Storia, razzismo ed immigrazione 1

Riflessioni di Andrea Biscŕro su un utilizzo inflazionato di un termine terribile e reale - presenza di un atteggiamento da combattere con l’educazione (Prima Parte)

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” queste condivisibili riflessioni elaborate dall’amico Andrea Biscàro a proposito del tema razzismo ed immigrazione (m.j.).

 

Lo sappiamo: la strumentalizzazione della storia e delle parole è una discutibile arte vecchia come il mondo, coltivata dalla politica tutta.


Nel recente passato, chi criticava la politica di Israele, rischiava d’esser bollato come filo-nazista, sovrapponendo, con deliberata disonestà intellettuale, l’antisemitismo all’antisionismo. Proseguendo sulla medesima scia, borghese significava fascista e, nel caso il borghese di turno fosse stato democristiano, che problema c’era? Fascista in camicia bianca! Negli ultimi vent’anni, invece, chi dissentiva dal pensiero del Capo, era comunista, senza appello.


Personalmente, mi è capitato un fatto curioso: navigando su Facebook ho visitato le pagine degli on. Meloni e Salvini, cliccando “mi piace” su alcuni loro post. In breve, più d’uno mi ha scritto in chat dandomi del fascista. Amaramente ho sorriso. Eh sì, perché siamo alle solite: catalogare gli esseri umani evidentemente rende alcuni, direi molti, sicuri dentro. Li rasserena.


Se in Italia cerchi di ragionare con lucidità sul fenomeno immigratorio, non sposando le tesi comuni (incluse le penose derive interpretative fornite dal Presidente della Camera Boldrini circa l’indubbio spirito di accoglienza del popolo italiano), sei razzista.


Domanda secca: siamo o non siamo razzisti? 


Siamo “Italiani brava gente” oppure aderiamo – tutti, molti o qualcuno – a quell’«insieme di teorie e comportamenti basati su una supposta divisione dell’umanità in razze ‘superiori’ e razze ‘inferiori’»?


Innanzi tutto si dovrebbe storicamente sapere cos’è il razzismo, tenendo bene a mente che «un atteggiamento di tipo razzistico è costantemente presente nella storia dell’umanità, come testimonia la pratica antica della schiavitù. Gli antichi greci, e in seguito i romani, chiamavano ‘barbari’ (stranieri) quelli che non parlavano la loro lingua, avevano costumi, religioni, istituzioni diverse e vivevano al ‘limite’ del loro mondo.


Tuttavia, il razzismo per come noi lo intendiamo si sviluppò a partire dal XVII secolo, in seguito alle scoperte geografiche e al colonialismo. In questo periodo si affermò la convinzione che il progresso – intellettuale, scientifico, economico, politico – fosse un’esclusiva prerogativa dei bianchi e che gli altri popoli non potessero conseguire gli stessi risultati proprio a causa di una differenza biologica. Se fino a quel punto l’interpretazione prevalente del determinarsi delle varie razze era stata quella ‘climatica’ – secondo la quale a un’origine comune erano seguiti sviluppi dovuti soprattutto alle condizioni ambientali – dal XVIII secolo si affermò la teoria ‘poligenetica’, che fa risalire le popolazioni del mondo a progenitori diversi.


L’affermarsi di questa convinzione portò a ritenere inalterabili le differenze tra individui e popoli e a stabilire un principio di gerarchia secondo il quale la razza bianca era una razza superiore, predominante sulle altre; in questo modo veniva giustificato il dominio sugli altri popoli da parte dei bianchi e l’attribuzione a questi di una missione di civilizzazione.


Nel XIX secolo si consumò il passaggio dalla teoria razziale al razzismo, soprattutto con l’opera di Joseph Arthur Gobineau  Saggio sull’ineguaglianza delle razze (1853-1855). Gobineau affermò che la razza è alla base della civiltà e che quindi la degenerazione della razza comporta un decadimento della civiltà. Egli sostenne che per arrestare il decadimento della razza ‘ariana’, iniziato agli inizi dell’era cristiana, non si potesse che perseguire un disegno di discriminazione delle razze ‘inferiori’».


Da qui in avanti la storia è nota: Germania nazista, Stati Uniti d’America nonché la Repubblica Sudafricana sono tre esempi dell’ampia e tragica diffusione del razzismo nel mondo.


Un modesto e marginale contributo viene anche da chi scrive, grazie a «Il Maciste di Porta Pila», che ricostruisce la vita dell’ultimo artista di strada della lunga tradizione portapalatina. Attraverso la sua vicenda si è inteso ripercorrere le speranze, le contraddizioni e le problematiche del fenomeno immigratorio che trasformò la città di Torino negli anni ‘50/’60. Il volume narra delle difficoltà di inserimento del meridionale (bianco ed italiano) nella Torino di allora, che sfociarono in autentici atti di intolleranza reciproca e scontro culturale, vissuti in prima persona. Si trattava di quel particolare razzismo classificato come differenzialista: «esso afferma che le razze sono uguali e si diversificano non per aspetti biologici ma per la loro cultura che costituisce il patrimonio di qualsiasi razza e deve essere difesa contro eventuali mescolanze etniche che potrebbero snaturarla». Vi è anche il «razzismo addizionale o da allarme: questa forma di razzismo nasce dalla sovrapposizione o “addizione” tra una differenza (somatica, etnica o culturale) e un fattore di allarme sociale», allarme che si manifesta in vari modi, com’è facilmente immaginabile. Ad esso si associa un razzismo concorrenziale che «nasce dalla difesa del controllo materiale e simbolico sul territorio e sulle sue risorse»: precedenza degli autoctoni nell’accesso ai servizi e risorse.  Non ultimo, il razzismo culturale, che trae le sue origini «dalla difesa del proprio sistema di valori, della propria cultura e del proprio stile di vita e dal rifiuto o svalutazione di valori, cultura e stile di vita altrui».


Nutro delle forti riserve nel considerare, tout court, razzismi il differenzialista, l’addizionale o da allarme, il concorrenziale ed il culturale. Lo diventano quando dalla tutela della nostra identità collettiva – fatta di diritti e doveri – si passa al tentativo di imposizione della stessa agli altri-da-noi, atteggiamento da censurare e contrastare.


«Civico20News» si è già occupato della tematica, dando spazio a voci fuori dal coro, così come fa «Il Giornale». Accusare di razzismo chi ragiona partendo da prospettive non allineate alla maggioranza, è uno sconcertante sintomo di sordità intellettuale.


Ritorna la domanda secca: siamo o non siamo razzisti?


La risposta è strutturata nell’animo umano, indipendentemente dal colore della pelle: «un atteggiamento di tipo razzistico è costantemente presente nella storia dell’umanità».


Non mi riferisco specificatamente a quei gruppi extraparlamentari spesso accusati di esprimere atteggiamenti razzisti. Mi riferisco all’essere umano, al fattore psicologico, a quegli aspetti dei quali  la politica si disinteressa. E fa male, perché in questo modo non contribuisce alla crescita e alla maturazione del suo elettorato e, perché no, all’aumento del suo stesso bacino elettorale


Vi è un atteggiamento inconscio dell’essere umano nei confronti del diverso. Pertanto, , anche l’italiano, in quanto essere umano, è razzista. Tuttavia, risulta decisamente arduo individuare, quantitativamente, l’autentico razzista – inadatto all’ascolto, al confronto e all’educazione – ed il cittadino preoccupato, che percepisce nella politica una totale incapacità a gestire il problema e a tutelare la nazione nella sua identità storica.


Nella prossima puntata vedremo come questa preoccupazione non trova casa unicamente in quelle forze politiche di centro-destra come la Lega Nord. Vedremo inoltre come il cosiddetto “buonismo” rappresenti un vero e proprio boomerang sociale.


Andrea Biscàro (Fine prima parte)


Fonti utilizzate:

Contesto storico:


«Microsoft ® Encarta ® 2007. © 1993-2006 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati».


Tipologie di razzismi:

Mario Enrico Ferrari, Il razzismo – radici e storia, «Il Calendario del Popolo», n. 584, febbraio 1995.

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Articolo pubblicato il 10/09/2015