L’esclusione dell’Arabia Saudita dal Salone del Libro

La difesa dell’Ambasciatore

Dopo una riflessione fin troppo tentennante il cda della Fondazione Salone del Libro di Torino ha deciso di ritirare l’invito all’Arabia Saudita di partecipare come ospite d’onore al prossimo Salone.

La motivazione è nota e risale alla notizia della condanna a morte del giovane saudita, Ali Mohammed Al-Nimr, per aver partecipato non ancora maggiorenne a una manifestazione contro il regime di Riad.

Che l’Ambasciatore in Italia dell’Arabia Saudita, signor Rayed Khaled Krimly, viste anche le altre reazioni non solo in Italia ma anche in altri Paesi, tentasse di difendere l’indifendibile c’era da aspettarselo.

Quel che stride e in un certo senso sgomenta nelle sue dichiarazioni è il suo invito, alquanto perentorio, ai paesi “colonialisti” di non ingerirsi negli affari interni dell’Arabia Saudita.

Il colonialismo non c’entra proprio nulla in questa vicenda e il signor Ambasciatore lo sa bene. Il tema del colonialismo implica sicuramente un argomento assai spinoso per molte nazioni occidentali ma attaccarsi ai fantasmi del passato per giustificare le aberrazioni del presente,  soprattutto in un paese dove vige un  regime inviso per inequivocabili ragioni non soltanto alla comunità internazionale ma agli stessi suoi cittadini, costituisce certamente una ulteriore conferma che l’iniziativa assunta dal Salone del Libro è più che legittima.

Una fra quelle ragioni, ma certamente non l’unica, è la scelta di una mostruosa modalità con cui si vorrebbe provocare la morte del giovane Ali Mohammed, scelta che dimostra quanto gli inviti rivolti dall’Ambasciatore siano inaccettabili.

A maggior ragione poi se si pensa che, per difendere il suo Paese, Rayed Khaled Krimly ha giustificato la condanna a morte per avere il condannato commesso molti delitti  (asserzione che sembra in netto contrasto con la vera motivazione della condanna a morte) senza tenere conto che come avviene in ogni paese che possa definirsi civile la commissione del reato durante la minore età esclude a priori una esecuzione capitale sostituita, anche dopo il raggiungimento della maggiore età,  da altre forme di pena.


Dunque l’Ambasciatore avrebbe potuto astenersi dalle accuse rivolte ai paesi “capitalisti” ma, soprattutto, avrebbe dovuto evitare di inoltrarsi in giustificazioni assurde.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 09/10/2015