Torino - Bianca salvata dai chirurghi del Regina Margherita
Foto di repertorio

Affetta da una malformazione rarissima e grave del midollo spinale

Bianca è il nome che amorevolmente i medici dell’ospedale Regina Margherita hanno dato alla neonata che hanno salvato da una malformazione rarissima e grave del midollo spinale. Bianca perché è come una figlia per i medici dell’ospedale infantile Regina Margherita che la stanno curando.

 

Oggi, a quasi due mesi di distanza da un intervento neurochirurgico e da un trapianto di membrane amniotiche, Bianca, occhi chiari e teneri, affonda il suo viso nella barba del dottor Giovanni Montà, il chirurgo di chirurgia plastica pediatrica che ha eseguito il trapianto, quasi a voler perdersi nell’affetto che lui e gli altri medici ed infermieri che stanno seguendo la sua storia dal 9 nove giugno, data della sua nascita, hanno giorno dopo giorno provato per questa piccolina.

 

Per Bianca è stata usata con successo e per la prima volta in Italia, ed una delle prime al mondo, una tecnica, mai usata finora in ambito neonatale, di trapianto di membrane amniotiche per curare la mielomeningocele, la malattia che colpisce un bimbo su 8mila e che è una gravissima malformazione congenita del sistema nervoso centrale, che fa parte dei "difetti” del tubo neurale, conseguenza di un difetto di saldatura degli archi vertebrali posteriori che provocano la fuoriuscita delle meningi e del midollo spinale.

 

Peccato che la malattia è stata diagnosticata tardi, perché solo a pochi giorni dal parto la mamma di Bianca, una donna straniera ma proveniente da una città della provincia di Alessandria e che mai aveva effettuato controlli in gravidanza, si è rivolta al Sant’Anna, dove i medici hanno scoperto la grave malformazione.

 

Colta dalla brutta sorpresa e dalla disperazione la donna ha deciso di mettere al mondo la piccola ma di non riconoscerla. Bianca, tutt’ora in progosi riservata, al momento è stata “adottata” dai medici del Regina Margherita, che seguono passo passo il suo quadro clinico, e resterà in ospedale tutto il tempo necessario.

 

«E’ una storia che mi ha toccato il cuore – ammette il dottor Giovanni Montà che ce l’ha in braccio e la stringe come a voler dire "Non ti lascerò da sola" -. Ricordo quando l’ho vista che aveva 14 giorni di vita e venendo a conoscenza della sua storia mi sono affezionato subito a lei, perché sono sensibile a certe vicende e questa è certamente una storia che non dimenticherò. Dopo 20 giorni dal trapianto ho notato dei miglioramenti e poi muove le gambette e comincia a staccarsi dal sondino».

 

Una malattia che colpisce un bimbo su 8mila

 

Sarebbe bastata una sommi­nistrazione di acido folico alla mamma, durante la gravidan­za, per evitare la grave deforma­zione di Bianca, o almeno per ridurne il rischio. Invece, la donna non si è sottoposta a esami prenatali e quando si è presentata in ospedale a Torino era già troppo tardi.
 

 

Ecco perché a pochi giorni di vita Bianca è stata sottoposta a un intervento neurochirurgico per correggere la malformazio­ne che è consistito nel riposi­zionamento del midollo spina­le e nella chiusura per sutura dei tessuti molli sovrastanti.

 

«Nei casi più gravi, come que­sto, sia per l’oggettiva mancan­za di tessuti di copertura dispo­nibili sia per eventuale soffe­renza vascolare dei lembi di chiusura, sono necessari deli­catissimi interventi di chirur­gia plastica» spiega oggi il pro­fessor Enrico Bertino, direttore del reparto di Subintensiva neonatale (San) del Regina Margherita -. Attualmente, sia per gli interventi di prevenzio­ne, in primis l’assunzione di acido folico già in epoca pre­concezionale, sia per la possi­bilità di diagnosi prenatale, l’incidenza di questa malattia nei nati si è notevolmente ri­dotta».

 

Venticinque giorni di vita do­po, Bianca viene sottoposta al delicato trapianto di “membra­ne amniotiche”, una sorta di taglio e cucito e rattoppo dei difetti di saldatura degli archi vertebrali posteriori. Alla vista queste membrane sembrano fo­gli trasparenti e smerigliati, spessi meno di un millimetro e dalla consistenza di un albume d’uovo. «Con grande fatica, proprio per la consistenza delle membrane stesse, abbiamo “rattoppato” ferite lunghe mez­zo centimetro e profonde quasi 9 centimentri per 13 centimetri - spiega ancora impressionato il dottor Montà che ha eseguito il trapianto -. Queste membrane sono fatte con un materiale dal­le caratteristiche rigenerative ed antinfiammatorie particola­ri, senza rendere necessarie te­rapie immunosoppressive».
 

 

Nella pratica le membrane am­niotiche usate in questa tecnica sono estratte da placente rac­colte da tagli cesarei e vengono inviate alla Banca dei tessuti di Treviso che le sottopone ad ac­curati controlli laboratoristici per poi trattarle e conservarle pronte per il loro uso.
 

 

«Questo materiale finora è stato solo applicato, soprattutto nell’adulto, in altri ambiti della chirurgia, come il trattamento delle ustioni e delle ulcere cu­tanee - prosegue Montà -. Per la piccola la velocità di riparazio­ne della perdita di sostanza è stata sorprendentemente rapi­da ed ha consentito di iniziare il percorso fisioterapico preco­cemente».

 

 

Il professor Bertino ammette: «I promettenti risultati di questa tecnica aprono per la prima volta positive prospettive per la qualità di vita futura del bambi­ni affetti da questa gravissima patologia». Chiosa la dottores­sa Francesca Giuliani, medico del San: «Medici ed infermieri stanno facendo squadra per so­stenere il difficile percorso del­la bimba. Ad oggi, nonostante il difficoltoso e drammatico ini­zio della sua vita, ci si può permettere un certo ottimismo relativamente alla sua progno­si».

 

                                                                                             Liliana Carbone  

 

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Articolo pubblicato il 21/08/2015