Il magistrato Raffaele Cantone al Sermig: “Non basta dire, bisogna fare”

L’Università del Dialogo dell’Arsenale della Pace ha ospitato il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Civico20news era presente e vi racconta come si è svolto l’incontro

Si è tenuto lo scorso 27 ottobre il primo di una lunga serie d’incontri mensili che si terranno prossimamente al Sermig, Arsenale della Pace: il tema è la corruzione, lo spirito è quello del dialogo, l’ospite è Raffaele Cantone, magistrato che presiede l’Autorità Nazionale Anticorruzione e che dal 1999 è entrato nella Direzione distrettuale antimafia napoletana di cui ha fatto parte fino al 2007 occupandosi delle indagini sul clan dei Casalesi, riferite anche nel noto best seller di Roberto Saviano.

“Non basta dire, bisogna fare” è il motto della serata. Ed è anche un po’ quello che il magistrato ripete nel corso dell’incontro: prima spiega che “il male è innanzitutto difficile da riconoscere, perché spesso si nasconde bene, camuffa i modi e le parole e che chi si comporta in questo modo danneggia gravemente la società e merita meno rispetto di quello che si riserva per i mafiosi, che almeno si palesano per ciò che sono” e poi ci ricorda che la corruzione ha la stessa gravità della mafia e di conseguenza suggerisce ad ognuno di fare individ.

Il magistrato racconta inoltre aneddoti personali che svelano tutta l’amarezza che giunge dall’esperienza di vita e soprattutto da un lavoro che costringe chi lo svolgea fare i conti con te stesso: “meglio guardare negli occhi un delinquente che una persona che finge di essere per bene”.

Ma come facciamo a sapere chi finge, se proprio spesso chi spende le parole più belle è proprio chi così per bene non è? Potrebbe valere lo stesso discorso perfino per un magistrato come Cantone in fondo.

Non possiamo riconoscerlo per certo, possiamo affidarci solo al nostro istinto, all’esperienza e ai principi che muovono la nostra coscienza, nell’attesa di conoscere gli eventi.

Però Cantone ci ricorda qualcosa d’importante che oggi si sente poco raccontare perché non va tanto di moda in un’epoca come la nostra, così poco bagnata di umiltà e intrisa di una costante ricerca del “meglio”: tutti hanno diritti non solo chi eccelle, anche chi magari ha capacità minori ma ogni giorno fa la sua parte, anche perché spesso le indagini sulla corruzione finiscono per avere un “effetto darwiniano, per cacciare insomma i corrotti fessi e promuovere quelli più bravi che individuavano metodi nuovi, quelli più in ombra”.

Ciò che emerge e ciò che ben sappiamo è che la macchina della corruzione è perfettamente oliata e che bisogna lavorare sul complicato meccanismo della prevenzione, che inizia innanzitutto da ognuno di noi, rispettando i propri doveri morali, anche se ciò che facciamo incide in modo minore, bisogna farlo. Ovvio che poi, gli anticorpi andrebbero inseriti anche nel sistema.

Il primo di questi anticorpi che va inserito nel sistema, è la trasparenza: “la gestione della cosa pubblica dovrebbe avvenire come se si trattasse di una casa di vetro”, di modo che il controllo civico dei cittadini possa realmente funzionare.

Si è parlato dell’inchiesta “Mani Pulite”, di quanto la deresponsabilizzazione la faccia da padrona, di appalti e di come un paese che si rispetti non possa rinunciare alla costruzione di grandi opere per paura della dilagante corruzione, soprattutto nei grandi eventi, perché altrimenti quello è uno stato che non proverà mai a inserire gli anticorpi nel sistema.

“Ad esempio nessuno avrebbe scommesso che Expo si sarebbe fatto, gli appalti erano fermi e c’era sfiducia. Noi abbiamo provato a fare dei controlli e la percentuale dei lavori non fatti di questo Expo è la più bassa di sempre, è stato un grande successo, dimostrando che i controlli non sono stati un ostacolo ma anzi hanno aiutato a creare la situazione di tranquillità ottimale per poter lavorare”.

Siccome lo spirito dell’incontro è quello del dialogo e non quello della lezione frontale, Raffaele Cantone ha risposto a qualche domanda dei ragazzi presenti: ”come si possono riconoscere i piccoli scambi corrotti che possono notarsi nel quotidiano e come possiamo denunciarli?” semplicemente, risponde Cantone, a “non abituarsi alle strade traverse, alle scorciatoie; evidenziamo i comportamenti altrui sbagliati quando li vediamo, che sia il mio compagno di banco che sia il collega sul lavoro o il proprio partner”.

La lotta alla corruzione può e deve fare parte del nostro quotidiano, serve una forte volontà e tanta tenacia, perché spesso a non voler tradire se stessi si finisce per rimanere soli in questa lotta. Isolati. Conseguenze che nella maggior parte dei casi non siamo disposti a sopportare e allora ecco che troviamo scuse e giustificazioni morali per le nostre scelte, che sminuiamo i nostri errori o semplicemente sottolineamo solo quelli degli altri…

La “consolazione” però è sapere di aver fatto la cosa giusta, di non aver insomma messo in discussione la propria dignità.

Quindi se scegliere la legalità spesso equivale a scegliere la solitudine, la domanda che resta è: siamo davvero pronti a rimanere soli?

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Articolo pubblicato il 29/10/2015