«monumenti fitti come le stelle!...» nella Torino vista dall’autore di Pinocchio

L’immagine della nostra città fornita ai ragazzi italiani della fine dell’Ottocento dal libro di Carlo Collodi “Il viaggio per l’Italia di Giannettino”

Prosegue la nostra ricognizione fra le pagine del libro “Il viaggio per l’Italia di Giannettino” di Carlo Collodi, pubblicato, in vari volumi, dall’editore fiorentino Felice Paggi dal 1880 al 1886 e destinato all’uso scolastico e alla formazione culturale dei ragazzi italiani.

Si parla di Torino nel Capitolo X della Prima Parte, dedicata a L’Italia Superiore, apparso nel 1881 e riproposto nel 1992 da Maria Pacini Fazzi Editore di Lucca, in un volumetto a tiratura limitata (m.j.).

 

Giannettino, nel descrivere agli amici fiorentini Minuzzolo e Adolfo una delle sue passeggiate culturali per Torino, si sofferma sull’abbondanza di monumenti.

 

[…] Andammo in Piazza San Carlo, una magnifica piazza circondata di grandi porticati, in mezzo alla quale s’innalza la statua monumentale di Emanuele Filiberto, duca di Savoja «un vero capolavoro della scultura moderna» mi disse il Dottore Boccadoro [il maestro di Giannettino, n.d.r.] che se ne intende. […]

Nel tornare a casa, attraversando la Piazza Carlo Emanuele II, vidi un altro gran monumento…

- Ma questi monumenti – osservò Minuzzolo meravigliato – debbono esser fitti come le stelle!...

- Mi diceva il Dottore Boccadoro che forse non c’è in Italia un’altra città che abbia sulle vie e sulle piazze pubbliche tanto monumenti commemorativi e tante iscrizioni e tante statue di grand’uomini, quanti ne ha Torino. E io lo credo: difatti, andando a girelloni per la città, mi ricordo di averne vedute un visibilio di queste statue: la statua di bronzo di Massimo d’Azeglio, presso la Stazione di Porta Nuova: la statua equestre, anche quella di bronzo, del Duca di Genova, sulla piazza Solferino: le statue del Brofferio, scrittore e giornalista, dell’ingegnere Paleocapa, del matematico Lagrange, dello storico Balbo, di Guglielmo Pepe, generale napoletano, di Daniele Manin, dittatore di Venezia; la guglia commemorativa del 1821, sul corso Valentino [oggi corso Marconi], in ricordanza che in quell’anno e in quel luogo fu fatto il solenne giuramento di liberare l’Italia: e il monumento per il traforo del Fréjus (leggi Fregiùs) ossia della galleria del Moncenisio…

- Che cos’è questo monumento? – domandò Minuzzolo.

- È una grande piramide fatta tutta di pietre e di grossi macigni scavati dalla galleria stessa. Ai lati dell’obelisco vi stanno in attitudini diverse alcuni giganti scolpiti in marmo bianco, messi lì a rappresentare la forza brutale soggiogata dal Genio della scienza: il qual Genio scrive a caratteri d’oro i nomi dei tre ingegneri, Sommeiller, Grattoni e Grandis, che principiarono e condussero a fine quel lavoro veramente meraviglioso.

- Si sa come facessero a forare la montagna?

- Si servirono di enormi macchine perforatrici inventate apposta, e messe in movimento a forza d’aria compressa.

- Quanto durò il lavoro?

- Vi posero mano nel gennaio del 1861, e la galleria rimase ultimata nel dicembre del 1870, vale a dire, un lavoro, che durò la bellezza di nove anni.

- E quanti operai vi lavoravano?

- Da circa duemila operai, ogni giorno.

- Figuriamoci che spesa!... – disse Minuzzolo.

- La galleria del Moncenisio è costata, in tutto, settantacinque milioni di lire.

- Ritorniamo un passo indietro e ripigliamo il filo del racconto: qual è, dunque, il gran monumento che vedesti in Piazza Carlo Emanuele?- domandò Adolfo.

È il monumento al Conte di Cavour. […]

 

Superato il primo momento di stupore, legato al fatto che il fiorentino Collodi conceda a Torino questo primato nell’abbondanza di monumenti, bisogna temperare la nostra legittima soddisfazione di torinesi con qualche considerazione.

Il complimento di Collodi a Torino deve essere letto alla luce delle taglienti osservazioni di Antonio Margheriti Mastino (dal sito papalepapale.com), già citate in un precedente articolo, e riferite al libro “Cuore” di Edmondo De Amicis (1886) dove, analogamente a “Il viaggio per l’Italia di Giannettino”: «[…] si sostituisce la religione cattolica degli italiani con la religione laicista della patria, la Chiesa con lo Stato, il fedele col cittadino, i Comandamenti coi Codici, il Vangelo con lo Statuto, i martiri con gli eroi…».

I soggetti immortalati nei monumenti elencati da Giannettino agli amici Minuzzolo e Adolfo sono quindi “i martiri” della nuova religione della patria.

Non a caso Collodi ci presenta un vero e proprio Pantheon risorgimentale, con eroi a vario titolo di questo periodo: Massimo d’Azeglio, Ferdinando duca di Genova, Angelo Brofferio, Pietro Paleocapa, Giuseppe Luigi Lagrange, Cesare Balbo, Guglielmo Pepe e Daniele Manin.

Sono poi citate due sculture fortemente evocative, come l’obelisco del 1821 a San Salvario e il monumento al traforo del Fréjus, presentato unicamente come un simbolo del trionfo della scienza sulla forza bruta e certamente non con tutto l’alone esoterico e misterioso, se non addirittura diabolico, che gli si vuole attribuire oggi.

Visto il messaggio “di laicismo ad oltranza” che “Il viaggio per l’Italia di Giannettino” intende trasmettere ai suoi giovani lettori, non ci saremmo mai aspettati che nell’elenco comparisse anche il monumento di San Giuseppe Cottolengo, posto fin dal 1847 in una nicchia del sovrappasso del Cottolengo, perché impresentabile nell’ottica laicista.

Appare invece curiosa la mancanza di alcuni personaggi “giusti” di questo periodo, nel 1881 già immortalati nella pietra o nel bronzo, come Alessandro Borella, uno dei fondatori della “Gazzetta del Popolo”, Alessandro Lamarmora, Eusebio Bava, Giovanni Battisti Cassinis e Vincenzo Gioberti.   

L’elenco dei monumenti torinesi si chiude, last but not least, con la descrizione del monumento a Camillo Cavour che in questo modo resta impressa nella memoria dei giovani lettori…

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 16/09/2015