La legge “salva suicidi”

Quando le rate del mutuo diventano insostenibili

L’Italia è un paese veramente strano (per usare un eufemismo) nel quale esistono migliaia di leggi e di regolamenti che si intersecano e si ripropongono di volta in volta creando una gran confusione nella quale sempre più spesso naufraga la certezza del diritto e dalla quale gli stessi operatori, legislatori compresi,  magistrati e avvocati, fanno fatica a districarsi.

Così è successo che in questi anni di profonda crisi economica una legge che poteva essere di aiuto a chi non era in grado (e non lo è tuttora) di assolvere alle sue obbligazioni, non per sua colpa, è stata quasi del tutto dimenticata.

Si tratta della legge n. 3 dell’anno 2012, detta anche “legge salva suicidi” perché emanata in un periodo in cui sono stati assai frequenti i casi di suicidio dovuti a crisi depressive conseguenti a gravi contrarietà di carattere economico.

Su un versante diverso, e pertanto al di fuori delle ipotesi contemplate dalla legge in questione, ovvero sotto il profilo della responsabilità penale (anch’essa causa di eventi drammatici) abbiamo già fatto cenno su questa rivista ad una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha escluso l’ipotesi del reato di evasione fiscale per l’imprenditore incolpevole.

La legge n.3/2012 riguarda invece quei soggetti che come gli agricoltori, gli artigiani, i professionisti, i piccoli commercianti e i privati in genere non rientrano nell’ambito della legge fallimentare e attiene al campo civilistico riguardando i casi in cui il debitore si trovi senza sua colpa in una situazione di grave crisi economica.

L’applicazione concreta della legge è avvenuta in questi giorni in un caso portato all’esame del Tribunale di Napoli il quale, statuendo sul ricorso di un debitore insolvente nei confronti di una banca mutuataria, accertata la non colpevolezza del ricorrente (sostanzialmente il privato cittadino non si era posto volontariamente in una situazione di sovraindebitamento), ha accordato una consistente riduzione del debito.

Inoltre , esaminato il piano di rientro (c.d. “piano di uscita”) proposto dal debitore, lo ha ritenuto “fondatamente attendibile e ragionevolmente attuabile”  disponendo per una congrua dilazione con pagamento in rate mensili del capitale residuo.

Naturalmente la banca mutuataria si era opposta all’azione promossa dal suo debitore ma con la citata sentenza il Tribunale di Napoli le ha dato torto.

E’ prevedibile che a questo caso, portato alla luce della cronaca giudiziaria a differenza di altri rari e quasi sconosciuti episodi, seguano altri ricorsi, così come è altrettanto prevedibile che alla procedura facciano notevole resistenza gli enti creditori.


Ma non è azzardato ritenere che, in definitiva,  l’accoglimento di una buona proposta transattiva non convenga anche alle banche, sottoposte, in caso di azione esecutiva immobiliare, a oneri pesanti sia per quanto riguarda i costi sia per quanto riguarda i tempi per la monetizzazione del credito e sempre che all’asta (atto finale della procedura esecutiva)  l’immobile ipotecato non venga svenduto.

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Articolo pubblicato il 02/11/2015