La legittima difesa

Considerazioni sulle reazioni al caso Sicignano

L’episodio del pensionato che ha ucciso un ladro introdottosi nella sua abitazione ha suscitato una serie di polemiche che infuriano su tutti i giornali e sono oggetto di accesi dibattiti.

I motivi principali che hanno scatenato le manifestazioni di solidarietà nei confronti di Francesco Sicignano, il pensionato in questione, sono dettati principalmente da due circostanze: la prima è dovuta all’innegabile aumento della criminalità non disgiunta dalla violenza con la quale spesso essa viene attuata; la seconda è dovuta al fatto che gli inquirenti hanno ipotizzato a carico del pensionato il reato di omicidio doloso, ipotesi che mal si concilia con l’esasperazione, con la rabbia e con il senso di impotenza che si diffonde ormai da troppo tempo nei cittadini.

Tuttavia vale la pena di ricordare che le indagini sono ancora in corso, giustificate anche da alcune circostanze che sarebbero risultate in contrasto con la versione dei fatti data dal Sicignano agli investigatori.

Non siamo dunque di fronte ad una sentenza di condanna dell’uccisore e tantomeno di fronte ad un provvedimento di rinvio a giudizio ma ad un atto dovuto di investigazione, senza la quale non ci troveremmo in uno stato di diritto.

Per contro, non possiamo nascondere che le manifestazioni di solidarietà verso il pensionato alle quali abbiamo assistito hanno sicuramente generato in molti un notevole senso di disagio proprio perché esse appaiono il frutto di uno stato emozionale che si traduce in una categorica, aprioristica reazione a che sul caso venga fatta ulteriore chiarezza.

Dal punto di vista legislativo la norma dell’art. 52, comma 1 del nostro codice penale, nella formulazione successiva all’entrata in vigore della legge del 2006, consente di ritenere che la disciplina sul diritto di difesa  (c.d. legittima difesa) sia sufficientemente chiara  e immune da critiche che ne giustifichino la rimodulazione.

In tal senso si sono espressi, in modo altrettanto chiaro e inequivocabile,  anche molti giuristi e addetti ai lavori.

Non vogliamo qui inoltrarci ulteriormente nel merito della vicenda Sicignano che, tra l’altro, sembra fornire a  qualche formazione politica una prelibata occasione a scopi squisitamente elettorali, ma ci sembra legittimo osservare che le manifestazioni , almeno quelle a cui stiamo facendo riferimento, sarebbero molto più utili se fossero finalizzate non già a sollecitare il legislatore ad intervenire modificando l’art. 52 bensì a procedere ad un nuovo riesame della normativa e dei regolamenti che presiedono alla regolare esecuzione della pena comminata al condannato, sia per quanto attiene alle sue modalità sia per quanto attiene alla sua durata.

Non mi riferisco certamente alla così detta “pena esemplare” (che comunque non può far parte della giusta condanna), mi riferisco invece alla certezza che l’imputato, condannato, espii la sua pena senza alcuna riduzione né trattamento di favore nel corso della sua esecuzione.

Il chè potrebbe costituire, se concretamente attuato, un deterrente notevole per chi voglia delinquere.

Non è di alcuna utilità ritornare sul concetto di “legittima difesa” ampliandolo o rimodellandolo (ad esempio quando, come è stato suggerito, il fatto avvenga all’interno di un’abitazione) perché raramente si potrà prescindere, in caso di omicidio, dall’esercizio di una attività inquirente ovvero dall’accertamento della  sussistenza di un eventuale concorso di circostanze di reato da parte di chi ha ucciso, sia pure per difendersi.

In particolare poi se si pensa che molti omicidi, anche se originati da fattispecie diverse da quella in esame, potrebbero essere giustificati o occultati e quindi rimanere impuniti se la norma sulla legittima difesa fosse automaticamente applicata senza quegli accertamenti sulla effettiva situazione di “pericolo attuale” e di “proporzionalità fra offesa e difesa” soltanto ricorrendo le quali può essere legittimato e pertanto non punito un gesto drammatico come quello di uccidere.

Diverso ovviamente è il discorso sulla prevenzione e sul presunto buonismo anche di alcuni magistrati: temi che meriterebbero ulteriori  e più approfondite considerazioni.

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Articolo pubblicato il 23/10/2015