Crisi e banche: cos’è il bail-in e cosa rischia il correntista?

Da gennaio 2016 il salvataggio dell’istituto di credito non avverrà più con soldi pubblici dello Stato e/o delle banche centrali

Dall’anno nuovo, l’eventuale crisi di una banca verrà risolta con il nuovo meccanismo detto “bail-in”: il salvataggio dell’istituto di credito, cioè, non avverrà più con soldi pubblici dello Stato e/o delle banche centrali (come è stato sino a oggi), ma attraverso la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti (come quelli dei correntisti che abbiano depositato più di 100mila euro) o la loro conversione in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a risolvere la crisi e a mantenere la fiducia del mercato.

 

In ogni caso, azionisti e creditori non potranno subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie.

La banca d’Italia ha diffuso una guida (scaricabile da questo indirizzo della stessa Bankitalia) con delle FAQ sul bail-in. Eccola sintetizzata qui di seguito.


Cos’è il bail-in

Per decenni il conto dei dissesti creditizi veniva ripianato dagli Stati, con il ricorso alla fiscalità o ai Fondi di garanzia, come avvenuto in molti casi anche in Europa dopo il crack di Lehman Brothers: secondo Eurostat, a fine 2013 gli aiuti ai sistemi creditizi nazionali per reggere l’urto della crisi finanziaria globale avevano accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia, 19 circa in Belgio e Austria e quasi 18 in Portogallo.

 

In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, tutti ormai restituiti. Dall’anno prossimo invece a pagare il conto di errori di gestione ed eventuali illeciti del management saranno chiamati (con svalutazioni progressive) innanzitutto gli azionisti, in subordine gli obbligazionisti e, se non bastassero i loro sacrifici, anche i correntisti (ma, come detto, solo coloro che hanno più di 100mila euro depositati).

Cosa rischiano i risparmiatori in caso di bail-in?
In pratica, non appena subentra la crisi di una banca, le perdite vengono assorbite seguendo una gerarchia di priorità: a subire immediatamente le conseguenze sono i proprietari della banca ossia gli azionisti. Solo dopo si passa alla categoria successiva.

L’ordine di priorità per il bail-in è questo: innanzitutto, come detto, vengono gli azionisti; poi i detentori di altri titoli di capitale; gli altri creditori subordinati (ossia coloro che hanno i titoli di debito subordinato, quelli cioè più rischiosi); i creditori chirografari; persone fisiche e piccole e medie imprese titolari di depositi per importi oltre i 100mila euro; il Fondo di garanzia, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti.

Ad esempio, chi ha un deposito di 200mila euro non deve temere che, all’apparire di una crisi, il suo deposito verrà ridotto o convertito in azioni, se la predetta crisi potrà essere assorbita attingendo dalle risorse degli azionisti.

In sostanza, prima si sacrificano gli azionisti, riducendo o azzerando il valore delle azioni. Poi si interviene su alcune categorie di creditori, i cui titoli possono essere trasformati in azioni — per ricapitalizzare la banca — e/o svalutati se l’azzeramento del valore delle azioni non basta a coprire le perdite.

È, dunque, necessario che gli investitori facciano estrema attenzione ai rischi di alcune tipologie di investimento, in particolare al momento della sottoscrizione.

Quali sono le forme d’investimento e di risparmio bancario escluse dal bail-in?
Sono completamente esclusi dall’ambito di applicazione e non possono quindi essere né svalutati né convertiti in capitale:

1) i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi, cioè quelli di importo fino a 100.000 euro;

2) le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti;

3) le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;

4) le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;

5) le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;

6) i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.

Cosa rischiano i depositanti?
I depositi fino a 100mila euro, quelli cioè protetti dal Fondo di garanzia, sono esclusi dal bail-in. Questa protezione riguarda, ad esempio, le somme sul conto corrente o in un libretto di deposito e i certificati di deposito coperti dal Fondo di garanzia.

Anche per la parte eccedente i 100mila euro, i depositi delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese hanno un trattamento preferenziale: sopporterebbero un sacrificio solo nel caso in cui il bail-in di tutti gli strumenti con un grado di protezione minore non fosse sufficiente a coprire le perdite e a ripristinare un livello adeguato di capitale.

I depositi al dettaglio oltre i 100mila euro possono essere esclusi dal bail-in per evitare rischi di contagio e preservare la stabilità finanziaria, sempre che il bail-in sia stato applicato ad almeno l’8% del totale delle passività. Ulteriori chiarimenti in materia di conti correnti e bail-in sono indicati nell’articolo a fianco.

Come cautelarsi dal rischio di bail-in?

Innanzitutto l’investitore / correntista dovrà porre attenzione al rating, la valutazione delle agenzie internazionali, che però in passato non ha evitato scottature.

C’è poi il consensus degli analisti, ovvero i “consigli” di eventuale acquisto, mantenimento o vendita di un titolo.

Utile può essere anche l’andamento dei Cds, i credit default swap che rappresentano il “premio” per assicurarsi contro il default (il loro rapido aumento segnala tensioni).

Il dato, però, più interessante è il coefficiente patrimoniale (o anche coefficiente di solidità patrimoniale). Espresso come Cet 1, (che sta per Common equity tier 1), tale valore viene indicato nelle comunicazioni di bilancio e rappresenta il rapporto tra capitale ordinario versato e attività ponderate per il rischio delle banche.

Più alto è il Cet 1, maggiore — sempre che i bilanci siano veritieri — è la solidità dell’istituto, dunque di azioni e bond.

Se il Cet 1 scende sotto la soglia fissata dalla Banca Centrale, l’istituto deve porre in atto operazioni di rafforzamento patrimoniale. Così, qualora sopraggiunga un grave squilibrio, può scattare la risoluzione e il bail in.

Fonte: www.laleggepertutti.it

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Articolo pubblicato il 30/09/2015