Corte di Cassazione

Un’altra sentenza sull’evasione di sopravvivenza

E’ stato dato molto rilievo alla recente sentenza della Corte di Cassazione che ha escluso la responsabilità di un imprenditore il quale, messo alle strette dalle difficoltà economiche incontrate nell’esercizio della sua impresa, ha operato una scelta decidendo di non pagare l’Iva pur di continuare a corrispondere gli stipendi ai suoi dipendenti.

La sentenza è stata accolta da un coro unanime di soddisfazione assolutamente condivisibile ma che, in molti casi, è sembrato non individuare la reale portata del provvedimento.

Un esame affrettato e superficiale della sentenza in questione può nascondere  trabocchetti che è meglio evitare per non rendersi benemeriti di una giurisprudenza decisamente contraria a quella che sembrerebbe oggi imboccare la strada di una maggior comprensione in favore del contribuente, in particolare del contribuente/imprenditore.

Ripercorriamo in breve le vicende processuali che hanno dato origine al pronunciamento della Corte.

Un imprenditore del Veneto era stato accusato di evasione fiscale e, sottoposto al solito iter processuale, era stato assolto dal Tribunale penale di Rovigo per non aver oggettivamente potuto provvedere al pagamento dell’Iva per i motivi dianzi precisati.

La sentenza si collocava nel solco di alcuni rari precedenti giurisprudenziali ma la Corte d’Appello di Venezia riformava successivamente la sentenza del giudice di primo grado ritenendo che comunque l’imposta dovesse essere corrisposta e che pertanto l’imprenditore si fosse reso colpevole del reato di evasione fiscale.

La Corte di Cassazione, investita della questione di legittimità, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Venezia in base al principio per cui “La crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento può essere rilevante per escludere la colpevolezza, se venga dimostrato che il soggetto tenuto al pagamento aveva adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo”.

In sostanza, la Corte ha dato ragione all’imprenditore ritenendo corretta la sentenza del Tribunale di Rovigo che aveva escluso il dolo, ovvero l’intento doloso del contribuente di non corrispondere l’Iva.

Alcune osservazioni varranno a giustificare la nostra prudenza di fronte alle manifestazioni di sollievo e nel contempo di biasimo nei confronti dello Stato famelico, originate dal principio stabilito dalla Corte di legittimità.

Infatti, se la sentenza non può che essere accolta con compiacimento perché esclude il reato nell’ipotesi citata (l’accertamento di tale responsabilità con la irrogazione della pena conseguente ivi comprese quelle accessorie è sicuramente un  colpo durissimo per l’imprenditore), non va tuttavia dimenticato che la Cassazione non ha assolutamente affrancato il contribuente dal dovere di corrispondere il tributo ma ne ha semplicemente contenuto gli effetti  sotto il profilo penale in caso di violazione.

La qual cosa, se -come abbiamo già sottolineato- induce ad un certo ottimismo chi versi senza sua colpa in stato di decozione, essa tuttavia non esime dal rilevare che la Corte ha ben delineato i limiti di applicazione del principio enunciato.

Detti limiti appaiono evidenti allorchè si ponga attenzione alla massima mediante una semplice esegesi del dettato con cui essa è stata formulata.

La Cassazione infatti ha chiarito che la carenza di liquidità alla scadenza del debito fiscale può (e dunque prescinde da qualsiasi automatismo) essere motivo per escludere la responsabilità penale soltanto nel caso in cui il contribuente dimostri concretamente di essere incappato in uno stato di insolvenza pur essendo immune da colpa.

Ma è proprio sull’interpretazione del concetto di colpa e sulla dimostrazione della sua assenza che, nella pratica, possono nascondersi quei trabocchetti nei quali l’imprenditore/contribuente rischia di cadere.

Qual è, sotto il profilo imprenditoriale, organizzativo, commerciale e dell’eventuale ricorso al credito, l’iniziativa che esclude la responsabilità penale del contribuente ? Ed infine quali sono i dati rilevanti ai fini processuali ovvero la prova idonea  e risolutiva per escluderne la responsabilità penale ?

Su tali domande la Corte non ha potuto pronunciarsi tant’è che nel caso specifico ha dovuto forzatamente rinviare la causa ad una diversa Sezione della Corte d’Appello di Venezia perché proceda al riesame dell’istruttoria ovvero a raccogliere quegli elementi fatto che potrebbero rendere applicabile il principio di diritto sui quali dovrebbe attestarsi un precedente importante per la difesa del contribuente nei confronti dello Stato: uno Stato che non è ancora riuscito ad abbassare il livello della pressione fiscale, finora tanto auspicato e mai verificatosi !

La nostra impressione è che il cammino per una più equa imposizione che tenga conto anche e soprattutto della situazione oggettiva e soggettiva in cui versa il contribuente sarà ancora lungo ma, indubbiamente, la recente sentenza della Corte di Cassazione va nella direzione giusta.

Non meno importante sarà però valutare quali saranno le prove ritenute idonee per dare la dimostrazione di quelle iniziative che secondo la Cassazione escluderebbero la responsabilità penale del contribuente.


Non ci riferiamo ovviamente alle ipotesi di insolvenza conclamata e dolosa ma a tutti quei casi in cui una crisi economica generale può essere sufficiente, da sola, a creare una paralisi delle iniziative che fanno carico ad un imprenditore anche modesto, quali, a puro titolo di esempio, la forzata diminuzione della produzione per mancanza di ordinativi e il  conseguente calo di vendite e di introiti.

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Articolo pubblicato il 22/10/2015