Le primarie negate da Berlusconi

A settembre il tema elezioni tornerà inevitabilmente all’attenzione dei partiti

Nei giorni scorsi Silvio Berlusconi ha nuovamente escluso la possibilità di primarie nel centrodestra. Secondo l’ex Cavaliere, le primarie sono manipolabili e quindi è meglio scegliere i candidati mediante accordi tra le forze politiche che comporranno la coalizione. 

Da un certo punto di vista, nulla di nuovo. Già in passato il leader del centrodestra aveva attaccato la sinistra per aver usato lo strumento delle primarie in modo eterodiretto, cioè per conferire una veste di democraticità a consultazioni della base che in realtà avevano vincitori stabiliti a tavolino dai vertici del Pd.

E non gli si può dare torto, visti i numerosi episodi di brogli, contestazioni e contaminazioni da parte della malavita che in Campania e altrove hanno avvelenato il clima elettorale nella sinistra.

In realtà dalle ultime esternazioni di Berlusconi sull’argomento qualcosa è cambiato. Anzitutto si avvicina la campagna elettorale per le elezioni amministrative in alcune importanti città tra cui Milano, Napoli, Bologna e Torino, per non parlare delle possibilità che si rinnovi anche il Parlamento.

Al momento, solamente a Milano s’intravede un’intesa tra Lega e Forza Italia per individuare candidati vincenti.

Infatti, la partita più importante è ovviamente quella nella città di Expo 2015. Lì Renzi non può permettersi di perdere, e non è un caso che negli ultimi mesi, dall’inaugurazione della kermesse internazionale, abbia trascorso tanto tempo nel capoluogo lombardo. 

Non si deve dimenticare che in Italia, come in ogni regime che si rispetta, il capo dell’opposizione sia finito agli arresti, in virtù di una legge discutibile sotto il profilo costituzionale che, vedi caso, è stata applicata solo per lui.

Poi sono succeduti gli abbandoni dei carrieristi e la loro uscita da Forza Italia. In ultimo c’è stata la scissione di Raffaele Fitto e di un manipolo di parlamentari prevalentemente del Sud, che tra le altre cose hanno rimproverato all’ex Cavaliere di aver sempre rifiutato le primarie e quindi il coinvolgimento della base nella selezione dei candidati. 

Anche per questo e altri fattori, i rapporti di forza tra Lega e Forza Italia si sono ormai capovolti. A trainare consensi sembra Matteo Salvini, mentre il partito degli azzurri é ancora diviso al suo interno.

Se si svolgessero, quindi, le primarie, come chiedono Lega, Fratelli d’Italia, uomini del Nuovo Centrodestra come Maurizio Lupi e perfino alcuni esponenti di Forza Italia come Giovanni Toti e Renato Brunetta, non sarebbero da escludere sorprese, nel senso che a spuntarla potrebbe essere un candidato della Lega.

L’elettorato del Carroccio appare al momento più motivato e radicato sul territorio rispetto a quello forzista e voterebbe compatto alle eventuali primarie. E magari Forza Italia potrebbe spaccarsi tra più candidati, facendo il gioco di Salvini. Ecco perché Berlusconi preferisce riservarsi l’ultima parola sui candidati.

All’inizio dell’estate, Berlusconi era tornato a battere la finta opzione della “società civile” nella scelta dei sindaci per le prossime amministrative, liberi dai partiti e quindi di emanciparsi dalle sue soverchie cure con la caccia al candidato.

Per la poltrona di primo cittadino di Torino è arrivato perfino a corteggiare tale Guido Martinetti fondatore di una società internazionale di gelaterie, che, a detta di molti, pare sia un ammiratore di Matteo Renzi.

In questo caso, Berlusconi ha ottenuto una pesante sconfessione, che per i più saggi ed oculati dovrebbe essere definitiva.

Il “modello Brugnaro”, che si è rivelato vincente a Venezia, al momento sembra irrealizzabile nelle città chiamate al voto nella primavera prossima. A Milano forse, ma a Torino, un altro Brugnaro non si vede all’orizzonte. Analoga situazione in altri capoluoghi, per esempio a Bologna, dove si profila la candidatura a sindaco di un consigliere regionale di Forza Italia, obiettivamente con poche chance di successo.

Il problema è più esteso e riguarda la selezione di una classe dirigente di centrodestra con un programma che non sia più inquinato dall’ostentazione dell’assistenzialismo e dello statalismo, temi irrinunciabili per Casini e Fini.

Invece non ci sono scuole di formazione politica, non ci sono momenti assembleari, né di coalizione né di partito. Soltanto la Lega svolge, pur con qualche mal di pancia, i suoi congressi e le sue assemblee e ha annunciato l’attivazione di corsi di formazione politica.

Salvini è mobile sul territorio. Tiene comizi nel Nord Italia, e anche nel Centrosud, per spiegare le sue ricette, forse semplicistiche, ma chiare e spendibili.

Sul versante forzista, invece, calma piatta. Nessun congresso, nessun momento di confronto, nessuna selezione di forze fresche, al di là dei ricorrenti proclami; soltanto poche riunioni di vertice. Anche se il nucleo storico al centro come nelle principali città è ancora costituito da personaggi di peso.

Con queste premesse la corsa per la conquista delle città appare decisamente in salita. Difficile illudersi che si possa estrarre dal cilindro candidati vincenti senza la preliminare condivisione di una strategia e di un programma attinente per i diversi territori.

Senza contare che le alleanze sono tutte da definire. I verdiniani e i fittiani, forti in alcune aree del Paese, saranno della partita o appoggeranno i candidati renziani?

Il Nuovo Centrodestra, considerato l’ostracismo di Salvini verso Alfano, appoggerà i candidati scelti da Lega e Forza Italia? Verrà coinvolto al tavolo negoziale o alle eventuali primarie o verrà spinto definitivamente tra le braccia compensatrici di Renzi?

Per Torino, soprattutto se il “Lungo” confermerà la candidatura, particolarmente caldeggiata, si dice, dallo stesso Renzi, non saranno certo i Buttiglione o i Coppola, di antica memoria, calati sul set all’ultimo momento, a far pendere la bilancia sul centro destra.

Una città che ogni giorno è più schifata dopo 24 anni di domino da parte di una sinistra inconcludente e sprecona, nel panorama politico amministrativo di oggi, deve anche fare i conti con la presenza capillare del Movimento Cinque Stelle.

Qui per ribaltare la situazione, necessitano candidati credibili, spendibili e soprattutto un programma attinente ai problemi reali della città e non una fotocopia di promesse ormai datate, perché Torino merita di più e non può soggiacere alle mediocrità di PD e compagni vecchi e nuovi. 

Tutti interrogativi che riceveranno risposta nei prossimi mesi. Gli equilibri locali saranno certamente influenzati da quelli nazionali. Fin da ora si può affermare che se il centrodestra, non riacquista un’identità unitaria, un programma liberaldemocratico sensibile al confronto con i valori cattolici ed alle sfide internazionali su infrastrutture,  imprenditorialità ed occupazione e, soprattutto non presenta una classe dirigente onesta e competente, non potrà andare lontano.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 01/09/2015