La morte del piccolo Aylan: se i riscontri sono attendibili siamo difronte ad un’altra verità

Non fuggivano dalla Siria in guerra, vivevano dignitosamente da circa 3 anni in Turchia

Dobbiamo dimenticare la storia della famiglia in fuga dalla guerra in Siria inseguita dalle orde di ISIS? Siamo difronte ad una menzogna o ad una ‘mezza bufala’?

Pare che la famiglia del povero bambino affogato non stesse fuggendo da Kobane, in quanto viveva in Turchia (in una casa, non in un campo profughi, come raccontato al The Guardian dalla sorella del padre, Tima Kurdi, che ha affermato, in altra sede, di pagare loro l’affitto) da circa tre anni.

Il padre aveva un normale lavoro, che gli ha consentito di pagare una somma ingente nella misura di diverse migliaia di euro (si parla mediamente di 4.000 euro in contanti, un piccolo tesoro per quei posti) ad altri siriani perché lo facessero salire, con moglie e figli, su uno dei tanti gommoni che da Bodrum portano alle isole greche. Meta finale il Canada.

La famiglia Kurdi – etnia curda – era arrivata in Turchia, a Kobane, dove si era trasferita proveniente da Aleppo, in precedenza viveva a Damasco. Da ormai tre anni viveva quindi al sicuro, lontano dalla guerra, in Turchia. La Turchia che non sarà di certo paragonabile alle isole seychelles, ma non è neppure un luogo dal quale scappano i ‘profughi’.

Il particolare che segue è raccontato al The Guardian da Mustefa Ebdi, un giornalista di Kobane:

The Kurdi family had been forced to move several times during the Syrian conflict and left the country in 2012. He said the correct family name was Shenu, but that Kurdi had been used in Turkey because of their ethnic background.

(La famiglia Kurdi era stata costretta a spostarsi più volte durante il conflitto siriano ed aveva lasciato il paese nel 2012. Ha detto che il nome corretto della famiglia era Shenu, ma che Kurdi era stato usato in Turchia, perché riconducibile alla loro origine etnica).

Non saremmo quindi davanti alla lacerante storia di profughi che sotto le bombe decidono di fuggire, ma di un uomo, in cerca di una vita più dignitosa in un paese più ricco, che decide però di mettere a rischio la sua vita e quella della sua famiglia. Il che è legittimo, ma illegale nel contempo se lo si fa da clandestino. Folle, pagare migliaia di euro e far salire i bambini e la moglie su un gommone a rischio  della vita per un’esistenza migliore, mentre sarebbe stato comprensibile se fosse fuggito da chi ti spara addosso. Ma pare non essere così.

Ciò premesso i media continueranno imperterriti a parlare di ‘profughi’ in fuga dalla Siria per tutti coloro che si imbarcano anche se, nel caso specifico, dovremmo definirla fuga a scoppio ritardato di 3 anni. Questo rende meno tragica la morte di un bambino? No. Ma evidenzia una necessità impellente: bloccare il traffico a Bodrum.

spf

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Articolo pubblicato il 06/09/2015