Bologna, Salvini troneggia e Renzi ringrazia

Considerazioni sul dopo, per guardare avanti

Da domenica scorsa, Renzi è ancora più forte. Sabato a Roma la sinistra radicale si è costituita in partito, raggruppando Sel, fuoriusciti Pd e ex grillini.

Domenica il centrodestra a Bologna si è ritrovato formalmente unito, ma anche egemonizzato da Matteo Salvini, che ormai ne detiene la golden share.

Risultato: gli estremismi di sinistra e di destra consolidano la posizione centrista del premier, che, grazie al sostegno di Ncd e verdiniani, potrà governare ancora a lungo il Paese. Peraltro c’è anche chi, come i fittiani, che si sono dati appuntamento  a Roma, pur contrastando le politiche del governo, ha preso le distanze dalla piazza bolognese e intende costruire un’area moderata alternativa alla Lega.

Uno schema davvero frammentato che lascia al presidente del Consiglio ampi margini di manovra e lo accredita sempre più come riferimento di quei ceti medi che in passato guardavano con interesse a Forza Italia e che oggi, con il declino berlusconiano, non intendono cedere alle sirene salviniane.

A Bologna si è avuta la conferma del fatto che l’appeal dell’ex Cavaliere si è ridotto sensibilmente. In Piazza Maggiore, quando Berlusconi si dilungava nelle solite litanie («governo abusivo e non eletto dal popolo», «siamo maggioranza nel Paese», «vinceremo le prossime elezioni arrivando al 40%», «Grillo è come Hitler»), il pubblico mostrava crescente insofferenza e fischiava.

Segno che solo Salvini, al momento, gode della fiducia incondizionata di quell’elettorato, che, tuttavia, non è lo stesso di Forza Italia e della Lega Nord di vent’anni fa.

É composto, in prevalenza, da esodati, disoccupati, disperati residenti in zone disagiate ed ostaggi della malavita di strada e dall’invasione dei clandestini, disposti a cavalcare qualsiasi protesta pur di ottenere qualcosa, ma, al tempo stesso, pronti a salire su altri carri in caso di offerte politiche più allettanti.

Dal gergo Salviniano sono spariti i riferimenti all’Autonomia del Nord, al Federalismo ed ai valori che avevano ispirato Umberto Bossi e il “Popolo del Nord”. 

Il “popolo delle partite Iva”, vera ossatura dell’elettorato berlusconiano di un tempo, appare oggi gratificato dalle scelte di politica economica e fiscale compiute dal governo in carica (non ultime quelle della legge di stabilità), e che sono in larga parte quelle predicate e solo in minima parte realizzate dai governi di centrodestra degli anni precedenti.

Non si può, quindi, costruire un nuovo centrodestra sulla disperazione, sulla rabbia, sull’opposizione a Renzi. Bisognerebbe ripartire dai valori e dai contenuti. Ma questo al momento appare problematico e incerto.

Le giravolte compiute da Berlusconi nell’ultimo anno tolgono credibilità alla piazza di Bologna: l’ex Cavaliere, dapprima ha stretto il Patto del Nazareno e ha consentito al premier di condurre in porto il processo riformatore, poi ha tolto l’appoggio all’esecutivo e ora parla di regime; dieci giorni fa è andato in Europa per riaccreditarsi presso il Partito popolare europeo e ieri è salito su un palco accanto ai lepenisti e antieuropeisti Salvini e Meloni. 

Questa incoerenza, unita all’età del leader di Forza Italia, penalizza l’immagine degli azzurri e lascia presagire un ulteriore crollo nei sondaggi. Tanto più che almeno metà dello stato maggiore di Forza Italia sarebbe tentata da una scissione perché non si riconosce in alcun modo nella «deriva leghista e populista» del centrodestra. 

Anche il fronte della sinistra si presenta assai lacerato. La manifestazione di sabato a Roma ha messo a nudo le divisioni tra la neonata formazione partitica anti-Renzi, che costituirà gruppi parlamentari autonomi, e le altre anime dell’opposizione dem, da Civati a Bersani.

Il primo ha costituito un suo contenitore (“Possibile”) e non intende intrupparsi in un raggruppamento assai composito e dagli obiettivi non ancora ben chiari; l’ex segretario Pd, invece, continua a ritenere che l’ex sindaco di Firenze debba essere combattuto dall’interno del partito e non promuovendo scissioni che gli lascerebbero campo libero nella gestione di candidature e posti di potere.

Ma in un quadro così frastagliato è proprio il premier a trarre i maggiori vantaggi. Può tenere a bada l’opposizione dem, che, con la diaspora di deputati verso nuove formazioni di estrema sinistra, perde ancora peso negli equilibri interni al partito. Può accreditarsi come leader moderato e dare seguito al suo progetto di “Partito della Nazione”, drenando voti dal bacino tradizionalmente di centrodestra.

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Articolo pubblicato il 10/11/2015