La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Gli aspetti letterari di Torino sotterranea: Carolina Invernizio

Per continuare la nostra ricognizione nelle declinazioni letterarie della “Torino sotterranea”, parliamo della scrittrice Carolina Invernizio che evoca misteriosi sotterranei di Torino in un suo romanzo ispirato a un celebre e imprendibile ladro torinese, Antonio Bruno, detto ël Cit ëd Vanchija.

Carolina Invernizio è nata a Voghera, nel 1851, anche se sulla sua tomba a Torino - e in molte sue biografie - compare il 1858 come anno di nascita, perché lei si era sempre tolta sette anni d’età. Muore a Cuneo, nel 1916.

In quarant’anni di attività scrive oltre centoventi romanzi di appendice, o feuilletons, di cui uno in piemontese, “Ij delit ëd na bela fija” (1889-1890).

Molti romanzi della Invernizio escono a puntate sul quotidiano torinese “La Gazzetta di Torino”; quasi tutti sono pubblicati dall’editore Salani di Firenze, che li piazza con successo anche nell’America latina, presso i nostri emigranti.

I romanzi della Invernizio, strutturati in modo da avvincere il lettore dall’inizio all’ultima pagina, sono storie di infami seduttori, di donne malvagie e corrotte affiancate a creature angeliche, di sepolte vive, di morte che risorgono dal sepolcro per vendicare le offese ricevute.

L’esito finale prevede costantemente la punizione del colpevole o dei colpevoli (più spesso ad opera della giustizia divina e di vendetta privata, piuttosto che di sentenze della magistratura) e il trionfo degli innocenti, spesso sancito da un matrimonio finale.

Carolina Invernizio è stata definita da Emilio Zanzi, sulla “Gazzetta del Popolo” nel 1932, come la mamma dei “libri gialli”, quando nell’estate del 1929 è nata la collana “I libri gialli” di Mondadori.

Chi era questo Antonio Bruno, detto ël Cit ëd Vanchija, che ha ispirato Carolina Invernizio?

Il vero Cit ëd Vanchija, tra il 1865 ed il 1868, attua una serie di furti clamorosi in alloggi, in alberghi, nella sede centrale delle Poste (oggi Palazzo Campana), in negozi, sempre a Torino. “Visita” alloggi di torinesi in vista.

È un po’ troppo.

La Questura mobilita le sue spie e nel 1868 cominciano gli arresti. Nottetempo un drappello di poliziotti si reca a Moncalieri, dove, all’osteria del Pesce d’oro, secondo un informatore, pernottano alcuni membri della banda.

Arrestano due uomini e due donne, ma Antonio Bruno riesce a scampare all’arresto, saltando nel cortile dell’osteria dal balcone del primo piano. Poi scompare nel nulla.

Si dice che si sia rifugiato in Francia, o in Svizzera…

Carolina Invernizio pubblica “Il piccolo di Vanchiglia (‘L Cit ‘d Vanchija)” nella Appendice della “Gazzetta di Torino”. Il romanzo ha un grande successo e subito dopo, nel 1895, appare in volume a Torino per essere ripubblicato a Firenze nel 1898, con il nuovo titolo “Il segreto di un bandito. Romanzo storico sociale”.

Carolina Invernizio dà una improbabile immagine letteraria del Cit ëd Vanchija, quella del ladro gentiluomo con una doppia vita: una versione torinese di Arsenio Lupin, con molte analogie con il “Medichin” Gian-Luigi Quercia di Vittorio Bersezio, di cui si è detto in un precedente articolo.

Il Cit ëd Vanchija agli occhi di borghese perbenista della Invernizio, diviene un grande seduttore, un  ladro dell’onore femminile, senza preoccupazioni classiste: sotto le mentite spoglie del galante cavaliere Bruno conquista la contessa Clara di Villanuova; seduce, dopo averne ucciso a coltellate lo scomodo fidanzato, la popolana Gina; inganna, facendosi credere un onesto giovane la buona borghese Giuliana, dalla quale nasce una figlia, Minota.

Le cose si fanno gravi quando queste donne, da lui sedotte, ingannate, disonorate, compromesse, si alleano per punirlo, dimostrandosi assai più efficienti della polizia torinese.

È rispettata la regola della Invernizio che prevede il “matrimonio finale” e la “punizione esemplare del colpevole”.

Il matrimonio finale avviene tra Minota, la figlia del Cit, ed un cugino del giovane accoltellato dal padre.

La punizione esemplare viene attuata da una delle donne vittime del Cit che lo uccide con un colpo di pistola. Così, travolto dal castigo di Dio, il bandito scompare, sepolto all’insaputa di tutti nel parco di una villa di Orbassano.

Chissà le risate, o gli scongiuri, che avrà fatto il vero Cit nel caso non improbabile che un volume gli sia capitato fra le mani… tanto più che de “Il segreto di un bandito” esiste anche una versione in spagnolo, destinata agli immigrati italiani nell’America del Sud.

Inutile dire che il Cit ëd Vanchija rivisitato da Carolina Invernizio, per nascondere la refurtiva e i complici ricercati e per riunire la sua banda, dispone di un rifugio sotterraneo, evocato con indicazioni molto vaghe, come accessibile da una cantina della casa di un certo Toniotto, nella zona del Moschino, in Borgo Po.

Il misero casamento del Moschino, all’incirca in corrispondenza degli attuali Lungo Po Luigi Cadorna e Nicolò Machiavelli, è così descritto da Giuseppe Torricella (1868): «Vicolo del Moschino, bassofondo situato sulla riva del Po, abitato esclusivamente da povera gente. La quantità dei moscerini (in piemontese “moschini”) che abbondano in questa regione ha dato il nome al vicolo, e questo non è strano perché si tratta di un sito in vicinanza del Po. Le case del Moschino sono umide, sporche, anguste, dannose all’igiene; le malattie contagiose si sviluppano sempre in quella lurida località con maggior fierezza. Sembra che il Municipio voglia a poco a poco abbattere il brutto casamento, che è di disdoro a questa bella e pulitissima città».

Anche questo sotterraneo “letterario” non ha precisi riferimenti a gallerie, cunicoli, cròte e infernotti realmente esistenti nel sottosuolo torinese!

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Articolo pubblicato il 31/08/2015