Dado il cantastorie

Andrea Biscŕro ci parla del comico romano che ha riportato in auge l’antica figura dell’intrattenitore ambulante

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” questo articolo di Andrea Biscàro (m.j.).

 

Far ridere, si sa, è una faccenda seria, riservata a pochi.


Far ridere gettando un ponte sul passato, assume i toni – consapevoli o meno poco importa – del recupero della tradizione, arricchendo la faccenda di ulteriore serietà.


Questo è ciò che sta facendo un versatile artista romano di 42 anni, Dado, al secolo Gabriele Pellegrini. Comico, cantante, attore di teatro, in attività dagli anni ’90, componente del cast di Zelig Circus, recentemente apparso a Servizio Pubblico. Le sue freddure canticchiate ci catapultano in quel sano cabaret del tempo che fu. Dado è un artista affermato a livello nazionale e la sua professionalità è frutto di una miscellanea di fattori che lo rendono originale seppur intimamente legato al passato della tradizione cabarettistica italiana degli anni ’60-’70 del XX secolo. Non solo. Grazie a lui possiamo viaggiare indietro nel tempo, come ha recentemente dimostrato di saper fare.


Riflettere su questo artista – cantante è riduttivo – significa riflettere sul valore della figura artistica del pagliaccio (nel senso più nobile del termine) e della maschera, quel manufatto che si indossa per rivestire d’un volto nuovo il proprio. Dado ha uno stile dimesso, caratterizzato dalle movenze lente di chi sta macinando la prossima battuta, il tutto impreziosito da un volto che richiama appunto le migliori maschere della commedia umana e, perché no, essendo romano, la plasticità d’un grande comico spontaneo quale è stato Bombolo.


Dado che si arrotola le maniche della camicia e che canticchia popolari melodie, storpiandone i testi con una bravura invidiabile, è l’espressione di un artista minuzioso che sa far sorridere, amaramente scuotere il capo, riflettere e, perché no, sbellicarsi dalle risate, tanto per non dimenticare mai che lui, in fondo, è uno che racconta. È lo spirito di Edoardo Bennato in Sono solo canzonette, le cui strofe, qui raccolte alla rinfusa, ben si sposano all’arte di Dado:


«nella mia categoria | è tutta gente poco seria | di cui non ci si può fidare! | Guarda invece che scienziati, | che dottori, che avvocati, | che folla di ministri e deputati! | pensa che in questo momento | proprio mentre io sto cantando | stanno seriamente lavorando! | e così è se vi pare | ma lasciatemi sfogare | non mettetemi alle strette | e con quanto fiato ho in gola | vi urlerò: non c'è paura! | ma che politica, che cultura, | sono solo canzonette!».


Se con Burattino senza fili, Bennato, nel ‘77, ha riproposto le vicissitudini di Pinocchio, nato nel 1881, Dado, oggigiorno, ha rispolverato dal baule del tempo il vecchio mestiere del cantastorie.


Personalmente mi sono occupato di questa importante figura sociale in un mio libro, Buffalo Bill è arrivato a Torino – storie di piole, amore e selvaggio West, ossia la cronistoria del Wild West Show a Torino nell’aprile del 1906. Un evento di tale portata non poteva non attirare l’attenzione dei cantastorie. Infatti, Eugenio Veritas, cantastorie piemontese di nobili origini, ci scrisse una canzone.


La figura del cantastorie percorre l’Italia intera. Per tracciarne la storia mi ero avvalso dell’«Istituto Ricerche Studi Arte Popolare “Agrigentum”» proprio per sottolineare la trasversalità e interregionalità del fenomeno culturale rappresentato dai cantastorie, «tradizionale figura di intrattenitore ambulante, che si sposta di città in città e di piazza in piazza raccontando una favola, una storia, un fatto, con l’aiuto del canto e spesso di un cartellone in cui sono raffigurate le scene salienti del racconto; i cantastorie in questo loro peregrinare vivevano delle offerte degli spettatori e talvolta dei proventi della vendita di foglietti recanti la storia raccontata. Si posizionavano nelle piazze dei paesi o nelle stalle umide e cantavano o raccontavano le loro storie, antiche o attuali, vere o immaginarie, trovate in giro nei loro viaggi o composte per l’occorrenza. Spesso i cantastorie adattavano le loro versioni ad alcuni racconti antichi, o li rinnovavano a seconda del particolare avvenimento; incursioni di pirati, miracoli di santi e vite esemplari di devoti, eventi catastrofici, clamorose impiccagioni, leggende sacre e racconti profani, meravigliose vittorie e lacrimevoli sconfitte, personaggi e momenti epici (Garibaldi ed il Risorgimento sono stati oggetto di interesse di tanti cantastorie e poeti popolari); ogni occasione era buona per i cantastorie per comporre, adattare vecchi canti o tradurre vecchie storie. Una delle più conosciute è quella della Barunissa di Carini, si pensa ci siano più di 500 versioni». 


Tornando ad Eugenio Veritas, nella Torino della belle-époque era, a suo modo, un personaggio. Inseparabile, come Dado, dalla sua chitarra, ‘rubava’ le canzonette in voga e le adattava con testi suoi. Il suo repertorio spaziava dalle sventure dei poveri diavoli ai temi politici di attualità.


Ed ecco che un centinaio d’anni dopo arriva Dado a raccontare, come Veritas, la cronaca.


Della tradizione, Dado ha ripreso i tratti salienti, aggiornandone le tre componenti peculiari: canto, cartellone e girovagare. Queste si sono adattate alle nuove tecnologie, ossia sono entrate a far parte dei social quali Facebook e YouTube.  Lo ha spiegato egli stesso a Rai News 24: «le mie canzoni richiamano quello che faccio da un po’ di tempo: si chiama canta la notizia. Prendo le notizie che voi giornalisti date nei vostri TG e le trasformo in musica. Non faccio nient’altro che prendere i dati che voi mettete a disposizione, facendoli diventare delle canzoni. Sono un uomo comune che ascolta il telegiornale e poi si diverte a cantare le canzoni».


E allora, per rilanciare la figura del cantastorie, invito i neofiti e chi già lo apprezza, a guardare i suoi video, pensando ai vecchi artisti che girovagavano di paese in paese cantando la notizia


I suoi video sono i cartelloni di un tempo ed internet rappresenta il girovagare del cantastorie.


Anch’egli, come i suoi ‘avi’, si ispira a canzoni popolari e le adatta con testi suoi che riprendono la notizia del momento. In un italiano inframmezzato da esilaranti inserti romaneschi, squisitamente conditi dalla sua mimica facciale e dal genuino sorriso – che richiamano l’immagine del ragazzino discolo –, centellinando la volgarità così da non renderla mai eccessiva bensì funzionale al contesto, Dado canta la notizia del “Funerale dei Casamonica” – ricevendo ignobili minacce di morte –, della saga infinita che vede protagonista la nostra Capitale (“Mafia mia”, “Marino imbucato dal Papa a Filadelfia”, “Il sindaco che verrà”). E ancora: “La mia banda di black bloc”, “Gesti sessisti al Senato”, “Il canone Rai in bolletta”, “Fornero”, “Bibidi-bobidi-bù, l’auto con la doppia vu”. Intelligenti anche le sue performance a Servizio Pubblico (anch’esse presenti su YouTube): “Anziano fortunato”, “Medley Dado”, “Matteo è meglio de Mao” e via cantando…


Cantando la notizia è una sorta di “TG Dado” che fa certamente sorridere, ma lascia sempre l’amaro in bocca, perché questo artista romano è in grado di conciliare la facezia con il sentire diffuso di un Paese in affanno.


Un poeta romano, Quinto Orazio Flacco, scrisse, quando Roma se la passava meglio: «che cosa vieta di dire la verità ridendo?».


Ad un artista non si chiede tanto, ossia di raccontare la verità – per quella, non di rado persino gli storici arrancano in salita –, ma di farci sorridere, con intelligenza, dei nostri guai, contribuendo così a non imbucarli nel grande baule polveroso dei problemi eterni che qualcuno prima o poi risolverà… si spera.

Andrea Biscàro

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Articolo pubblicato il 02/11/2015