ciò che stava sperimentando Hollande per un solo giorno occorreva moltiplicarlo per cento sul suolo siriano.

E in effetti è con placida indifferenza che ascoltiamo al telegiornale o leggiamo sul nostro quotidiano preferito la notizia che sono morte decine di persone in un mercato di una cittadina di cui non ricordiamo nemmeno il nome e in uno stato africano che di certo non riusciremmo mai a trovare sull’Atlante senza l’aiuto di google maps. Non è cinismo, ma è la realtà dei fatti.

E intanto che ci siamo perdonate la digressione bioeticista: quanti ventri di madre in tutto il mondo sono trasformate quotidianamente in altrettanti teatri Bataclan? La strage di Parigi si ripete moltiplicata centinaia di migliaia di volte nelle cliniche di tutto l’orbe terracqueo con il delitto d’aborto, ma la notizia non guadagna più nemmeno un trafiletto nella cronaca.

In questo caso la cultura occidentale borghese, cosmopolita e progressista – questo, secondo la stampa, dovrebbe essere l’identikit dell’europeo tipo sotto attacco dell’Isis – non lo considera un attentato gravissimo alla civiltà, un atto di terrorismo contro persone inermi, bensì un diritto acquisito, una espressione di democrazia. Non tutti i morti sono uguali per quest’europeo disperatamente sazio della propria libertà. I terroristi sono venuti a spargere morte in una cultura che, come ebbe a ripetere più volte Giovanni Paolo II, è già una cultura di morte.

(Tommaso Scandroglio)

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 26/11/2015