L’onestà paga… e i battenti chiudono

Triste finale di una storia d’ali tarpate da uno Stato senza testa

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” queste considerazioni conclusive dell’amico Andrea Biscàro (m.j.).

 

Concludiamo il viaggio iniziato il 18 luglio scorso («L’onestà paga… soprattutto lo Stato») e proseguito il 2 agosto («L’onestà paga… l’obolo del parcheggio») fra le sabbie mobili di un sistema fiscale che definire killer è – senza tema di smentita – volergli fare un complimento.


Lo ricordiamo: questa è la storia di due ristoratrici piemontesi, Claudia e Monica, proprietarie di un piccolo ed apprezzato ristorante, che lavora. E bene. Morale dell’incubo (favola ci sembra inappropriato): lo Stato le sta letteralmente strangolando.


Bando ai preamboli e diamo voce a Claudia: 


«Inutile dire che la situazione in cui ci troviamo è paragonabile a quella d’un cane che si morde la coda. A settembre, terminata la pausa estiva, il lavoro è ripreso a pieno regime. È assurdo, ma questa prospettiva, a differenza degli anni scorsi, non ci riempie di entusiasmo. La ragione? Molto semplice: tutto il nostro impegno – ore-lavoro e fatica fisica – non farà altro che aumentare il nostro utile e, conseguentemente, le tasse da pagare per l’anno prossimo. Dunque, che fare?


Solitamente le idee non ci mancano, ma lo Stato ci ha fatto perdere la fantasia. Abbiamo quindi deciso di mettere in vendita il locale.


Lo abbiamo già spiegato con tanto di cifre: il ristorante funziona, lavora e produce utile.


Proprio per questo riteniamo sia il momento giusto per realizzare qualcosa tramite la sua vendita, liberandoci così dalla morsa di INPS, tasse, IVA e tutto il resto. Potrà sembrare pazzesco, ma un umile lavoro part-time da dipendenti ci riempirebbe maggiormente le tasche.


Gli esperti nel settore della compravendita di attività commerciali hanno stimato il prezzo in tot. €. Tale cifra ci permetterebbe di pagare le restanti 5 rate del finanziamento (in totale circa 35 mila €), gli esborsi obbligati di 44 mila € [come spiegato nell’articolo del 18 luglio, N.d.A.] nonché le tasse sulla vendita che ammonterebbero a circa 50 mila €. Cosa rimarrebbe per noi? Sui 35 mila € a cranio.


Deludente. Eh sì, perché dopo tre anni di duro lavoro, totalmente dedite al ristorante e alla clientela, questo sarebbe il nostro guadagno. E poi?


E poi disoccupate. Per ora non ci pensiamo. Si vive alla giornata. Ora il problema è un altro: il mercato edilizio e della compravendita dei locali è, se non fermo, quasi.


Certo è che di fronte a questi continui salassi non c’è da stupirci quando si vedono locali che chiudono anche quaranta giorni per ferie! Di sicuro non lo fanno perché si sono già arricchiti o per pelandronite, ma in risposta ad una semplice domanda: perché dare anima e corpo unicamente per andare ad ingrassare le tasche bucate dello Stato? É cosi anche per noi: da ora si inizia a tirare i remi in barca, a lavorare unicamente per coprire le spese vive del locale ed i pochi debiti rimasti. Teniamo aperto il locale a pranzo e chiudiamo i battenti alcune sere. Insomma, miriamo a ridurre l’utile ed i costi. Il tutto finalizzato all’arrivo del principe azzurro: un acquirente!


Nel caso in cui la nostra favola non dovesse concludersi con un lieto fine… beh, si spengono le luci e si tira giù la serranda. Faremo anche noi parte delle innumerevoli attività che da un giorno all’altro chiudono i battenti. Con l’obiettivo della vendita abbiamo abbandonato quello della crescita.


E nel frattempo lavoriamo, perché è quello che sappiamo fare».


Alla fine di questo percorso soprattutto umano – Claudia e Monica sono due donne con la voglia di fare, italiane amanti della propria realtà locale – riecheggiano le parole di Marco Tullio Cicerone: «salus civitatis in legibus est». Sapete che vuol dire, per chi non conosce il latino? Tenetevi forte. Questa massima la possiamo così tradurre: «la salvezza dei cittadini sta nella legge».


Verrebbe da esplodere in una di quelle interiezioni romanesche piuttosto colorite – del tipo «sti c...i» o, degna variante, me c….i» –, degne di quel gran caratterista del cinema nostrano che fu Bombolo. Senza voler passare da populisti o arruffapopoli, è palese che la rovina dei cittadini onesti risiede in questo sistema fiscale da riformare alla radice. Altro che la salvezza dei cittadini sta nella legge!


La trasmissione «In Onda» su «La7» (puntata di fine luglio/inizio agosto scorso), ha realizzato un breve servizio che sembra ricalcare ciò che «Civico20News» vi ha raccontato in questi tre articoli. La cronista presenta il titolare di una piccola impresa, il sig. Mario. Ascoltiamola:


«Per una bella fetta dell’economia italiana (4,5 milioni tra professionisti e piccole imprese) le tasse sono veramente tante, con aliquote più alte rispetto a dipendenti, pensionati e grandi imprese. E le cose non sembrano cambiare».


A tal proposito, viene intervistato Claudio Carpentieri, responsabile delle politiche fiscali del CNA, ossia la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Il CNA ha calcolato il «tax free day» ossia il numero di giorni, a partire dall’inizio dell’anno, in cui si lavora senza alcun guadagno, ma unicamente per pagare le tasse. Secondo questo studio, l’azienda campione che si libera prima dai tributi – il giorno 17 luglio – è a Cuneo. Va peggio per Reggio Calabria, il cui giorno libero dalle tasse è il 29 settembre!


Spiega Carpentieri:


«Questa impresa calabrese che ha 50 mila € di reddito, 430 mila € di ricavi, 4 dipendenti, un laboratorio artigiano ed un negozio, dovrebbe dare allo Stato il 74,9 % del proprio reddito, dovendo quindi lavorare per lo Stato fino al 29 settembre».


In soldoni, dal 30 settembre al 31 dicembre i soldi che entrano se li mette in tasca l’impresa. Ma dal primo di gennaio fino al 29 settembre, chi incassa è unicamente lo Stato. Vien da sé, commenta la giornalista, che «se le cose stanno così, è difficile per una piccola impresa pensare di assumere del personale». Difatti, aggiungiamo noi, Claudia e Monica non possono assumere nessuno.


Il sig. Mario ha la ‘fortuna’ di essere un’impresa familiare. Gli dà una mano suo figlio e così «ci dividiamo quello che riusciamo a dividerci. Se lui fosse stato un dipendente, per me sarebbe stato un problema. Almeno non ho questo assillo».


Mi ripeto, come per i pezzi precedenti: che altro aggiungere alle parole di Claudia, di Monica, di Carpentieri, del sig. Mario? 


Nulla. Noi facciamo il nostro mestiere: i giornalisti, gli scrittori, quelli che denunciano le eccellenze e le deficienze di questo bellissimo ed ingrato Paese, il nostro.


Il sistema è gravemente in affanno, da un punto di vista identitario e materiale.


Pensando alle piccole imprese – che in Italia rappresentano una fetta considerevole del nostro sistema produttivo, in ogni settore – si impone una riforma radicale del sistema (rendendoci conto che la stessa necessita dei suoi tempi tecnici, ma se mai s’inizia…), basata su leggi dettate da un principio tanto banale quanto ovvio che forse nessuno prenderà in considerazione. Lo avevamo già proposto ai lettori. Lo riproponiamo. Viene dall’antica Roma, da Svetonio:


«Il buon pastore deve tosare le pecore, non scorticarle».


La colpevole miopia di questo sistema è sotto gli occhi di tutti… anche dei tuoi, legislatore?

Andrea Biscàro 

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Articolo pubblicato il 06/09/2015