Dal bail-out al bail-in

Cambio epocale per correntisti e contribuenti europei

A luglio il Parlamento italiano ha approvato la legge di delegazione europea 2014, che recepisce una serie di direttive e decisioni dell'Unione Europea, tra le quali figura la nuova normativa in materia di crisi bancarie, incentrata sull'adozione di una procedura di salvataggio di natura essenzialmente interna.

Previa attuazione di un decreto attuativo da parte del governo, dal primo gennaio 2016 l'onere dei salvataggi bancari non verrà  più scaricato indiscriminatamente sui contribuenti: i salvataggi delle banche europee in crisi, infatti, non saranno più effettuati con il cosiddetto "bail-out", cioè mediante l'impiego di risorse esterne alla banca (per lo più fondi statali), ma con il sistema del "bail-in", che prevede, in sequenza, l'intervento degli azionisti, degli obbligazionisti e, infine, dei titolari di conti correnti superiori a 100 mila euro.

Azionisti, obbligazionisti e correntisti copriranno eventuali perdite sino all'8%, laddove per percentuali superiori interverrà  il Fondo Unico di Risoluzione (SRF), che sarà  unico per tutta la Unione Europea.

Alimentato dai singoli fondi nazionali, il SRF sarà  costituito dagli Stati membri con prelievi sulle banche a livello nazionale. Si prevede che l'intervento del SRF vada a coprire fino al 5% degli asset della banca in difficoltà.

Nel caso in cui questa rete di protezione non fosse ancora sufficiente, è previsto l'intervento del fondo salva-stati, il famigerato European Stability Mechanism (ESM). Viene quindi accantonata una pratica, quella del salvataggio pubblico, che negli anni aveva di fatto disincentivato la sana gestione degli istituti di credito, in nome della filosofia del "tanto paga Pantalone".

Alla base di ciò la convinzione che il fallimento di banche sistemiche ("too big to fail") avrebbe avuto un costo per l'economia molto più pesante di quello richiesto ai contribuenti per il salvataggio in questione.

La stabilità  finanziaria del sistema, e quindi delle singole banche, doveva essere assicurata a tutti i costi, anche alimentando il cosiddetto "azzardo morale", fenomeno per cui gli operatori economici possono sentirsi incentivati a intraprendere comportamenti eccessivamente rischiosi, qualora essi possano contare sulla probabilità  che i costi associati a un eventuale esito negativo delle loro azioni non ricadano su di loro.

Un approccio legittimo, ma decisamente discutibile, che ha di fatto consentito all'establishment finanziario internazionale di accollare alla collettività  il costo di una crisi generata, di fatto, dall'implosione di un sistema ormai marcio, basato sul debito e sulla speculazione.

Nell'era del bail-out, l'intervento della mano pubblica si è concretizzato essenzialmente nella stesura di un cordone sanitario (nella forma di una moral suasion esercitata dalla banca centrale, che favorisse la rilevazione della banca fallita da parte di una banca amica) e nell'intervento statale nell'azionariato delle banche. 

La crisi bancaria che ha colpito Cipro nel 2012 rappresenta un vero e proprio spartiacque: l'esperimento embrionale di bail-in messo in pratica nel paese mediterraneo ha infatti consentito di valutare le conseguenze di una soluzione così radicale e di concepire meglio, di conseguenza, la struttura dell'Unione Bancaria Europea.

Nel dopo-Cipro, infatti, le autorità  europee hanno previsto la creazione di un Meccanismo Unico di Risoluzione delle Crisi (SRM), che riguarderà  le banche aderenti al Meccanismo di Vigilanza Unica, gestito dalla BCE. 

Le banche aderenti al SRM sono 200 (di cui 13 italiane) e rappresentano l'85% degli attivi del sistema. Esse sono solo il 3% delle 3.700 banche europee, che per la restante parte continuano ad essere vigilate dalle autorità  nazionali.

Per quanto riguarda le conseguenze di questo cambio di paradigma, lo scenario che si prospetta è complesso. Da un lato il bail-in dovrebbe sicuramente produrre dei benefici che mitigheranno la crisi del debito sovrano, in quanto eventuali salvataggi non potranno essere gestite con il ricorso all'emissione di nuovo debito pubblico e quindi non andranno più ad impattare sulla fiscalità  generale.

In conseguenza di ciò ci troviamo di fronte ad una nuova era, sia per gli investitori privati che per quelli istituzionali. Le conseguenze di un bail-in, infatti, avranno diretta ripercussione sugli investimenti effettuati e il rischio di insolvenza non rappresenterà  più un qualcosa di astratto, ma diventerà  un rischio concreto qualora la banca in questione dovesse attraversare una fase di criticità  finanziaria.

Ciò richiederà  da parte dei piccoli risparmiatori e investitori un surplus di attenzione, poichè dovranno monitorare e giudicare l'operato della banca su cui hanno deciso di puntare, pena il rischio oggettivo di incorrere in ingenti perdite.

Dall'altro lato, il sistema del bail-in rischia di produrre, in modo automatico, un effetto di attrazione del risparmio dalle banche dei Paesi più deboli a quelle dei Paesi più forti. Il sito Goldcore.com ha recentemente stilato una graduatoria dei Paesi in cui il rischio del bail-in è più elevato.

Al primo posto troviamo la Grecia, seguita da Portogallo, Spagna, Italia e Francia. La classifica dei cinque Paesi dalle banche più sicure vede in testa la Svizzera, seguita da Germania, Singapore, Canada e Australia.

Possiamo quindi vedere come il nuovo meccanismo rischi di essere l'ennesima scelta di Bruxelles che, a conti fatti, finirà  per premiare ulteriormente il Nord Europa a scapito dei paesi membri mediterranei, con l'effetto di aggravare ulteriormente gli effetti della crisi.

Un'ultima considerazione riguarda l'articolo 47 della nostra Costituzione, secondo cui "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme". Alla luce di ciò togliere la copertura pubblica ai depositi rischia di essere incostituzionale, poichè un conto è un prestito, che può anche essere a rischio, ma un'altra cosa è un deposito bancario, che per sua natura è invece fiduciario.

Per proteggere il sistema si rischierebbe quindi di autorizzare la distruzione del risparmio come valore fiduciario e costituzionale.

 

                                                                                                   Davide Corazzini

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Articolo pubblicato il 30/08/2015