Giornali, caffè, teatri e altri divertimenti della Torino del 1881 – seconda parte

Ultima puntata della ricognizione nella Torino descritta dal libro “Il viaggio per l’Italia di Giannettino” di Carlo Collodi

Concludiamo la ricognizione nella Torino descritta dal libro “Il viaggio per l’Italia di Giannettino” di Carlo Collodi, sempre con la scorta dell’articolo di Giuseppe Gallico, intitolato “La Torino del Collodi”, pubblicato su «La Stampa» del 4 aprile 1926. Gallico, a proposito dei teatri torinesi, evoca garbati ricordi, anche familiari:

 

Desta una certa impressione ad un torinese… in grigie chiome il leggere l’elenco degli undici teatri torinesi. Il tempo ha fatto strage; ci sono dei morti: il Gerbino, che vide recitare grandi artisti; l’Arena Torinese, dove si recitarono tanti drammi da… arena, e tennero il «cartellone», i drammi di Ulisse Barbieri, battezzato dal De Amicis, Ulisse il sanguinario; il Nazionale, in piazza Bodoni, un bel teatrino a palchi e gallerie, adibito ad opere teatrali e balli, passato poi ai dilettanti. L’Unione Filodrammatica Torinese vi fece sue belle prove, ed io qui ne parlo anche per ragioni sentimentali: ché di essa era «pars magna», tale che allora era uno dei più simpatici «bohémiens», ed ora è un caro, vegeto ottantenne: mio padre!

Interrompiamo a questo punto il simpatico scritto di Gallico per fornire alcune indicazioni sui vari teatri citati.

Esistono ancora il Teatro Regio, sito in piazza Castello, ricostruito dopo l’incendio dell’8-9 febbraio 1936, il Teatro Carignano, nella piazza omonima, e il Teatro Alfieri, che risale al 1855, in piazza Solferino.

Il Teatro Nazionale era sorto nel 1845, in via Borgonuovo (oggi Mazzini), al’altezza di piazza Bodoni, oggi è un cinema.

Il Teatro Gerbino si trovava in via Maria Vittoria, all’angolo con via Plana: è scomparso e resta come unico ricordo una lapide in via Plana.

Il Teatro Balbo, costruito nel 1856, era in via Andrea Doria n. 15, è stato distrutto dai bombardamenti nel 1943 e oggi è sostituito dalla Camera di Commercio.

Rimane la facciata del Teatro Gianduia o D’Angennes, in via Principe Amedeo n. 24, dove si esibivano le marionette della famiglia Lupi, mentre è scomparso il Teatro Rossini, aperto nel 1793, che aveva sede in via Po 24, dove oggi troviamo la via Federico Ozanam, reso inagibile da un incendio nel 1941, non è stato ricostruito.

Il Teatro Scribe, sorgeva dal 1857 in via della Zecca n. 27 dove, dopo la distruzione causata da un bombardamento nel 1942, oggi resta la facciata molto degradata. È stato il Teatro di Torino (1925) poi Auditorium EIAR (1931-1940).

L’Arena Torinese, è il teatro oggi meno noto. Era una costruzione in legno, in Vanchiglia, posta in corso San Maurizio all’angolo con via Denina, quando questa zona era ancora occupata da prati. Era stato inaugurato nel giugno 1879 ed era rimasto attivo fino al 1905.

Il Teatro Vittorio Emanuele oggi è l’Auditorium della RAI in via Rossini 15. A proposito di questo teatro, Gallico introduce una intrigante divagazione.

Dal Collodi è citato il Teatro Vittorio Emanuele, ed io, leggendone il nome, non so scompagnare il ricordo di esso da quello dei brentatori (brindôr), che ne popolavano i pressi. I «brindôr!». Quanti torinesi li ricordano ancora col loro camiciotto azzurro, col loro volto rosso, molti con gli orecchini alle orecchie, per immunizzarsi - credevano - da malattie agli occhi. (Ma questa superstizione non era solo dei brentatori). Se uscendo di casa il primo giorno dell’anno ci si imbatteva in uno di essi - ecco un’altra superstizione - si poteva essere certi di avere una felice annata, come se si fosse incontrato un frate, un soldato, un gobbo.

Sulle vicende di questa… fauna scomparsa, ho voluto interrogare un archivio vivente, il filodrammatico di cui sopra, mio padre, ed eccone, in breve, la storia: Essi avevano, al tempo dei tempi, il loro quartiere nella vecchia piazza Carlina (nominiamola alla torinese, molti ne ignorano il nome italiano), diviso in due lunghe corsie, l’una di rimpetto alla Caserma dei Carabinieri, l’altra di fronte all’«Albergo del Moro», tutte e due all’aperto, e vi facevano affaroni; ma quando si collocò nel mezzo della piazza il monumento a Cavour, i brentatori furono invitati ad alzare le… brente ed i tacchi, e il Municipio fabbricò per loro diversi capannoni in via Rossini, di fronte al Teatro Vittorio, ove stettero parecchi anni. Ma anche di lì furono sbrattati. Allora un forte nucleo di essi, costituitosi in Cooperativa, prese dimora al vicolo della Verna, nei pressi di un altro Teatro, il Carignano. Con questa migrazione arriviamo quasi ai giorni nostri e la storia si tace.

Giuseppe Gallico commenta poi la chiacchierata di Collodi sul carattere dei torinesi con considerazioni che oggi suonano particolarmente malinconiche:

E ritorno al Collodi, che sulla fine delle sue impressioni intona un vero inno a Torino, che lavora (e ai suoi tempi non poteva, prevedere i magnifici progressi dell’industria; la Fiat, per esempio, dava nel 1889 il primo vagito, con modesto capitale, trentasei cavalli di forza, cinquanta operai), a Torino che si diverte in scampagnate, ai teatri, ecc., a Torino che s’istruisce ed ha il minor numero di analfabeti d’Italia.

Concludiamo, sempre con le parole di Giuseppe Gallico che riscontra nel libro di Collodi una «strana lacuna»:

Una cosa però non ha esaltato - ed è strana lacuna - questo fervido innamorato della nostra città, il meraviglioso scenario che la ricinge; la verde pianura di cui il fiume regale lambisco valli, giardini, ville; la ridente collina, popolata di paesi, boschi, palazzine, e, in fondo, in alto, le azzurrine e argentine cuspidi, scintillanti di nevi e ghiacci.

Quale altra città può donare al contemplante una più superba visione di cose belle?

(seconda parte – fine)

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Articolo pubblicato il 06/10/2015